CUPERTINO «Le mie prigioni»

CUPERTINO «Le mie prigioni» - . :. y -~~~'- "raI^~- CCONTO DI UNO DEI TRE SEQUESTRATI: «OLTRE A GESÙ, IN QUELLE ORE PREGAVO PADRE PIO DI FARMI TORNARE A CASA » CUPERTINO «Le mie prigioni» Inviato a ROMA GO! Gol, sti-illavano i soldati. Io ricordo solo questo: urlavano Go! mentre mi prendevano per un braccio e mi trascinavano via». Allora, solo allora, Umherto Cupertino ha capito che per lui era arrivato il momento che aspettava da 56 giorni: il momento della libertà, del ritomo a casa. «Ci crederò veramente solo quando sarò arrivato in paese», balbetta con la voce che a tratti gli muore in gola, sopraffatta dal pianto. Lo incontriamo nel parcheggio dell'area di servizio Casilina Ovest, sull'autostrada Roma-Napoli. Nello sguardo gh leggi tutta la stanchezza e la sofferenza per la prigionia e per questi due giorni massacranti, trascorsi a rispondere a domande su domande senza mai un attimo di tregua, senza poter mangiare neanche un panino, senza potersi neppure radere. Quasi barcolla mentre scende dal Doblò blu parchbggiato davanti all'autogrill. E1 magro, indossa iun paio di pantaloni di una tuta da ginnastica nera e una t-shirt bianca troppo grande, che gli balla addosso. Parla a i scatti, a tratti balbetta. Scoppia la ridere ma subito si interrompe per soffocare l'ennesima crisi di pianto. Racqpnta jCon un lampo di paura faegli occhi i momenti più duri deUa sua prigionia ma i ricordi, all'improvviso, gh sfuggono dalla mente e allora sussurra, quasi a volersi scusare: «Ho dimenticato». E non sai se si tratta davvero di amnesia o del riserbo imposto dai magistrati che indagano su questa brutta storia. Attorno a lui ci sono la madre Carmela, il fratello Francesco, la cognata Laura, gh amici Pino Netti, Vito Lamanna e Peppino Spinelli, e la fidanzata Francesca, che lo sorregge stringendogli un braccio attorno alla vita. «Che cosa posso dire? - dice -. Grazie Italia, grazie itahani per essermi stati così vicini». Umberto, ci racconta i giorni della sua prigionia? «Terribili, terribili. I carcerieri non erano violenti, nel senso che non picchiavano. Ma ci trattavano da cani. Ci sentivamo umiliati». In che senso? «Ci facevano dormire a terra, spesso eravamo incatenati. Non ci aspettavamo di megho, certo: era la nostra condizione di prigionieri. Si mangiava poco, il cibo abbondante lo abbiamo ricevuto solo quando ci hanno messo davanti alle telecamere». Ricorda quei momenti, quando vi filmavano? «Ricordo molto poco, preferisco non parlare di questo». Quando esattamente l'hanno rapita? «Non so dire la data esatta». E dei carcerieri cosa rammenta? E' vero che qualcuno, fra loro, parlava in italiano? «L'itahano? Io non ho mai sentito parlare la mia lingua in tutti quei maledettissimi giorni. Parlavano solo in iracheno o in inglese, e siccome non conosco né l'imo né l'altro non ho mai capito una parola. Quelli si facevano capire a gesti, e le assicurano che erano molto eloquenti». Quante prigioni ha cambiato? «Non mi faccia queste domande, non ricordo...» I sequestratori non hanno mai mostrato un briciolo di comprensione nei vostri confronti? «E' gente senza pietà. Un giorno uno di loro mi derise perché mi aveva sorpreso a piangere. Mi fece capire tutto il suo disprezzo, mi trattò come se fossi stata una donnicciola». Umberto, ma come le è venuto in mente di andare in Iraq, in mezzo alle bombe? «Io ero lì solo per offrire un supporto a chi doveva lavorare in Iraq, tutto qui. Non ero un soldato in guerra, non c'entravo niente, io, con la guerra». Ha mai pensato che forse non sarebbe uscito vìvo dalla sua prigione? «Maurizio (Aghana, ndr). Salvatore (Stefio, ndr) e io passavamo le giornate senza sapere che fine avremmo fatto. Vivevamo ogni ora, ogni minuto con il timore che sarebbe stato l'ultimo della nostra esistenza... Ma no, ora che ci penso io non ho mai creduto davvero che mi avrebbero ucciso. Pregavo, pregavo tantissimo, chiedevo a Gesù e a Padre Pio di farmi uscire vivo dall'avventura orribile che mi era capitata. Mi ha sostenuto la fede». In che altro ha creduto? «Nella mia famiglia, certo. Nei momenti più difficili, quando tutto sembrava perduto, riuscivo spesso a far calare nella mia mente una saracinesca che mi isolava da un mondo reale orribile, pieno di insidie e di incertezze. Chiudevo gh occhi, li stringevo il più possibile e cercavo di evocare l'immagine di mia madre, della mia fidanzata, di mio fratello. A volte il trucco riusciva: mi vedevo lì, a casa, seduto sul divano in salotto a vedere la tv, o al tavolo da pranzo a mangiare un piatto di pasta al sugo. Sognavo le passeggiate con gh amici, il caffè al bar nella piazza di Sammichele, una sigaretta accesa dopo pranzo. Piccole cose, insomma, che in realtà' piccole non sono affatto: solo quando ti mancano ti accorgi di quanto siano importanti. Mi sentivo megho mentre le immaginavo, ma il ritomo alla realtà era sempre durissimo. E poi...». E poi? «Mi ha sostenuto un sentimento che, soprattutto durante i giorni della prigionia, ho senti- to davvero forte in me. Avevo la consapevolezza piena di essere un itahano». Può spiegarsi meglio? «L'Italia è un grande paese. Ero certo che lo Stato non avrebbe dimenticato tre uomini finiti nelle mani di un gruppo di terroristi in una nazione straniera. E' difficile da spiegare: sentivo che gli itahani ci erano vicini, che ci avrebbero aiutato - in ogni modo. "E* nna convinzione, questa, che non mi ha mai abbandonato». Adesso che è finita pensa di riuscire a dimenticare? «Non so rispondere a questa domanda, non ancora. Ho tanta confusione in testa, chiudo gh occhi e mi vedo ancora disteso su un pavimento, con le catene ai polsi. Ma quando li riapro mi accorgo che sono salvo, e quasi non ci credo. Rido ma poi mi viene da piangere, sto in silenzio ma subito dopo mi metto a parlare come un matto: forse è lo choc. Devo recuperare, devo stare calmo e riprendere la vita di tutti i giorni. Forse ce la farò a tornare quello di prima, ma non ne sono sicuro. Di certo non dimenticherò mai una cosa...». Che cosa? «Che fummo presi in quattro e ci siamo salvati in tre. Fabrizio Quattrocchi (il bodyguard ucciso, ndr), lui, non lo dimenticherò mai finché campo. Di più non vogho dire. Il ricordo di quell'uomo lo terrò sempre perme».- Quando ha saputo della sua morte? Durante il sequestro o dopo la liberazione?' u - u.Lni «Ora non ricordo, non posso rispondere a questa domanda». Ora pensa al suo ritomo al paese: come crede che l'accoglieranno a Sammichele? «Con una grande festa, spero: rivedrò gli amici, la mia casa. Riprenderò le mie abitudini. E vogho finalmente sposare Francesca, con cui sono fidanzato da tanti anni. Ho un gran bisogno di normalità».. Quale sarà la prima cosa che farà quando entrerà a casa? «Farò una doccia, poi mi stenderò finalmente sul letto, il mio letto. Appoggerò la testa sul cuscino con la federa che odora di bucato e dormirò per giorni». Ife^i La prima "^ immagine che ritorna? Go! Gol, strillavano i soldati lo ricordo solo questo: urlavano Go! mentre mi prendevano per un braccio e mi éÈkfò portavano via 77 ||^ MÌ ha "" sostenuto un sentimento che ho avvertito davvero forte in me in quei giorni: avevo la consapevolezza piena di essere un italiano 99 I manifesti apparsi ieri sui muri di Roma per festeggiare il ritorno del tre italiani . .. . . . , , . . . .., . . .. . . . . . . .. .:. . . . . . . Clamplno, ore 11,15: Umberto Cupertlno osserva dall'oblò dell'aereo che l'ha riportato in Italia con i suoi compagni dì sventura

Luoghi citati: Iraq, Italia, Napoli, Roma