Ecco il fantasma che tormentò Lucentini di Mario Baudino

Ecco il fantasma che tormentò Lucentini IN UN LIBRO LA STORIA AVVENTUROSA DI FORTUNATO PICCHI. IL PARTIGIANO ANOMALO CHE SEMBRAVA SPARITO NEL NULLA Ecco il fantasma che tormentò Lucentini Mario Baudino O scoperto Fortunato Pic■" chi un poco alla volta, e solo ora, grazie à questo libro, posso dire di aver completato il lungo percorso che mi ha portato a lui. Tutto cominciò quando, nella sede della Stampa, a Torino, si aprì la camera ardente per Franco Lucentini, il grande scrittore die si tolse la vita il 5 agosto 2002. n fratello, .dopo aver ricordato brevemente lo scomparso, aggiup,^,,cbajjegli yltjflii mesi, onhai malato, e senza speranza, continuavaarhiedere aguamici e ai famigliari di aiutarlo a mettere a fuoco una figura che lo tormentava. Era quella di un antifascista misconosauto e dimenticato, che aveva colpitola sua coscienza di studente universitario quando ne lesse sui giornali la notizia della morte, durante la guerra. All'indomani, decidemmo che il miglior modo per onorare la memoria del nostro collaboratore era dare un volto e una storia à quell'uomo. Furono necessarie pazienti ricerche, ma alla fine trovai ima traccia che mi portò a Prato e a Alessandro Affortunati. Potei finalmente scrivere il mio articolo: come accade ai giornalisti ero nello stesso tempo contento e un po' frastornato, con troppe idee m testa. Non trovavo le prime righe, il «cappello», dove m poche parole si deve riassumere il senso del pezzo, a beneficio di quei molti lettori che, forse giustamente, cominciano a leggere e non arrivano mai alla fine. Poi arrivò la prima parola, e di seguito tutte le altre. «Un fantasma - scrissi - visitava ogni tanto Franco Lucentini, a partire da quand'era studente universitario e finì in galera per antifascismo. Lo ricordò nel '99 in una 'lettera aperta" a GaUi della Loggia, in polemica con la sua idea di "morte della Patria". "Chiudo con un pensiero alla memoria d'un fuoruscito toscano in Inghilterra, Dante Fichi (o Picchi? Neanch'io so più esattamente) che nel '42 si fece paracadutare in Itaha per compiervi azioni di sabotaggio, ma fu subito catturato e fucilato. I giornali italiani ne dettero l'annuncio in quattro righe e nessuno poi ne parlò più. Il suo nome non compare in nessuna delle storie della resistenza. Sarebbe forse ora di ricordarsene e di portare qualche fiore sulla sua tomba, se mai si sapesse dov'è». Aveva detto la stessa cosa, trent' anni fa, a Carlo Frutterò. Ne aveva riparlato con insistenza al fratello Mauro durante i mesi della sua estrema malattia, prima di risolversi a toghersi la vita. Voleva ricostruire quella storia, prima di andarsene definitivamente, ma la memoria lo aveva impercettibilmente tradito e nes toscano pareva davvero scomparso per sempre: come un fantasma, appunto, forse un sogno. Non era così. L'eroe dimenticato, l'eroe controverso è esistito eccome, anche se tutto, dal giorno della sua morte, è sembrato congiurare per cancellarlo. Nessuno potrà mai portare un fiore sulla sua tomba, perché dopo la fucilazione avvenuta la domenica delle Palme 1941 a Roma, nel poligono di Forte Brevetta dove si eseguivano le sentenze capitali emesse dal tribunale speciale per la difesa dello Stato, è stato sepolto in ima fossa comune. Ma la famiglia ha conservato le carte, ha custodito il ricordo in una memoria privata. Ora della sua vita e della sua morte sappiamo molto, almeno tutto ciò che nelle mani di Franco Lucentini sarebbe potuto diventare un grande libro. [...] Franco Lucentini è morto senza poter scrivere il libro che avrebbe desiderato. In compenso, ne abbiamo un altro, certamente diversissimo, che fa. giustizia del tempo e dell'oblio, e in qualche modo salda un vecchio conto. Tutti noi avevamo un debito con questo personaggio che fece una scelta talmente mmcile da risultare persino controversa: per impugnare le armi contro il fascismo, dovette farlo anche contro il proprio Paese. Vestì la divisa dell' esercito inglese, nel '41, per compiere un'operazione di sabotaggio dietro le lìnee italiane contro un ponte-canale non lontano da Avellino che faceva parte del sistema dell'Acquedotto pugliese. H '41 non è il '43, c'è evidentemente una diversa legittimazione giuridica. Combattere con le mostrine inglesi.non è la stessa cosa che insorgere in quanto partigiano, e questo ha certamente pesato nella vicenda postuma di Picchi, anche se il suo caso, pur eccezionale, non è l'unico. [...1 Decidere di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti è sempre un gesto estremo. Farlo da solo, a livello individuale, fuori da ogni legittimazione collettiva loèancoradi più. Eppure, i francesi che dopo il crollo e la nascita della repubblica di Vichy impugnarono le armi rispondendo all'appello del generale De Gaulle si comportarono forse in modo diverso da Fortunato Ficchi? In fondo, il governo «legittimo», nel momento in cui il giovane generale lanciò l'appello alla ribellione e alla resistenza, era quello collaborazionista del maresciallo Petain. L'unica differenza è che Picchi, giunto in Inghilterra come un povero immigrato e divenuto nel volgere di pochi anni vicedirettore al reparto banchetti ; dell'Hotel Savoy, antifascista da ; sempre anche se, a quanto sem- ; bra, non militante, decise tutto da : solo. i Forse l'analogia con i «liberi 1 francesi» venne in mente anche ; all'esercito britannico, quando ar- : molò il coraggioso italiano: in fondo, gli fu data, come identità ; di copertura, quella fittizia di un : gaulhsta. Vista oggi, a distanza di : tanti anni, sembra già una rispo- '■. sta definitiva ai dubbi che a mez- ; za voce furono espressi nel primo ; dopoguerra sul gesto di Picchi. Fu ; un partigiano prima che in Itaha : esistessero i partigiani. Arrivò : presto, forse troppo presto perché venisse riconosciuto il suo sacrificio (tanto che il governo della Repubblica nata dalla Resistenza gli negò il riconoscimento postumo di combattente antifascista). Ebbe il destino degli idealisti solitari: una fossa comune, e l'oblio. Aveva fatto quel ohe riteneva giusto, senza chiedere il permesso a iìefiSttno, sènza porsi problemi troppo complicati. - Non voleva immolarsi - lo vediamo dai verbali del processo -; non cercava una morte eroica, il suo scopo era una rischiosissima azione di sabotaggio che non prevedeva vittime italiane (anche se, come ci spiega Affortunati, ce ne furono due, in uno scontro a fuoco con un altro gruppo del commando) e da cui si poteva sperare di uscire vivi, come accadde ai suoi commilitoni inglesi. Fra l'altro, l'operazione cui prese parte fu la prima in assoluto lanciata dall'esercito britannico. Era stata preparata male ed eseguita peg-, gio, risultò sostanzialmente inutile salvo un limitato effetto psicologico, ma questo aspetto non secondario della vicenda riguarda i comandi, e non il coraggioso soldato italiano. Potremmo osservare che, in fondo, Picchi non fu troppo tutelato dai suoi superiori. Sapevano che il suo inglese, benché fluente, era incrinato da un percepibile accento italiano o comunque mediterraneo, e per aggirare il problema gli affibbiarono, come abbiamo visto, una falsa identità francese. Ma anche in questa lingua la finzione non poteva reggere a lungo. E lui affrontò con fermezza, pare di capire anche con serenità, il proprio destino. Poteva finire altrimenti? In base alle leggi di guerra, evidentemente no. Per lui, però, questo era secondario: sapeva solò di avere impugnato le armi, - anche se il ruolo era quello dell'interprete - contro il fascismo. Gli bastava. Se il suo ricordo non avesse lungamente lavorato nella mente di un grande scrittore, che come lui anteponeva la scelta individuale, morale, a ogni altra considerazione, forse oggi non avremmo questo libro, e il combattente misconosciuto non sarebbe tornato fra noi a tutto tondo, con la sua storia, la sua umanità, il suo sacrificio senza contropartite. E' vero, è stato molto improprio definirlo «un fantasma». Non lo è. Ci ha attesi pazientemente in un luogo segreto della memoria. E l'interrogazione radicale contenuta nel suo gesto coraggioso ed estremo continua a riguardarci tutti. Usuo ricordo ossessionò lo scrittore negli ultimi mesi di vita. Era una singolare figura di antifascista che lo aveva colpito da studente Toscano emigrato a Londra, nei 1941 era stato arruolato dagli inglesi, aveva fatto un attentato in Italia ed era morto fucilato Oggi alle 17, nella sala consiliare del Comune di Carmignano (Prato), presentazione del libro di Alessandro Affortuhati Dì morire non m'importa gran cosa. Fortunato Picchi e l'operazione Colossus (ed. Pentalinea). Pubblichiamo un ampio stralcio dalla prefazione dì Mario Baudino. ' '- i Franco Lucentini. Lo scrittore morì a Torino il 5 agosto 2002