SCACCHI VIETATI A ISRAELE di Alberto Papuzzi
SCACCHI VIETATI A ISRAELE Ai MONDIALI IN LIBIA SCACCHI VIETATI A ISRAELE Alberto Papuzzi NONOSTANTE i suoi pezzi richiamino figure militari e nonostante il suo lessico alluda a un contesto bellico, il gioco degli scacchi - contrariamente a quanto pensano i non-scacchisti - non è una rappresentazione della guerra, bensì della pohtica. Tanto è vero che tutte le manovre, dai piani strategici alle tecniche combinatorie, si avvolgono intomo a un elemento che è di sua natura politicò: la capacità di creare minacce all'avversario, obbligandolo a muovere sotto pressione. Perché allora meravigliarsi se gli scacchi continuano a incrociarsi con i fatti della politica e possono provocare scandali politici? L'ultimo caso riguarda il Campionato del mondo della Fide (la federazione intemazionale), che dovrebbe cominciare a Tripoli il prossimo 18 giugno. Ma il torneo Fide è già un po' zoppicante di suo, dopo la scissione di dieci anni fa guidata da Garry Kasparov, numero uno delle classifiche mondiali allora e oggi: grandi campioni hanno costituito l'Acp (associazione professionisti) che gioca un proprio torneo mondiale, il prossimo appuntamento è per il 25 settembre nell'elyetica Brissago per la sfida fra ì giovani Vladimir Kramnik e Peter Leko. Poiché avere due campioni del mondo non fa comodo a nessuno, si è deciso che il vincitore di Tripoli incontri in una superfinale Kasparov (fra sei-sette mesi) e che il vincitore della superfinale affronti il vincitore del match di Brissago. Così si avrà, finalmente, un unico re degli scacchi. Però succede che Gheddafi junior, presidente del Comitato olimpico libico, dichiari che al torneo di Tripoli non sono ammessi israeliani. E tutto rischia di crollare come un castello di carte. Il torneo è organizzato con eliminazioni dirette, come a tennis, fra i primi 128 giocatori delle classifiche Elo. Ma sono arrivate a raffica le rinunce: a partire dall'indiano Vishy Anand, il numero due, proseguendo con gli ebrei russi o americani, e così via. Col rischio che andare o no a Tripoli diventi una specie di dichiarazione prò o contro Israele. Così gli scacchi irrompono nella pohtica, esibendo la loro vera anima. Come quando nella guerra fredda Fischer e Spassky erano l'immagine di libertà americana e burocrazia sovietica (e Kissinger costringeva Fischer a battersi). O come quando, nel campionato del mondo dell'81 a Merano, Victor Korchnoj non si alzò al suono dell'inno russo e la gente gridava «Libertà! Libertà!». O come per l'eccezionale confronto tra Kaipov e Kasparov, rappresentanti tanto nel look che nel gioco il primo del gelido breznevismo, l'altro delle folate del dissenso. Perché Gheddafi junior abbia fatto harakiri, dopo aver assicurato che non ci sarebbero state esclusioni, non è dato sapere. Forse il padre gli ha tirato le orecchie. Magari a forza di rinunce potrebbe aprirsi lo spazio anche per un italiano, quanto meno per l'italo-messicano Garda Palermo. Ma non si capisce se si potrà ancora parlare di un torneo mondiale.
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