A caccia del gene che scatena le cellule tumorali

A caccia del gene che scatena le cellule tumorali SCIENZIATA MILANESE CHE, IN CONDIZIONI DIFFICILI, LOTTA CONTRO LA MALATTIA DEL SECOLO A caccia del gene che scatena le cellule tumorali La storia di Gabriella Sozzi e del suo gruppo di ricercatori Gli studi per anticipare la diagnosi e sconfiggere il cancro Chiara Seria di Argentine MILANO GABRIELLA Sozzi, la giovane signora in camice bianco, apre la porta del suo studio,minuscolo. Quarto piano dell'Istituto dei tumori di Milano,oltre il reparto di pediatria, oltre l'universo del dolore, si entra con la responsabile dell'Unità operativa di Citogenetica molecolare nell'universo dell'infinitamente piccolo, alla ricerca della speranza. Micropiastrine su cui analizzare decine di migliaia di geni, vettori adenovirali per trasportare i geni capaci di colpire le cellule impazzite; anche con queste armi, da questa trincea - nell'era della genetica - si combatte la lotta ai tumori. Computer,testi e riviste mediche, una cartina con la geografia del genoma umano. Su una parete c'è un manifesto che l'Aire, l'Associazione per la ricerca sul cancro ha dedicato a Gabriella Sozzi. «L'Aire è un fiore nel deserto, funziona benissimo», commenta lei con gratitudine. «Senza i privati non avremmo i mezzi per il nostro lavoro». Quei soldi raccolti dall'Aire e da altri benefattori lei può dire di averli messi proprio ben a frutto, nonostante le tante difficoltà coi burocrati della sanità. Sul manifesto ci sono due fotografie,quella di una bambina con gh sci e di una ricercatrice che scruta ima provetta; sotto, la scritta recita: «Sognava le discese libere, ma ha aperto una nuova pista nella lotta contro il cancro». In poche parole è la storia Gabriella Sozzi, una ragazza bene di Biella - il sadre imprenditore, gli studi al iceo classico «Quintino Sella», l'amore per lo sci - che è diventata, in vent'anni di studio e lavoro, una genetista di fama mondiale, la scienziata italiana che più ha fatto sul fronte della lotta a uno delle più gravi forme di tumore, quello ai polmoni. Al nome di Gabriella Sozzi è legata, infatti, la scoperta nel 1996 del Fhit (Fragile hislidine triadi, il gene responsabile del carcinoma polmonare. Non solo. Grazie alla ricerca genetica appheata all'oncologia. Sozzi e i suoi collaboratori - dieci persone tra laureati e tecnici, nessuno di ruolo, gente che «sopravvive» con 800 euro al mese - sono riusciti a mettere a punto un test sul Dna (il primo lavoro è stato pubblicato nel 2001, un secondo più importante , nel novembre 2003, sul (Journal of Clinical Qncology») per la diagnosi precoce del tumore ai polmoni. Ora il test, un semplice esame del sangue, è in fase di sperimentazione. Mille pazienti, tutti forti fumatori, sono stati raccolti, all'inizio del 2002, dal professor Ugo Pastorino, il famoso chinirgo tornato all'Istitu¬ to dopo alcuni anni di lavoro in un altro centro di eccellenza, l'Istituto Europeo di Oncologia. «Non sono molti i clinici attenti alla ricerca», racconta Sozzi, «con Pastorino ci siamo conosciuti vent'anni fa e, non ci siamo più lasciati!». Primi risultati dello studio (tutti i pazienti sono stati sottoposti al test e alla tac spirale): una decina di casi di cancro già individuati. Terribile. Ma, per Gabriella Sozzi, la ((buona notizia» è che: «Tutti i casi sono stati diagnosticati in uno stadio inizialissimo. E questo, spiega la genetista, «fa la differenza. Nella prima fase della malattia la chirurgia può intervenire in maniera davvero risolutiva. La sopravvivenza arriva all'ottanta per cento». Insomma, un'altro bersaglio quasi centrato.nel suo viaggio alla radice del male. Ha solo 45 anni, Gabriella Sozzi. Lei non ha mai fumato,salvo un pugno di sigarette da ragazzina; neanche suo marito fuma. Sentirla parlare dei suoi studi e della sua vita alla ricerca dei meccanismi che sono alla base del cancro vale cento campagne antifumo perché Sozzi,con voce tanto pacata qaunto implacabile, ti descrive minuziosamente anche cosa succede dentro al tuo corpo, sigaretta dopo sigaretta. Primo affondo: «Cos'è il cancro? E' la folha, è una cellula impazzita che prolifera in maniera disordinata e che il sistema immunitario non riesce più a controllare». Secondo: «D 90 per cento dei tumori polmonari si trova nei fumatori, anche se non tutti i fumatori (la percentuale è del 20 per cento) si ammala di tumore polmonare. Sono le donne (diverse le ipotesi, la più plausibile per una sorta di effetto-bomba prodotto dagli estrogeni) le più esposte alla malattia: su 5 milioni e mezzo di fumatrici l'anno scorso abbiamo avuto 5.600 casi di tumore polmonare». Terzo: «Quando pubblicai il mio primo, pionieristico studio, era il 1991, pochi ci credevano. Ma ora, con buona pace delle multinazionali del tabacco, è ormai assodato: il fumo provoca delle vere e proprie mutazioni genetiche nei polmoni anche di coloro che non si ammalano di tumore. Basta smettere e il sistema immunitario riparte subitole cellule bronchiali riprendono la loro funzione di pulizia, il recupero è immediato». Ha provato a spiegarlo, Gabriella Sozzi, anche alla signora che ieri lomeriggio, dal suo parrucchiere, e sbuffava 0 fumo in faccia. «Mi ha risposto che sapeva benissimo il pericolo ma non le importava niente», racconta desolata. Certo scegliersi come nemico da combattere il cancro è un impegno da brividi. Da studentessa universitaria, le avevano proposto, per la tesi di laurea in microbiologia, all' università di Milano, di andare alla Centrale del latte; Gabriella preferi un luogo meno allegro («a quei tempi era vissuto come un Lazzaretto») l'ospedale di via Venezian, fondato ne 1925 per lo studio e la cura dei tumori.Verso il dolore, verso l'ignoto. ((Allora», ricorda, «la parola cancro terrorizzava. Era una malattia considerata inguaribile, le conoscenze in campo biologico erano pochissùne. Tutto ciò mi attirava. Rimasi, confesso, anche intellettuamente affseinata da professori come Umberto Veronesi e Giuseppe Della Porta, il mio primo maestro». Dopo aver studiato per mesi gli effetti cancerogeni della diossina fuoriuscita dalla fabbrica Icmesa di Seveso (1976) Gabriella Sozzi,dal giugno 1980, diventa così ricercatrice all'Istituto. Un'altra trincea che non ha mai abbandonato, né per andare a lavorare nel settore privato e, magari, guadagnare più soldi (il suo stipendio di direttore dell'unità operativa oggi è di 3 mila euro al mese), né per trasferirsi all'estero. «Nonostante i mille laccioli burocratici che ammazzano la nostra fantasia continuo a puntare sulla sanità pubblica», afferma decisa Sozzi. «Nel no¬ stro dipartimento, diretto da Marco Pierotti, lavorano moltissimi ricercatori, molti sono giovani, è un contesto scientifico serio e stimolante». Quanto al perché ha deciso di restare in Italia rivendica: «E' un fatto sopratutto culturale, di attaccamento alle nostre radici. Sono una filoamericana, devo molto agli Stati Uniti, ma credo che sia mia dovere dare il mio piccolo contributo al mio Paese. Del resto, è una scelta condivisa da tanti altri ricercatori». Periodi di perfezionamento al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e all'Anderson Cancer center di Houston,nel 1996, grazie ai suoi studi sulle alterazioni genetiche provocate dal fumo, Gabriella Sozzi viene chiamata a Philadelphia da uno scienziato italiano, il professor Carlo Croce che guida il Kimmel Cancer Center. «Loro stavano studiando una regione del cromosoma 3 che risultava molto alterata nei malati di tumori; io avevo il mio bagaglio di casi», racconta. Nasce cosi, dal lavoro con Croce, la scoperta del gene Fhit subito pubblicala sulla prestigiosa rivista scientifica «Cells». «Abbia- mo identificato nel cromosoma 3 quel gene strani.ssimo,lanlo fragile da essere facile bersaglio dei cancerogeni sia (juelli del fumo che quelli chimici. Lui - continua appassionata il suo racconto Sozzi - sente moltissimo il danno ambientale, si spezza immediatamente. Lo abbiamo chiamato Fhit, fragile hisladine triad». Si era aperta cosi la nuova jisla, evocala dal manifesto del'Airc, nella lotta la cancro: «Tulli i malati nel loro tessuto tumorale hanno questo gene alteralo, averlo individualo, significa avere un marcalore per diagnosi più precise e jrecoci e cercare hi via per terapie biologiche mirate e individualizzale per ciascun paziente». Dal gene alla terapia, al farmaco. Premiata dal sindaco Bloomberg a New York, nel 2002,c on l'Award for Excellence in Medicine,assegnalo dall'Alci' (American Italian Foundation for Cancer Research) Gabriella Sozzi non ha, nonostante il successo, una vita in discesa. Sposala senza figli («ho tanti nipotini») ha perso sua madre, Maria Adelaide, portata via, all'improvviso. Il solito male, una forma di leucemia. «Il mio rimpianto - sospira - è che oggi, con i farmaci di ultima generazione come il Glivec, mia madre sarebbe ancora viva». Un motivo in più per non mollare; anche se finita l'epoca di Veronesi ministro le cose per gente come lei a Roma si son falle meno facili. L'altro programma di ricerca, oltre alla messa a punto del test sul Dna, al quale Sozzi lavora - di qua e di là dell'Oceano con Carlo Croce - sulla terapia genica nei tumori polmonari (i due scienziati puntano a trasferire con un vettore virale, esempio il virus del raffreddore, il gene Fhit in una cellula di tumore per provocarne rapolo.si,e quindi bloccare il meccanismo folle di proliferazione)va avanti a rilento, Non perche non funzioni («abbiamo avuto dei bei risultati») ma per gli ostacoli messi dal minisl.ero:la sperimentazione è solo su maiali molto gravi,i tanti esami richiesti costosissimi. E, per fare tutto, ciò Sozzi e i suoi borsisti con stipendio da fame non hanno i fondi. «Ora, grazie a un finanziamento trovato ancora una volta da Croce in America, speriamo di ripartire. Presto», annuncia la genetista. Che Paese assurdo, il nostro.Ricorda con amarezza Sozzi:«l'tinica grossa sperimentazione fatta in Italia con denaro pubblico è stata quella sul metodo Di Bella. Anche se non c'era nessuna seria base scientifica siamo slati costretti, a furor di popolo, a spendere soldi e tempo per provare un metodo che non ha dato nessun risultato e,oltretutto, carissimo. Sono stati giorni terribili,ho visto medici piangere; malati, sottratti a terapie molto più valide.morire». Nella lunga storia della lotta al cancro.combattuta giorno dopo giomo.da tante persone serie come la ricercatrice biellese, quella resterà come «una delle pagine più brutte della scienza»,conclude Gabriella Sozzi. E io aggiungo:anche dell'informazione. «Nonostante i mille laccioli burocratici che ammazzano la nostra fantasia continuo a puntare sulla sanità pubblica Devo molto agli Usa ma ritengo mio dovere restare a combattere nel mio Paese» Ma in Italia la sperimentazione si può svolgere soltanto su malati molto gravi e i tanti esami richiesti sono costosissimi Mancano i fondi «Ora, grazie a un finanziamento trovato in America speriamo di ripartire» Gabriella Sozzi, la prima a sinistra, con il suo gruppo all'Istituto dei Tumori di Milano Sozzi a NewYork nel 1996, premiata dal sindaco Bloomberg