Un centro d'ascolto per i malati di doping di Giulia Zonca
Un centro d'ascolto per i malati di dopingA LIVORNO IL PRIMO CONSULTORIO SPECIALIZZATO IN ITALIA Un centro d'ascolto per i malati di doping «Ci ha scritto un ragazzino, voleva correre senza i beveroni del suo allenatore» Giulia Zonca Lo studio riceve il giovedì. Un paio d'ore a settimana in un'anonima struttura Coni di Livorno. E' il solo posto in Italia dove chiunque, un ragazzino agli esordi agonistici, una mamma apprensiva, ima pohsportiva in bolletta che impasta strategie per tirare fuori qualche campioncino o un allenatore con un rigurgito di coscienza può essere ascoltato. Un consultorio del doping che ha solo un mese di vita e un sacco di fatica sulle spalle. E' nato il 22 aprile dalla volontà di un funzionario utopista e da un protocollo d'intesa con la Usi locale. Sogni e burocrazia mescolati insieme per prò1 vare a stanare qualche dipendente da competizione, ima stanza dove evitare prediche bolse e spiegare fino allo sfinimento cosa è proibito e cosa non lo è, quali sostanze ti stravolgono subito e quali lo faranno a lunga distanza e quanto è possibile migliorarsi senza superare il confine dell'illecito. Per ora questa coraggiosa camera di decompressione non è molto frequentata: è attiva da quattro settimane e tre incontri sono stati organizzati su invito. Una volta i presidenti eli federazione, l'altra le piccole società della provincia, quella dopo i gestori di palestra e un solo appuntamento libero, disponibile per i dubbi di qualsiasi cittadino. Quel giovedì non si è presentato nessuno. «E ci mancherebbe, ne dobbiamo fare di informazione prima di raccogliere, c'è da vincere una ritrosia bella spessa». Lo dice placido Gino Calderini, presidente del Coni livornese, un tipo bizzarro che dopo vent'anni da dirigente sportivo è uscito dal giro e davanti a una poltrona vacante ha detto «Sì tomo, ma solo se faccio quello che voglio io». Prima ha presentato un progetto ecologico per ristrutturare gli stadi con i pannelli solari poi ha studiato un accordo con l'unità funzionale di medicina sportiva, ha incartato le scartoffie e si è fatto un viaggetto a Roma per capire se si poteva pensare ai centri d'ascolto antidoping su scala nazionale. Non lo ha capito, ha intascato un via libera e ha aperto il suo personale centro o meglio una porta vicino all'ufficio dove ogni settimana si organizzano incontri in attesa che si smuova qualcosa. «Ora siamo nella fase A, far sapere che esistiamo che siamo utili e innocui, che non vogliamo indagare ma solo dare una mano che è poi quello che serve in concreto». Già, perché qui non aspettano il campione in crisi di identità. ma il pupetto che gioca con i pulcini e non sa cosa ingurgita o il ciclista dodicenne già convinto che per pedalare tutte quelle ore bisogna per forza buttar giù un cocktail di ormoni. «Per sponsorizzare la nostra iniziativa abbiamo messo a disposizione un numero dove inviare sms. Ci ha scritto un ragazzo di quattordici anni per chiedere come può conti¬ nuare a correre in bici senza prendere i beveroni che il suo direttore sportivo gli impone. Di storie così è pieno, lo sappiamo e non facciamo gli idealisti. E' la cultura di fondo che è sbagliata e ci vorrà una marea di tempo per cambiarla, però stare fermi a dire che è impossibile non ha senso. Meglio provare a a entrare in contatto con chi va ancora a scuola e ripartire da lì perché ormài non si drogano più per vincere ma solo per stare al gioco». Da settembre si passa alla fase B: questionari anonimi da distribuire in medie e licei, classi battute a tappeto per dire: se avete qualcosa da raccontare vi offriamo una porta aperta e una bocca chiusa. Al centro di ascolto si alternano tre medici, il capostruttura è la dottoressa Daniela Becherini, robusta esperienza da consultorio e uno strato di disillusione che resiste agli urti: «Dai primi approcci con i giovani atleti vedo un sacco di curiosità e un tentativo furbetto di fare domande interessate per sapere quale è il limite esatto tra integratore e droga, se esistono sostanze che aiutano senza inguaiare. Insomma in realtà ci fosse un dopaggio senza conseguenze (penali o fisiche) ne sarebbero febei e sono tutti agli inizi». Pragmaticità e maniche arrotolate, sarebbe perfetta per un medico da telefilm e invece studia approcci per semplificare la materia e dare consigli alla giusta distanza. «Difficile cambiare le teste, per riuscire a far passare anche un solo concetto ci vuole tempo, distacco e chiarezza assoluta». E un sacco di giovedì passati ad aspettare. Nasce un centro per aiutare le vittime del doping
Persone citate: Daniela Becherini, Gino Calderini
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