Addio a Eugenio Cefìs principe della «razza padrona» di ZeniEugenio Cefis

Addio a Eugenio Cefìs principe della «razza padrona» L'ANNUNCIO DELLA MORTE DATO IERI DALLA FAMIGLIA A FUNERALI AWENUTI Addio a Eugenio Cefìs principe della «razza padrona» Armando Zeni UN necrologio pubblicato a funerali avvenuti. Esce di scena così, Eugenio Cefis, con la discrezione che l'aveva sempre contraddistinto, non solo negli ultimi trent'anni quando se ne era andato in volontario esilio, via da tutto e da tutti, prima in Canada, poi in Svizzera, ma anche prima quando era il potente più chiacchierato tra i potenti, )rima alla guida dell'Eni poi a quela della Montedison, principe indiscusso di quella "razza padrona" che contraddistinse l'Italia degli anni Settanta. A luglio, tra due mesi, avrebbe compito 83 anni. Ma erano anni, 27 lunghi anni per l'esattezza, che aveva sorpreso tutti lasciando la poltrona di presidente Montedison, conquistata con un blitz passato poi alla storia finanziaria, dicendo addio al potere e alla gloria. Sorprese persino Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca, l'uomo che aveva pilotato la presa del potere in Montedison di Cefis che, all'annuncio del ritiro, gb avrebbe detto: «Non me l'aspettavo, credevo che lei avrebbe fatto il colpo di Stato». Se ne andò con un patrimonio personale leggendario che il tam tam stimava in non meno di 100 mibardi dell'epoca e per anni, quando qualcuno alla Borsa di Milano vedeva muoversi improvvisamente una massa di capitali in questo o in quell'affare, l'inevitabile voce, mai confermata, mai smentita, era: «E' Cefis che dal Canada sta comprando qualcosa...». Era così, Cefis. Nel bene e nel male: una leggenda. Un personaggio, suo malgrado, lettore appassionato di von Clausewitz, collezionista di ex voto. Imprevedibile. Misterioso. Informato sempre su tutti e su tutto, capace di utilizzare per il proprio servizio d'informazione personale, come documentò una delle inchieste più celebri dell'Espresso volute dall'allora direttore Eugenio Scalfari, anche il Sid, l'ex servizio segreto, che gli passò informazioni riservate su numerosi uomini politici del tempo. Una mania, questa per la segretezza, che lo portarono anche aìU'iscrizione nella loggia massonica P2. Erede di Enrico Mattei, il fondatore dell'Eni, l'uomo che l'aveva conosciuto ai tempi della resistenza partigiana in Val d'Ossola e che lo introdusse all'Agip, primo atto della scalata al potere cefisiana che lo portò nel '67 al vertice dell'ente petrolifero itabano, successore di Mattei dopo la misteriosa morte del capo, precipitato con l'aereo della società in una sera di nebbia ma non troppo, una morte su cui qualche anno fa, in un'intervista al "Corriere", Cefis tornò per dire di non sapere, lui che tutto sapeva, se fosse stata un incidente o un attentato. Certo è che dal "maestro" Mattei Cefis ereditò l'arte di usare la politica. Mattei, è noto e non lo negava nemmeno lui, pagava tutti i partiti. Cefis non disse mai nulla ma usò la politica per sviluppare gli affari e per anni il suo interlocutore principale fu il democristiano Amintore Fanfani. Aveva il phisique du role, Cefis. Alto, impettito. E poi quel suo passato mibtare quando, dopo il liceo classico, dopo la laurea in scienze economiche a Milano, aveva scelto la carriera militare come allievo ufficiale all'Accademia di Modena prestando poi servizio al secondo reggimento dei granatieri di Sardegna. Facile, per amici e nemici, soprannominarlo «il granatiere», uno dei tanti soprannomi che l'accompagnarono nella sua avventura: il più ripetuto? Scontato: «Il signore della chimica». Già, perchè aveva un sogno e l'ha coltivato a lungo, Cefis, quello di fare in Itaba una grande industria chimica con un peso internazionale. Quel che è certo è che, dopo la fusione tra Edison e Montecatini, la neonata Montedison aveva un problema di guida e di strategia. Giorgio Valerio, l'ex numero uno di Edison diventato numero uno in Montedison, a detta di molti, non era all'altezza della missione e così la pensava anche Cuccia, preoccupa¬ tissimo dell'avvenire della creatura Montedison e affascinato dalle capacità manageriali di Cefis. Fu così che, con la regia di Mediobanca, l'Eni, cioè l'azienda più pubblica che potesse esserci, scalò segretamente in soli sette mesi tra il febbraio e il settembre 1968 la Montedison e fu così che, nel '71, dopo un lungo braccio di ferro Cefis divenne il presidente di Montedison e l'uomo più potente d'Italia al centro di una ragnatela di interessi, politici, economici, editoriali (controllava il Messaggero e tentò di far suo il Corriere) senza confronti. Epico, a fine 1971, lo scontro con Michele Sindona, altro chiacchierato protagonista negli anni '60-70 della finanza itabana, per il controllo della Bastogi che ai tempi era uno dei salotti buoni. Cefis voleva la Bastogi, che possedeva azioni Montedison, per fonderla con l'Italpi, altra società azionista di Montedison. Sindona voleva Bastogi per fonderla con la Centrale, finanziaria di sua proprietà, per creare una grande Bastogi e andare alla conquista della Borsa. L'Opa sulla Bastogi lanciata da Sindona occupò pagine epagine dei quotidiani dell'epoca, alla fine fallì e Sindona fu costretto alla ritirata. Dopo anni di potere (quasi) assoluto presenta le sue dimissioni da Montedison nel '75 ma la richiesta è respinta. Non così due anni dopo, nel 77, quando se ne andò sul serio. Portando con sé tanti misteri e molte leggende. Fino alla morte, a 83 anni, via dall'Italia, a Lugano. Erede di Enrico Matte! guidò prima l'Eni e poi la Montedison con l'obiettivo di creare un colosso della chimica Epico lo scontro con Sindona sulla Bastogi Nel 77 si ritirò in Svizzera portando con sé leggende e molti misteri Eugenio Cefis