Al Qaeda

Al Qaeda Al Qaeda «18 mila reclute in sessanta paesi» Maria Chiara Bonazzi LONDRA Al Qaeda può contare su oltre 18 mila reclute in 60 Paesi, pronte a ricevere l'ordine di attaccare l'Europa e gli Stati Uniti, preferibilmente con armi di distruzione di massa. Secondo l'wlntemational Institute for Strategie Studies» di Londra questa «rete delle reti» si è «ricostituita pienamente» dopo la perdita della sua base in Afghanistan. La guerra in Iraq ha «concentrato le energie e le risorse dell'organizzazione e dei suoi seguaci, mentre ha diluito quelle della coalizione globale contro il terrorismo». E' più o meno quello che i servizi segreti britannici avevano predetto a Blair prima dell'invasione, e cioè che il conflitto avrebbe incrementato la minaccia terroristica. Senonché ieri la prestigiosa istituzione di ricerca londinese, famosa per le sue analisi dei rischi della sicurezza globale, ha presentato cifre terrificanti nel suo ultimo dossier strategico annuale. Stime basate su calcoli dell'intelligence, secondo cui dai campi di addestramento in Afghanistan, prima della caduta dei taleban, erano usciti almeno 20 mila terroristi. Malgrado ne siano stati catturati circa duemila, le schiere di quelli che si annidano in agguato in attesa di colpire l'Occidente si sono riorganizzate. Le finanze di al Qaeda godono di buona salute, i suoi dirigenti provvedono alla formazione di militanti islamici in tutto il mondo e le ambizioni di potere del suo leader non sono mai state così forti. Secondo il dossier, «il carisma di Bin Laden, presumibilmente sopravvissuto, rafforza i disegni di conquista del potere da parte della rete». John Chipman, direttore deh liss, ha detto: «Le bombe di Madrid nel marzo 2004 indicano che al Qaeda si è pienamente ricostituita, tiene fermamente nel mirino gli Stati Uniti e i suoi alleati più stretti in Europa e ha stabilito un nuovo ed efficace modus operandi che sfrutta sempre di più i gruppi affiliati locali. Bisogna aspettarsi che al Qaeda continui a tentare di sviluppare piani più promettenti per operazioni terroristiche in America e in Europa, potenzialmente con l'uso di armi di distruzione di massa. Nel frattempo, le basta colpire obiettivi "soft"». Dal punto di vista politico, incalza il dossier, «la guerra in Iraq ha diviso l'America e le principali potenze europee, lasciando il Regno Unito scomodamente nel mezzo, e ha seminato incertezze fra altri governi sulla portata di qualunque contributo agli sforzi del dopoguerra». Anche dal punto di vista militare l'alto prezzo del mantenimento della guerra «ha stabihto un precedente proibitivo», che gh stessi americani faranno fatica a rispettare. L'azione degh Stati Uniti, sostiene l'Iiss, ha lasciato l'Europa in preda a una sorta di «artrite strategica». «L'amministrazione Bush non aveva compreso appieno che gh attacchi deh 11 settembre erano una reazione violenta al predominio americano. Dunque, quel predominio deve cambiare. Per avere una ragionevole aspettativa di conquistare i cuori e le menti, bisogna temperare l'apparenza dell'unilateralismo americano».

Persone citate: Bin Laden, Bush, John Chipman, Maria Chiara Bonazzi