Bandiere ai balconi L'ultima speranza per farci «vedere» di Massimo Gramellini

Bandiere ai balconi L'ultima speranza per farci «vedere» GRANATA DA LEGARE Bandiere ai balconi L'ultima speranza per farci «vedere» Massimo Gramellini CHE possiamo fare? Se lo chiedono in tanti, estenuati da questo «surplace» infinito intorno al cambio di proprietà. Noi tifosi siamo relegati al solito ruolo di strumenti passivi, chiamati ad applaudire o fischiare decisioni prese altrove e per motivi che poco hanno a che fare con i nostri. Cosa possiamo inventarci, allora, dal momento che ci siamo inventati già tutto? Marce di liberazione, lettere aperte e chiuse, appelli disperati, preghiere, giuramenti. Secondo lo scrittore Marco Cassardo, il nostro evangelista, non resta che una cosa da fare: andarcene. Fondare un'altra società, chiamarla Toro e ripartire dacca- pò. Come Alfredo Dick e i suoi amici che un secolo fa, non riconoscendosi più nella Juventus, fondarono il Torino. ' Che noi non ci si riconosca più in «questo» Toro ingannato da Borsano, castrato da Calieri, addormentato da Vidulich e venduto a trance da CimmineUi è fuori discussione. Ma noi, caro Marco, non siamo dirigenti come Dick. Siamo tifosi. Per fare la scissione ci vogliono imprenditori disposti a finanziarla. Temo che Basarins o il sogno Gazprom non accetterebbero mai questo ruolo. Né possiamo pretendere che chi si accinge a entrare nel mondo tempestoso del calcio italiano raddoppi subito l'alea, fondando un club dal niente, col rischio che una parte dei tifosi non lo segua neppure. Forse potrebbe provarci un industriale piemontese, ma quale sia oggi il rapporto fra gli industriali piemontesi e il Toro lo ha illustrato fin troppo bene la sfortunata parabola dell'azionariato popolare. Un'idea romantica, portata avanti da tifosi veri e rispettabili, eppure appassita in fret- ta, essenzialmente per motivi organizzativi. Nonostante la buona volontà di Rodda, Consentino e compagnia, non si è trovato un solo imprenditore disposto a prestar loro una sede e un paio di segretarie a tempo pieno per farla funzionare. E a cosa è servito coinvolgere Pulici e Sala, se poi (per mancanza di fondi, suppongo) non li si manda in giro a reclamizzare l'iniziativa? Chi non riesce a compiere nemmeno queste operazioni elementari non potrà mai gestire un club professionistico. Figuriamoci fondarne uno di zecca. Che possiamo fare noi tifosi, allora? C'è rimasto un gesto in canna. Un gesto semplice e forte. Esporre al balcone o sul davanzale la bandiera del Toro. E' un'idea che è rimbalzata in Internet e che io rilancio qui con convinzione. Non servirà a niente. Però intanto serve a noi, tifosi depressi. Serve a manifestare visivamente la nostra esistenza, esprimendo col linguaggio dei simboli la nostra resistenza. Non è retorica in rima, ma un tentativo di condizionare la realtà. Le bandiere arcobaleno non hanno mai fermato le guerre, ma hanno lavorato sull'incoscio degli scettici, contribuendo a rafforzare il partito della pace. Per chi come me abita al di là dell'Appennino, la bandiera al balcone è soltanto un urlo per rammentare al mondo che il Toro c'è. Ma a Torino e in Piemonte, Val d'Aosta e mezza Liguria, mille strade imbandierate di granata creerebbero un clima emotivo nuovo che finirebbe per riflettersi anche sulle trattative. Se non altro ricorderebbero a tutti - venditore, compratori, gestori di supermercati e affini - che noi non solo non ce ne andiamo, ma che senza il consenso dei tifosi saranno loro a non andare da nessuna parte. Marce, appelli e giuramenti non sono serviti a nulla. E senza imprenditori alle spalle non si può nemmeno ripartire da zero Ci resta solo questo gesto per provare a condizionare la realtà

Persone citate: Alfredo Dick, Basarins, Borsano, Calieri, Consentino, Marco Cassardo, Pulici, Rodda, Vidulich

Luoghi citati: Liguria, Piemonte, Torino, Val D'aosta