«Ruslan» la tradizione è sacra di Giorgio Pestelli

«Ruslan» la tradizione è sacra GLINKA A PIETROBURGO «Ruslan» la tradizione è sacra Il poeta Puskin Giorgio Pestelli SAN PIETROBURGO Quando si va a vedere il «Ruslan e Lucimila» di Gliiika al Mariinsky lo spettacolo prima ancora che sul palcoscenico incomincia in sala: i 1500 posti della grande platea, dei pachi e del loggione sono presi d'assalto e presto coperti da un pubblico che si capisce formato per lo più di famiglie, con bambini in testa, molto compresi della solennità dell'occasione e portati a festeggiare un'opera che è anche una fiaba, oltre che un capostipite dell'opera nazionale russa; l'assalto è pacifico ma tumultuoso e se qualcuno resta senza posto, ecco che mani soccorrevoli mettono fuori come per incanto seggiole e seggioline di fortuna prima che si spengano le luci. Se con altre opere il Mariinsky si lascia talvolta tentare da una misurata modernità, in «Ruslan e Ludmila» ogni innovazione è bandita, tutto deve essere secondo la tradizione più sacra: quando si alza il sipario, salutato da un festoso applauso a scena aperta, sembra di vedere, ingigantite per qualche sortilegio, quelle scene di folclore dipmte sulle scatole di legno smaltato che qui si trovano in ogni vetrina. Si battono le palpebre di fronte a tanto scintillare di colori: sul palco ci saranno cento persone, principi e popolo, troni, barbe bianche, gioielli, trecce bionde e decorazioni su ogni centimetro di legno o di stoffa; lo spettacolo è in coproduzione con l'Opera di San Francisco e il regista Lofti Mansouri, con le scene di Thierry Bosquet, per non sbagliarsi ha realizzato una Kiev arcaica più russa dei russi, con i maghi e le streghe che volano, l'incantesimo della testa che parla, i cori persiani e le danze orientali, insomma tutti gli ingredienti che fanno del «Ruslan» l'archetipo dell' opera fiabesca. Dostoievsky disse una volta che tutti gli scrittori russi erano usciti dal «Cappotto» di Gogol; cosi i musicisti da Glinka. Certo, Glinka era anche nutrito di musica italiana e fiancese, che aveva conosciuto alla fonte, e sopra tutto tedesca, di Weber in particolare; e la sua grandezza non gli viene tanto dall'uso del folclore ma dall'originalità del suo genio musicale: basta ricordare la scena dell'eclisse, costruita su successioni armoniche di audacia straordinaria, l'uso del pianoforte in orchestra, che solo Berlioz aveva praticato in quegli anni (1842), la grazia di arie e duetti, il dilagare dei cori possenti. La fiaba originale di Puskin è molto semplificata, e non vi sono figure che spicchino con rilievo soverchiante sulle altre; e tuttavia ognuna è una tessera luminosa di questo mosaico di magie e di rincorse per favolose distanze. Ludmila è il soprano coloratura Ebibla Gerzmava, voce limpida e fraseggio elegante, come ci vuole per una parte che ricorda, più di Rossini, le sfumature di Auber; Ruslan è il giovane Edward Tsanga e Ratmir, il principe orientale, il contralto Zlata Bidycheva; fra gli altri innumerevoli ricordiamo ancora il Farlaf di Gennady Bezzubenkov, beniamino del pubblico per le sue smargiassate che coprono con la comicità il ruolo di eroe negativo. Il direttore Boris Gruzin ha la fortuna di guidare un impianto solidissimo, con cantanti-attori efficienti fino all'ultimo corista. Il poeta Puskin

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