Nel Labour si parla già del dopo-BIair

Nel Labour si parla già del dopo-BIair Nel Labour si parla già del dopo-BIair Il vicepremier Prescott al «Times»: tutti i premier prima o poi lasciano Maria Chiara Bonazzi LONDRA Mentre Blair si paragona a un allenatore di serie A costantemente sotto pressione e asserisce di voler andare avanti a fare il suo lavoro di primo ministro perché gli piace, nel governo si comincia a parlare di una sua possibile uscita di scena. Il suo vice, John Prescott, alludendo alle manovre in corso fra i ministri per ricollocarsi sotto un leader nuovo, ha dichiarato che «quando le cose sembrano muoversi, tutti si riposizionano» e ha aggiunto che in casa laborista si discute già della vita dopo Tony: «Tutti i premier prima o poi lasciano». Indebohto più che mai dalla crisi irachena ma fermamente deciso a restare al fianco di Bush, Blair è stato duramente rampognato da due ex ministri. Michael Meacher, già titolare dell'Ambiente, lo ha accusato di aver fatto del Regno Unito «lo zerbino imbarazzante e umiliante degli Stati Uniti», mentre Robin Cook, ex ministro degli Esteri, sostiene che gli abusi commessi dai soldati americani nella prigione di Abu Ghraib hanno messo a repentaglio la sicurezza delle truppe britanniche. Entrambi chiedono una strategia chiara per organizzare il ritiro dall'Iraq. Ma il govemo, invece, si prepara ad annunciare la settimana prossima l'invio di altri 3 mila soldati di rinforzo. Meacher ha rincarato la dose: «Quando si tratta degli americani, sembra che abbiamo paura a dire qualunque cosa. Il pjnto è che dobbiamo avere una politica estera indipendente». Blair aveva appena finito di ribadire nel corso di un'intervista air«Independent» che di «guastare i rapporti con il nostro principale alleato nel momento di massima difficoltà» non se ne parla proprio. Si era rifiutato di «considerare il nostro rapporto con l'America dal punto di vista di che cosa possiamc guadagnarci» e inoltre aveva deliberatamente gettato una secchiata d'acqua gelata sulle voci ricorrenti che lo darebbero per dimissionario prima delle prossime elezioni e ha aggiunto che nulla è cambiato da quando aveva espresso il desiderio di restare al suo posto per un terzo mandato al potere. Qualche notabile laborista come Lord Puttnam comincia apertamente a dire che l'Iraq continuerà ad essere una grossa palla al piede di Blair per i prossimi 15 mesi e quindi il primo ministro farebbe meglio a tirarsi da parte prima che questo possa costare una valanga di voti del partito. Ma nessuno all'interno del governo aveva ancora parlato apertamente di una discussione in corso sul cambio della guardia alla leadership del Paese. John Prescott, il vice primo ministro, lo ha fatto nel corso di un'intervista con il «Times», che il giornale ha intitolato: «E' in atto una corsa per accaparrarsi la corona di Blair». Prescott ieri ha criticato questo titolo e ha smentito che sia in corso una gara per la poltrona di primo ministro: «Sono solo state fatte delle riflessioni sulla questione della leadership», ha detto. Però non ha fatto parola dell'intenzione del primo ministro di restare al potere per un intero terzo mandato. Il vice di Blair, giudicato uomo assolutamente fedele al leader ma estraneo agli schieramenti dell'uno o dell'altro ha voluto far emergere che lui è del vecchio Labour e non del «New Labour» come invece Blair e Brown che «escono dallo stesso allevamento». Appare probabile che Blair non pensi a dimettersi prima delle elezioni e miri a essere riconfermato dopo un'altra eventuale vittoria laborista, in modo da rimanere in carica ancora un anno o due, per poi passare il timone al cancelliere Gordon Brown, che si era ritirato a malincuore dalla corsa per la leadership del partito nel 1994. Ma Prescott ha avvertito fuori dai denti Brown di non aspettarsi «un'incoronazione», perché una cosa simile non esiste nel partito laborista. Poi ha cercato di non indispettire il premier dicendo che «il problema del lascito e dell'eredità si porrà quando lo deciderà Blair». Blair, intanto si dice «frustrato» per il fatto che la crisi irachena continua ad oscurare quelli che lui ha definito i risultati significativi ottenuti dal governo in materia di posti di lavoro, economia e servizi pubblici: «Ma la pohtica è dura dal principio alla fine: bisogna fare quello che si ritiene giusto. Posso fare arrabbiare la gente ma la vita è fatta così. Ho perso il conto delle "settimane peggiori della mia vita" che ho avuto, ma non me ne cruccio e tiro avanti». L'inquietudine delle retrovie laburiste, tuttavia, è a fior di pelle. La settimana prossima questo sentimento potrebbe ritorcersi contro il ministro della Difesa Hoon, al momento dell'annuncio dell'invio dei rinforzi in Iraq, e trasformarsi in rabbia. Il capo del governo accusato da alcuni suoi ex ministri di aver ridotto l'Inghilterra a «zerbino dell'America» Laburisti in crisi: «L'Iraq sarà la nostra palla al piede e ci costerà una valanga di voti» Tony Blair continua a scendere nei sondaggi e la sua linea sull'Iraq fa temere al partito un tracollo nelle prossime elezioni

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