l'Italia sotto il cappuccio

l'Italia sotto il cappuccio l'Italia sotto il cappuccio Dal Risorgimento fino al fascismo: come la Massoneria, di loggia in loggia, ha fatto e disfatto il Paese BASTA piazzare sui manifesti elettorali un bel faccione conosciuto dai telespettatori? O avere un ingente patrimonio alle spalle, mettere a segno significativi successi nell' imprenditoria, nello sport, nello spettacolo, essere una firma importante del giornalismo o dell'accademia, per far parte davvero delle «squadre» capaci di dar voce alla classe dirigente di un Paese? Sino a qualche decina di anni fa una dozzina forse meno - di «squadre» costituivano buona parte dei vertici della classe dirigente di una nazione. In Italia ad esempio, le «squadre» erano quelle della Fiat e dello Stato Maggiore dell'Esercito, della Banca d'Italia e della Commerciale-Mediobanca, della Farnesina e della Segreteria di Stato del Vaticano. Più pochi altri team forgiati da grandi istituzioni, aziende, partiti. Squadre strettamente accostate le une alle altre nel quotidiano operare, talvolta alleate, mai confusamente intrecciate però. Poiché il «brand» di appartenenza iniziale era qualcosa di irrinunciabile e di così distinguibile, in grandi scelte e piccoli gesti - almeno per chi sapeva osservare le silenziose ma poderose liturgie del potere - che neppure volendo si sarebbe potuto mescolare il marchio di una squadra con quello di altre. In questo contesto si è mossa - e ben prima della nostra unificazione nazionale - un'istituzione quale la Massoneria ' che, pur non costituendo in senso stretto una «squadra» a sé, nel corso della sua lunga storia ha avuto a che fare con molte «squadre». 0 meglio, con jli appartenenti a molte di quelle «squadre» che hanno contato non poco nelle vicende italiane. Di questo tutt'altro che secondario tratto di un pezzo della nostra memoria comune parla Fulvio Conti nella sua documentata e assai interessante Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, appena pubblicata da il Mulino. Quello di Conti è uno studio che giunge al momento giusto poiché, paradossalmente, grazie alle ricerche storiche che nel nostro Paese hanno avuto in Carlo Francovich il loro battistrada, per lungo tempo si è saputo mólto di più sul dispiegarsi delle fratellanze massoniche settecentesche che delle successive organizzazioni ottocentesche. Certamente ha pesato su questa particolare deformazione della percezione storica, quanto accade dopo i trionfi napoleonici che, di fatto, sovrappongono, in quasi tutta la penisola, troni, incarichi politici e cariche massoniche in modo quasi automatico. Tanto che l'adesione alla loggia diventa un modo per essere «à la page, dove i ceti borghesi emergenti si incontravano con il burocrate, i funzionari del regime, con gli ufficiali dell'Armée, con quella parte della nobiltà che aveva accolto con favore i nuovi venuti e non disdegnava di intrecciare con questi una fitta trama di relazioni sociali e politiche». Una situazione che fa sì, afferma Conti, che nei primissimi anni dell'Ottocento ammontino a oltre duecentocinquanta le logge attive nella penisola, per un totale di circa ventimila affiliati. Con la Restaurazione cambia musica: oltre alle consuete condanne da parte della Chiesa CattoUca si aggiunge la caccia all'ex-massone da parte dei nuovi sovrani rimessi sul trono dal Congresso di Vienna. Congresso dal quale, comunque, emerge l'assoluto divieto di «nominare o proporre a pubblici impieghi alcuno che avesse appartenuto alla setta de Franchi muratori». Sono queste vicissitudini, e i successivi intrecci con i moti cospiratori risorgimentah, a dare - secondo alcuni - alla Massoneria italiana che si ricostituisce, quei tratti che la fanno guardare, da certa storiografia, e polemica politica, non solo ottocentesca, non solo moderata e cattolica, «come un centro occulto di potere, come un luogo di incubazione di complotti, come una causa di diffusione della corruzione e del clientelismo». La ricostruzione di Conti è preziosa perché scende sul terreno articolato e dettagliato della composizione sociale, dei legami con le cordate politiche, delle dislocazioni territoriali della massoneria italiana. E' un lungo racconto che parte dalla ricostituzione, a Torino, del primo germoglio del futuro Grande Oriente d'Italia sorto con la creazione della loggia Ausonia. E ha un momento centrale dopo la significativa stagione, posta a cavallo tra Ottocento e Novecento, che vede Nathan gran maestro maestro massonico nonché sindaco di una Roma laica e liberale, con la scissione che oppone i due tronconi di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù. Motivo della scissione una diversa concezione della laicità della scuola elementare, difesa strenuamente alla Camera dei deputati da una mozione del socialista Bissolati che s'oppone al governo, quello di Giolitti, che vuole introdurre l'ora di insegnamento rehgioso. La durissima contrapposizione interna ai «confratelli» - tra chi vuole contrastare assolutamente l'intendimento governativo e chi è più duttile - e la successiva inchiesta sul voto dei deputati framassoni, condotta deÙa giunta disciplinare del Grande Oriente, consente di valutare con esattezza il «peso» della componente massonica all'interno della Camera dei Deputati. Su 508 deputati i massoni sono 38, pari percentualmente al 7,707o. Sparsi in diversi schieramenti ci sono nomi assai noti: vanno da Salvatore Barzilai, repubblicano, ad Andrea Costa, socialista. Nell'area liberale e giolittiana emergono personaggi di spicco come Alessandro Fortis (già presidente del Consiglio) nonché diversi ministri o ex-ministri (De Marinis, Finocchiaro-Aprile, Ferdinando Martini, Leonardo Bianchi, Scipione Ronchetti). Tra i confratelli sotto accusa anche il ministro dell'Istruzione Luigi Rava che, conservando una personale coerenza col provvedimento che ha proposto, è contro la totale laicizzazione. L'inchiesta del 1908 pur sottolineando il peso massonico, non solo nella Camera ma anche dentro le «squadre» che allora contano nel Paese, delude gli avversari moderati e cattolici. Era infatti convinzione comune che i «confratelli» fossero, e contassero, assai di più. E per avere un elemento di confronto con tempi a noi più vicini Fulvio Conti va a rammentare come, nel 1981, la sola loggia P2 di Licio Celli annoverasse nei suoi ranghi «36 membri del Parlamento più un certo numero di ex-parlamentari e di esponenti politici di rilievo locale». Un'istituzione che, pur non costituendo in senso stretto una «squadra» a sé, nel corso della sua lunga storia ha avuto a che fare con molte «squadre» La ricostruzione di Conti scende sul terreno della composizione sociale, dei legami con le cordate politiche, delle dislocazioni territoriali Un congresso massonico a Milano nel 1897 Fulvio Conti Storia della massoneria italiana Dal Risorgimento al fascismo Il Mulino pp. 457,^24

Luoghi citati: Ausonia, Italia, Milano, Torino, Vienna