Un medico rida la voce a Carmen

Un medico rida la voce a Carmen Un medico rida la voce a Carmen Bruno Quaranta CORRONO come palle da biliardo i racconti di Guido Conti, sapientemente orientati dalla stecca di un affabulatore mai stanco, accanto a sé, in sé, sempre vivida la fantasia, la sveltissima servetta di pirandelliana memoria. C'è una levità clownesca nelle nuove storie del prode parmigiano (prode ovvero coraggioso, il coraggio di seguire sentieri meravighosamente provinciali, la miniera di spartiti umani che è la provincia, lì a contraddire il pianeta trendy), ciascuna commedia una carovana di versicolore crepuscolarismo. Dall'esordio sontuoso - un banchetto di Po - nel 1998 con II coccodrillo sull'altare, a I cieli di vetro, a li taglio della lingua, al fresco di stampa Medico all'Opera, Guido Conti obbedisce alla lezione di un «maggiore» quale Ezio Raimondi, il suo invito a onorare il motto leopardiano «esplorare il proprio petto» -, a rifuggire la «cultura-esperanto universale, quella degli aeroporti e dei motel», a scorgere nella parola letteraria il «luogo della diversità e della solitudine che unisce popoli completamente diversi». Non esita, Conti, a esibire il suo «manifesto», girovagando intomo a una Carmen d'antan, una russa che libererà la voce - mirabile ugola - solo dopo aver sedato la carne, in camerino, beninteso... «Gli scrittori veri... e io ne ho conosciuti di scrittori e di poeti!, scrivono della realtà. E' inutile che spremano quel loro cervello secco come un limone per scrivere pagine senza sugo! Bisogna scrivere la vita vera! Bisogna scrivere col sangue». C'è sangue, nel Medico aZl'Opera, un'adesione alle radici, una discesa nelle viscere, una compenetrazione nell'alfabeto indigeno da cui discende l'invenzione. E' come se Guido Conti qui e nelle ulteriori prove - arasse, avesse arato, in lungo e in largo la sua pianura avanti di narrarla. Evoca, in «Lepri», Carlo MattioU. A modo suo ne ha assimilato il metodo: l'artista naturaliter parmigiano illustrò i Canti leopardiani solo dopo averli ricopiati a mano, il vomere che è la penna. Ecco: quella di Guido Conti (neanche quarantenne) è una prosa virile, zavattiniana, lo Zavattini che sollecita ad afferrare i ricordi «per le coma», lasciandoli quindi sulla carta «esausti». Mescolati, frullati, sbattuti con una lingua che vibra di ogni febbre popolare, mai scottandosi. Perché è in primis terrestre, padano, potentemente impuro e naturalistico il mondo piccolo di Un medico all'Opera, salvo un paio di uscite fuori di casa, tra Vigevano e Roma. Dominante il fiume, la potenza che ad ora incerta atterra e suscita, consola e stronca e - superiore alchimia - sferzando strappa l'ilarità (la bara della maestra inseguita nel pioppeto sommerso, nell'acqua che «saliva dal basso come se ci fosse un fuoco che la facesse ribollire piano»). Piove assai nelle «favole» di Conti, piove «grosso», piove «che Dio la mandava». Piove sulla gente e sulle bestie, gente e bestie che dagli albori, nei secoli dei secoli, si confondono: c'è la vecchia sciancata «con la grazia di un'oca obesa», c'è il contadino «morto con l'asino sotto una frana di sassi», c'è l'ape che morsica in gola il norcino soffocandolo, c'è il maiale pianto come un figho. Crudele (una crudeltà che talvolta è l'altra faccia della pietà: «Seguiva i funerali poveri delle maestrine invecchiate male, con la pancetta come una gravidanza sempre sognata e mai realizzata»); ebbene: crudele, beffardo, burlesco il caravanserragho di Conti, specchio di un rusticano teatro, un inventario di folli gene rati da folli, folli prima ancora che la luna si avvicinasse alla terra... Dalla «Partita col morto» che attende un regista come Pupi Avari al giogo del bordello, all'incubo gotico nella chiesa (e sotto il coro della chiesa) di Stuffione, maledetta e benedetta Bassa. Guido Conti qua e là ricorda (a proposito di ricordi) il destino toccatogli in sorte, la necessità interiore a cui si uniforma: ridare voce «alla voce dei morti e ai fantasmi del passato dentro di me». Mai inciampando nella necrofilia, mai lasciandosi assordare dalle pievi antiche, dalle loro campane. Fra tanti becchini della letteratura, un po' di vita, di sangue, di più (siamo in riva al grande Padre): una salutare «piena». Il teatro lirico è fra i «palcoscenici» delle storie di Guido Conti I nuovi racconti del parmigiano Guido Conti; fra piene del Po, fantasmi, burle, sensuali cantanti liriche Guido Conti Un medico all'Opera Guanda pp. 189,ei4 R A C C O N T

Luoghi citati: Roma, Vigevano