Ossigeno sul K2 di K2 Alberto Papuzzi

Ossigeno sul K2 IL CASO RISOLTO NELL'ANNO DEL CINQUANTENARIO. LA PRIMA INTERVISTA DI WALTER BONATTI DOPO IL VERDETTO DEI TRE SAGGI CHE GLI DA' RAGIONE Ossigeno sul K2 Alberto Papuzzi DUBINO (SONDRIO) ../^ HE cosa mi aspetto a " V^ questo punto? Che il Club Alpino faccia un documento che riconosca la verità sul "caso K2", ma anche fissi i punti di una menzogna durata ormai cinquant'anni. Una menzogna fatta passare come la verità ufficiale. Io vorrei che si sostituisse la verità ufficiale con la realtà dei fatti, facendo conoscere la versione autentica quanto si è diffusa quella spuria. Se tutto si risòlvesse in un documento,da mettere nell'Archivio del Cai, non mi sta bene». Così Walter Bonatti, fedele al suo temperamento, si rivolge al Cai, dopo il verdetto dei tre saggi - Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi - incaricati di chiarire che cosa realmente avvenne sulla seconda cima del mondo (86LI metri) quando gli italiani la conquistarono (31 luglio 1954). Le cose sono andate così: lo scorso dicembre, avvicinandosi l'anniversario dell'impresa, storici, alpinisti, giornalisti hanno firmato un appello perché il Cai affrontasse sul serio il caso K2, dopo decenni di politica tartufesca. Perciò sono stati nominati i tre saggi, che il 28 aprile hanno consegnato una relazione di 37 pagine, praticamente confermando quanto scritto da Bonatti nei suoi libri denuncia (ultimo titolo: K2 la verità. Storia di un caso). Quindi il Cai ha presentato il documento, il 3 maggio, in una conferenza stampa del suo vicepresidente Annibale Salsa. Diffusa la notizia, non sono mancati vari commenti, ma il grande alpinista è rimasto in silenzio. Giusto fino a questa intervista, sua prima reazione pubblica. Il caso K2 ha occupato in questi cinquant'anni molte pagine, di libri e giudiziarie. Quindi è difficile fare una sintesi, eppure le chiedo: qual è il punto chiave della menzogna? «Il fatto che Compagnoni e Lacedelli abbiano affermato di essere saliti in vetta senza ossigeno, anche se carichi dei contenitori vuoti, che suona già abbastanza strano, perché pesavano circa una ventina di chili l'uno e non si capisce perché avrebbero dovuto portarseli dietro. Intorno a questo punto girano molteplici menzogne: loro falsano l'ora di partenza per l'assalto alla vetta e le quote e i luoghi dell'ultimo campo. Non so bene perché lo facciano: per darsi gloria, e poter dire che gli italiani avevano fatto il K2 senza ossigeno, mentre gli inglesi, l'anno prima, avevano salito l'Everest con l'ossigeno. Oppure sono entrati in gioco meccanismi più oscuri e complicati, che non so decifrare. Il problema è che per rendere credibile la bugia devono distruggere la mia testimonianza». Ma lei dove si trovava fra il 30 e il 31 luglio del 19547 «Quando arriviamo. Compagnoni, Lacedelh, io e Gallotti, all'ottavo campo, con tempo garantito per 24 ore al massimo, capisco che o si tenta alla garibaldina o addio all'impresa. Mi offro, volontariamente, di sobbarcarmi, con Gallotti, il recupero delle bombole, e dico ai due: "Intanto che voi andate a mettere il campo 9, noi scendiamo al campo 7, prendiamo i due trespoh con fossigeno e li portiamo su, se no non ce la fate". Così si è fatto. Ma, risaliti al campo 8, Gallotti non ce la faceva. Per fortuna sono arrivati l'hunza Madhi e Abram (che più tardi tornerà indietro). Con loro, il. giorno 30 siamo saliti, per portare le bombole su all'ultimo campo. Doveva essere piazzato su una spalla a 7900 metri, in un posto sicuro, invece non riusciamo a trovare la tenda. Grido: "Dove siete?" e sento rispondere: "Seguite le piste". Arrivati in cima, in una selletta, le piste però finivano. Raggiungo un certo masso roccioso, convinto che la tenda sia li dietro. Ma non c'era. Eravamo già oltre gli ottomila ed erano calate le ombre della notte. A quel punto mi sono sentito tradito. E ho gridato: "Quando scendo vi denuncio". Guarda caso si accende una pila, a una distanza di circa 150 metri in linea d'aria, ma poco sopra di noi in altitudine. Una voce chiede: "Avete l'ossigeno?". Rispondo di sì: "Lasciatelo lì e allora scendete". Si spegne la luce. Io non avevo pila e non potevo scendere né salire. Madhi era già fuori di sé. In realtà pensavo che venissero a prenderci, perché noi, come d'accordo, dovevamo assolutamente riparare nella tenda. Soltanto che, come poi ho appurato, la tenda era fuori via, invisibile. Loro, che avevano la luce, dovevano venirci incontro. Ma non si è visto nessuno. Invece di loro, nella notte, è arrivata la bufera». Quindi avete passato, lei e lo hunza, la famosa notte nella buca... «Non era ima buca. Eravamo su un pendio a 48 gradi, ripidissi¬ mo. Io ho scavato con la picozza quel tanto che bastava per stare seduti con le gambe nel vuoto. Al mattino ho disseppelito le bombole, ho aiutato Madhi a mettersi i ramponi. Lui ha voluto scendere subito, io ho atteso il primo raggio di sole. Per sostenere che sono saliti in vetta senza ossigeno. Compagnoni e Lacedelh hanno detto che ho succhiato le bombole, io che non avevo né maschera né respiratore». Questo è uno dei punti su cui lei si è rivolto al tribunale? «Non era l'unica calunnia. Io querelai, quarant'anni fa. Nino Giglio e la Gazzetta del Popolo perché mi avevano, accusato di avere cercato di precedere i due per essere il primo salitore, di aver usato nella notte l'ossigeno così da lasciarli senza, di aver abbandonato Madhi, provocandogli il congelamento degli arti. Il processo durò tre anni, la sentenza mi diede piena ragione». Come pensa che siano andate le cose nella realtà? «Immagino che Compagnoni e Lacedelli si siano alzati verso le sette. Ci hanno messo un'ora a scendere a recuperare le bombole, poi mezzora per caricarle e prepararsi, si arriva alle 8.30, dieci ore di sahta, alle 18 erano in cima. Teniamo conto che le bombole erano quelle originali, di fabbricazione tedesca, contenevano 220 atmosfere, pari a 12 ore di ossigeno». Ma quando pensiamo alla montagna come a un luogo idealizzato, dove prevalgono i sentimenti migliori, allora ci sbagliamo «La gente si sbaglia, è la retorica che vuole che la montagna sia un posto per idealisti e puri, ma gli uomini sono sempre quelli, in basso e in alto. Se ho fatto un errore, è stato di credere in valori utopistici. La mia grande colpa è stata l'ingenuità. D'altronde ho compiuto 24 anni in quei giorni». Ci sono Stato respozisahUi- tà del capospedizioile Ardito Desio? «Eccome. Solo a lui spettava stendere la relazione ufficiale, vergare la storia. E lui ha interpellato Compagnoni e Lacedelli, ma io non sono mai stato interpellato. Quest'uomo, d'altronde, non aveva trovato di meglio che sostituire al dialogo gli ordini del giorno. Non a caso lo chiamavamo "il ducette"». Come venne deciso che in cima sarebbero andati Compagnoni e Lacedelli? «Con un ordine del giorno, che io vengo a conoscere soltanto al mio rientro al campo base, alla fine di tutto, Desio aveva stabilito che Compagnoni avrebbe capeggiato la sahta finale. In realtà, per suoi limiti, non era il più idoneo. Lo era Lacedelli, che lui scelse come compagno. Sono stato tentato di dire: Achille prendo il tuo posto. Ma avrebbe dovuto essere lui, a dirlo. A proposito di Lacedelh, sono convinto che lui sia stato più che altro succube di Desio e Compagnoni. Purtroppo facendo da cassa di risonanza alle loro versioni». Come mai lei quasi non compare nel film della spedizione, «Italia K2»? «Io ho dato talmente fastidio che quando è uscito il film Italia K2 al cinema Barberini, con tutte le autorità, ho scoperto con amarezza che praticamente non esistevo. Comparivo solo in un'inquadratura dove la voce fuori campo diceva: "Arriva la posta!" e mi si vedeva ritirare una lettera, e alla fine, all'alzabandiera. Totalmente ignorato il bivacco nella notte... Allora vado da Amedeo Costa, vicepresidente del Cai, e gli dico "Meo, ma com'è questa storia?" Lui stesso rimane stupito. Per cui hanno dovuto inserire delle inquadrature con due assolutamente irriconoscibili, che arrancano nella bufera. La voce fuori campo dice più o meno: "Mentre Compagnoni e Lacedelli si preparano all'assalto finale, Bonatti e Madhi portano loro l'ossigeno...". Non c'era materiale su di me». Questa vicenda diminuisce il valore della conquista delK2 «No, la rende più limpida e umana. Io riconosco a Desio il merito di aver portato la spedizione alla base della montagna e riconosco il merito di Compagnoni .e Lacedelh di essere arrivati in cima. Ma tutta la squallida storia disonesta, prodotta dalle bugie, doveva - e deve essere spazzata via». «La verità è stata finalmente ristabilita ma ora deve essere proclamata e diffusa quanto è stata diffusa la menzogna Se tutto si risolve in un documento da mettere in archivio non mi sta bene» « Penso che la tenda sia dietro una roccia Ma non c'era. Eravamo a ottomila, di notte Mi sento tradito e grido: "Quando scendo vi denuncio" Come poi ho appurato la tenda era invisibile Era fuori via» 1 componenti della spedizione Italia Karakorum 1954 che conquistò la seconda vetta del mondo (8611 metri); Da sinistra, in ginocchio Soldà, Lacedelli, Pagani, Abram, Bonatti. Nella fila mediana da sinistra Puchoz, Floreanini, Viotto. In centro Desio. In alto da sinistra Compagnoni, Angelino, Rey, Gallotti, Zanettin, Fantin. Foto A. Costa. Guidata da Desio, la spedizione ottenne il successo la sera del 31 luglio

Luoghi citati: Desio, Dubino, Italia, Sondrio