Anche i critici nel loro piccolo di Mario Baudino

Anche i critici nel loro piccolo STRONCATURE, ONOFRI CONTRO TABUCCHI Anche i critici nel loro piccolo Mario Baudino TORINO LA definizione proposta da Frutterò S- Lucentini e rilanciata da Nico Grengo nel titolo del suo romanzo. L'intagliatore di noccioli di pesca, sta avendo fortuna. Riguarda i critici letterari, anzi più precisamente quelb «militanti», che seguono la produzione contemporanea sube pagine dei quotidiani e dei periodici. Intagbano nocciob di pesca, e cioè fanno un lavoro del tutto inutile, con la loro «aura pateticamente fatua e vana» (secondo la citazione di FfrL posta in apertura del romanzo), o sono gb ultimi baluardi di un vero amore per il libro, nonostante il mondo chiuso in cui giochetti e meschinità fanno comunque parte del colore locale? Va detto che, aba Fiera, questi intagbatori a volte s'arrabbiano. Massimo Onofri, per esempio: itabanista e critico mibtante, nel suo intervento ab'incontro organizzato dab'Einaudi intomo a questo tema, e quindi al libro di Orengo, ha puntato il dito contro Antonio Tabucchi, cui aveva stroncato Tristano muore, romanzo che tra l'altro viene presentato oggi in Fiera. Ma parlando debe droghe assunte dal protagonista, Onofri aveva citato la cocaina anziché l'eroina. «Tanto è bastato perché, in un'intervista con Radio Popolare, Tabucchi mi desse del cocainomane, interpretando il mio errore di fatto come una sorta di lapsus freudiano». Chissà come ci avrebbe patito, in una situazione simile, il professor Scubino, protagonista del libro di Orengo. Ma anche Onofri non pare contento, anche se proprio questo fatterebo sembra inebcare che, aba fin fine, la tribù degb «intagbatori» non è così marginale. Possono, all'occorrenza, far perdere le staffe anche ai più titolati. Ma è questo b loro ruolo? Neba discussione Lorenzo Mondo si chiede se la critica letteraria, oggi, abbia un senso, e la risposta è positiva. Non è solo questione di nocciob di pesca, ma di amore per i libri. E Alfonso Berardinelb, che sub'argomento aveva scritto tempo fa una Commemorazione provvisoria del critico militante, azzarda che forse ci si può spingere anche oltre: magari la migbor critica è queba orale, fatta «a voce», proprio come accade ai personaggi di Orengo. Suona come un paradosso: è tutto vero, la vita culturale si nutre soprattutto di conversazioni, ma nebo stesso tempo è riduttivo, perché significherebbe immaginare un mondo chiuso, ebtario e impenetrabbe. Neba realtà non avviene, e non è augurabbe che avvenga. Diverso è b discorso del romanzo, appunto, e per di più un romanzo, nel caso di Orengo, che mette in scena questo mondo, ovvero tutti gb attori reab, con nomi e cognomi. È un libro, come sottobnea Paolo Mauri, «che parla anche di noi)), e lo fa al modo deba letteratura, con una dose di ambiguità. Basta cambiare appena la prospettiva, e lo si può leggere come una satira spietata o come un atto d'amore per la letteratura. O una metafora deba Fiera, dove si parla di tutto ma una discussione sulla critica può diventare un'isola, quasi una rarità preziosa. . Si affacciano intanto altri scrittori incuriositi, ascoltano, discutono. Per esempio Guido Conti (Un medico all'opera è uscito quest'anno per Guanda), che ammette onestamente di non sopportare le stroncature. Come Tabucchi? O Bruno Arpaia, che ha tra l'altro pùbbbeato una sorta di lungo dialogo con Luis Sepùlveda {Raccontare, resistere, oranèitascabib deba Tea) per il quale la critica mibtante ha senso solo se è un servizio al lettore. E si potrebbe andare avanti all'infinito, perché gb «intagliatoli» dal loro piccolo o grande lavoro non si staccano mai. Come sostiene Orengo, vale un principio: mai dire «leggi che ti passa», ma sempre «leggi che ti resta».

Luoghi citati: Torino