L'Orni: niente voto se la sicurezza non migliorerà di Paolo Mastrolilli

L'Orni: niente voto se la sicurezza non migliorerà L'Orni: niente voto se la sicurezza non migliorerà Paolo Mastrolilli NEWYORK «Se la situazione della sicurezza in Iraq non migliora, è chiaro che l'Onu non parteciperà a delle elezioni modello Topolino. Il voto e il fucile non vanno mano a mano». E' chiaro fino alla rudezza l'avvertimento lanciato da Carina Perelli, direttrice della divisione del Palazzo di Vetro per l'assitenza elettorale, mentre il Pentagono ha ammesso le difficoltà incontrate sul terreno mobilitando altri 10.000 soldati e 37.000 riservisti. La Perelli è una diplomatica uruguayana, che si sta occupando di organizzare il voto da quando gli Stati Uniti hanno allargato il raggio d'azione dell'Orni. Le elezioni, in teoria, sono previste per il prossimo gennaio, e dovrebbero servire a selezionare l'autorità legislativa e quindi il governo, che prenderà il posto dell' esecutivo provvisorio destinato a gestire il passaggio dei poteri programmato da Washington a fine giugno. Secondo l'inviata di Kofi Annan, che ha appena concluso una missione di tre settimane in Iraq, il processo elettorale è «più che avviato». La Perelli in realtà pensa di essere in anticipo sui tempi, dal punto di vista organizzativo, ma teme che le continue violenze costringano il Palazzo di Vetro a rimandare il voto. Per favorire il ritorno della stabilità gli americani stanno lavorando ad una nuova risoluzione, che dovrebbe sancire il passaggio dei poteri ad un nuovo governo locale, e quindi forse creare anche una nuova forza multinazionale per proteggere proprio i funzionari dell'Onu. La situazione sul terreno però resta precaria, come ha dimostrato la decisione del Pentagono di mobilitare altri 10.000 soldati in servizio attivo e 37.000 riservisti. Questi uomini verranno inviati in Iraq per mantenere le truppe al livello attuale di circa 138.000 uomini, almeno fino all'autunno. In origine la Casa Bianca sperava di cominciare a ritirare una parte delle forze schierate entro le elezioni presidenziali di novembre, ma le violenze delle ultime settimane hanno allontanato questo obiettivo. Ieri le milizie fedeli al leader religioso sciita Muqtada al Sadr hanno attaccato ancora gli americani a Najaf, la città sacra dove si nasconde il capo dei ribelli, e i bulgari a Karbala, altro centro sacro per i fedeli. In questi scontri non ci sono state nuove vittime tra le truppe degli Stati Uniti, ma quattro soldati hanno persola vita vicino a Baghdad quando il mezzo con cui pattugliavano le strade si è rovesciato. Ahmed Chalabi, il capo dell' Iraqi National Congress, è andato a Najaf per incontrare al Sadr, mentre il ministro degli Esteri iraniano ha sollecitato gli Stati Uniti a lasciare che i leader religiosi sciiti locali risolvano la questione aperta con il collega ribelle. A Falluja, invece, l'ex generale Mohammed Latif ha preso il posto del collega Jasim Mohamed Saleh alla guida della brigata irachena incaricata dagli americani di riportare l'ordine. Latif ha detto che la popolazione non è responsabile degli scontri e il Pentagono ha dichiarato che una parte della città è già tornata alla normalità. Ma i presunti guerriglieri stranieri, accusati di aver fomentato la rivolta, potrebbero già essere scappati.

Persone citate: Ahmed Chalabi, Carina Perelli, Jasim Mohamed Saleh, Kofi Annan, Mohammed Latif, Perelli, Sadr

Luoghi citati: Baghdad, Falluja, Iraq, Stati Uniti, Washington