BUSH come cambia un americano di Maurizio Molinari

BUSH come cambia un americano IL PRESIDENTE DEGLI USA NEL NUOVO LIBRO DI MAURIZIO MOUNARI, DA OGGI NELLE LIBRERIE. STORIA DI UNA METAMORFOSI CHE SI RISPECCHIA IN UNA MISSIONE BUSH come cambia un americano Maurizio Molinari I discorsi del 13 e 20 settembre cambiano il volto della presidenza. L'uomo che prima dell' 11 settembre sembrava impacciato, arrogante ed incerto, inciampava sull'inglese e veniva bersagliato dai media per le gaffes commesse, adesso, di fronte all'emergenza, sfodera una determinazione e un'oratoria che conquistano gli americani, che rappresentano l'umore di un Paese costretto a combattere da un attacco a tradimento. Il paragone più ricorrente è con (juanto avvenne a Pearl Harbor ed è Bush stesso che vi fa riferimento, ricordandolo come r«attacco a sorpresa» che portò l'America nella Seconda Guerra mondiale. In realtà vi sono delle differenze: nel dicembre del 1941 Franklin Belano Roosevelt preparava già da tempo il Paese all'entrata in guerra ed aveva la politica estera in cima all'agenda, mentre nel settembre del 2001 Bush guida un Paese che ritiene in pace con il resto del mondo, non vi è alcuna indicazione di conflitti possibili e le sue priorità dal momento dell'elezione sono tutte di politica interna, dal taglio delle imposte ai programmi per l'educazione. Il momento che suggella la trasformazione del Presidente è quando, il 14 settembre, abbraccia il pompiere anziano Bob Beck durante la prima visita alle macerie di Ground Zero. «La nazione è a fianco della gente di New York, New Jersey e Connecticut unita nel lutto per migliaia di cittadini», esordisce parlando con un megafono bianco. Ma dalla folla di pompieri e personale di soccorso si leva un grido di disappunto: «Non ti sentiamo». La risposta spontanea è da comandante in capo: «Io vi posso sentire, il resto del mondo vi sente e coloro che hanno distrutto questi edifici ci sentiranno presto». Nel sistema costituzionale americano, basato sull'equilibrio fra poteri che si controllano reciprocamente, quando vi sono situazioni di grave crisi lo scenario muta radicalmente: l'opinione pubblica e il Congresso guardano al Presidente come al loro leader, manager e salvatore. Durante la guerra civile. Abramo Lincoln ebbe a disposizione poteri straordinari e così fu per Franklin Delano Roosevelt durante la Seconda Guerra mondiale. Ma non tutti i Presidenti si sono dimostrati all'altezza: durante la Guerra Fredda, le maggiori sfide le subì il democratico Jimmy Carter, il quale però arretrò di fronte all'invasione sovietica dell'Afghanistan, accettandola, e venne poi umiliato dalla crisi degli ostaggi nell'ambasciata di Teheran, reagendo solo con un blitz - l'operazione Desert One che si trasformò nel più umiliante dei fallimenti militari del dopoguerra. Il costituzionalista Clinton Rossiter nel suo Constitutional Dictatorshìp. Crisis Government in the Modem Democracy del 1948 riassume il senso della trasformazione dei poteri di un Presidente americano in tempo di grave crisi spiegando che diventa, nello spazio di un mattino, un «dittatore costituzionale». Bush non fa eccezione. Fino al IO settembre è accusato dai democratici di aver usurpato la vittoria elettorale, è considerato dai media un politico superficiale, intellettualmente debole, destinato al peggio nel confronto con il Congresso ed è ai ferri corti con gli alleati a causa della difesa antimissile e del Protocollo di Kyoto. Adesso invece i democratici fanno quadrato attorno a lui, la sua oratoria conquista gli americani, il Congresso gli consegna poteri senza precedenti e la commuta intemazionale si unisce all'America in segno di forte solidarietà. L'attacco dell'I 1 settembre cambia lo scenario a favore di Bush perché dà all'amministrazione un obiettivo chiaro, la priorità da perseguire nei quattro anni di governo: fermare il terrorismo, difendere la nazione. Parole e gesti del Presidente descrivono che cosa sta avvenendo. Quando il pomeriggio dell'II settembre toma alla Casa Bianca e si rivolge alla nazione dallo Studio Ovale, definisce gli attacchi «atti di guerra», preannuncia una «monumentale lotta fra il bene e il male» nella quale «il bene prevar¬ rà» ed assicura che gli Stati Uniti «non faranno alcuna distinzione fra terroristi che hanno commesso questi atti e chi li ospita». Se durante la prima caotica giornata, prima in Florida poi in Louisiana e quindi alla Casa Bianca, Bush parla meccanicamente, sembra scosso, nelle 48 ore seguenti diventa un altro. Il 14 settembre, quando arriva alla riunione di gabinetto, dice: «Questa vicenda ci definirà». Chiede a chi si occupa di pohtica interna di dedicarsi alle nuove priorità, ammette e spiega con inequivocabile chiarezza che d'ora in poi si sarebbe dedicato alle priorità più importanti. Per Andrew Card e gli altri presenti è l'annuncio che l'agenda dell'amministrazione non sarà più la stessa. Poche ore dopo, Bush pronuncia un commovente discorso in ricordo delle vittime alla National Cathedral di Washington, poi vola a Manhattan sulle rovine di Ground Zero. Bush matura il cambiamento personale e politico nel periodo trascorso dalla sera dell' 11 settembre in cui torna alla Casa Bianca e la-mattina del 14 settembre: solo lui e la moglie Laura sono a conoscenza di quanto realmente avvenuto, ma una chiave di lettura può venire dal metodismo, che crede nella capacità degli esseri umani di trasformarsi, e dalla forte detenninazione che George W. mostrò nella notte del suo quarantesimo compleanno quando abbandonò il bere, anche allora con a fianco la moglie Laura. [...1 ' VT ATO in una famiglia episco-N paliana e protagonista di una gioventù senza troppe remore, George W. scopre la fede assieme al matrimonio. Nel 1977 diventa metodista sposando Laura, e quando compie quarant'anni decide di smettere di bere. Una scelta che la moghe lo induce a consolidare con la riscoperta del rapporto con Dio. Un processo nel quale è centrale il ruolo di Donald Evans, che spinge Bush a partecipare al corso di studio della Bibbia del Community Bible Study, sbarcato a Midland negli Anni Ottanta da Washington dove era nato come gruppo femminile. Il corso a cui vanno Evans e Bush prevede la lettura annuale dell'intero Nuovo Testamento, divisò in capitoli settimanali seguiti da discussione e approfondimento fra gruppi di almeno dieci uomini. Durante i due anni frequentati - 1985 e 1986 - i temi più discussi in seno al gruppo sono la conversione di Paolo sulla via di Damasco e la fondazione della Chiesa. Dopo gh anni di studi laici ad Andover, Yale e Harvard, il gruppo di studio della Bibbia - denominato dai frequentatori The Walk (Il cammino) - è il momento in cui Bush matura la religiosità. Il passaggio dal bere alla fede è un momento centrale nella vita del Presidente. Lui stesso lo ammette nel settembre del 2002 ricevendo cinque leader religiosi (tre cristiani, un ebreo e un musulmano) nello Studio Ovale: «Avevo un problema con il bere, in questo momento sarei potuto essere in un bar del Texas anziché nello Studio Ovale, e l'unica ragione per cui non sono lì ma qui è che ho trovato la fede, ho trovato Dio: sono qui grazie al pdtere della preghiera». In un'altra occasione confessa ad altri leader religiosi che il libro a cui più tiene sono i Salmi, e quello preferito è il numero 27 : «Non mi nascondere il Tuo volto, non rigettare con ira il Tuo servo perché Tu mi sei d'aiuto, non mi lasciare e non mi abbandonare, o Dio mio Salvatore, mio padre e mia madre mi hanno abbandonato ma il Signore mi ha accolto». Il primo «gruppo» dei Salmi è gene¬ ralmente attribuito a David, il piccolo pastore considerato troppo fragile e mansueto dal padre per essere all'altezza degli altri sette fratelli, assai più aitanti e forzuti, ma che poi su indicazione di Dio viene scelto da Samuele come re e guida di Israele in sostituzione di Saul. La disciplina interiore di Bush si rispecchia nell'orologio della giornata-standard: sveglia alle 5,45, primo briefing alle 6,30, poi ginnastica e tre miglia coperte in 21 minuti di corsa prima di entrare nello Studio Ovale per iniziare una giornata che, salvo imprevisti o missioni all'estero, conclude andando a dormire alle 9,30 di sera. Così Bill Keller, direttore del New York Times, riassume la fede del Presidente: «Per affiliazione Bush è metodista, in termini teologici potrebbe essere definito un pietista, in quanto considera la religione più una questione di cuore che di intelletto: ma comunque si voglia descrivere la sua fede, questa comporta un rapporto diretto fra credente e Dio, non prevede preti o altre figure di intermediari né libri al di fuori della Bibbia, considerata dai gruppi dei cristiani rinati onnicomprensiva, dalla raccolta di ispirazioni poetiche alla ricetta letterale della vita». Nei comizi tenuti durante le presidenziali del 2000 George W. parla spesso di Dio, della fede e della Bibbia. Quando, durante un dibattito in lowa, gh chiedono di svelare quale è il suo filosofo preferito, risponde «Gesù Cristo, perché ha cambiato il mio cuore». E' così che esprime se stesso, cercando anche i voti della destra cristiana che non andarono al padre nel 1992. E quando il candidato rivale McCain esordisce alle primarie con una vittoria nel New Hampshire, per riuscire a tornare in gara George W. va a visitare la Bob Jones University del South Carolina, roccaforte degli evangelici fondamentalisti avversari della Chiesa di Roma. Arrivato alla Casa Bianca, nomina ministro della Giustizia John Asberoft, secondo il quale «in America non c'è altro re al di fuori di Gesù», e si circonda di collaboratori devoti alla fede, come Condoleezza Rice e la texana Karyn Hughes, al suo fianco da quando venne eletto governatore. Alcuni dei suoi più stretti assistenti scoprono presto che appena si alza, spesso prima dell'alba, legge il libro di sermoni evangelici My Utmostfor His Highest di Osvald Chambers, un pastore battista scozzese itinerante che, nel novembre 1917, portò il Vangelo a quei contingenti di truppe australiane e neozelandesi ammassati in Egitto che a Natale sarebbero entrati in Gerusalemme cacciando gh ottomani e consegnando la Palestina all'impero britannico. Gh attacchi dell'li settembre sono vissuti da Bush come la prova da superare. La guerra al terrorismo è la missione che a lui spetta compiere. Lo dice di persona in più occasioni a Washington. I suoi discorsi sono disseminati di riferimenti religiosi: «Un angelo corre nel turbine e dirige la tempesta», «Dio non è neutrale», «di conflitto è fra il bene e il male», «le tenebre non avranno ragione di noi», «lo straordinario potere dell'idealismo e della fede del popolo americano». La domenica prima dell'attacco all'Iraq deve recarsi a Camp David, ma preferisce restare nello Studio Ovale. Gh hanno suggerito di dedicarsi ad un nuovo round di diplomazia telefònica, ma decide di occupare più tempo con la lettura mattutina di Salmi e sermoni evangelici. Il primo momento decisivo è quando a quarant'ahni passa dal bere alla fede La seconda occasione è l'abbraccio al pompiere Bob Beck sulle macerie di Ground Zero George W. Bush raccolto In preghiera, nella Chiesa battista dì Houston, durante la campagna elettorale, marzo 1999