POWELL «Non date ai rapitori messaggi sbagliati» di Emanuele Novazio

POWELL «Non date ai rapitori messaggi sbagliati» Il Segretario di Stato Usa: «Dovete fare di tutto per trovare gli ostaggi e liberarli, ma mantenere fermezza, altrimenti i terroristi giungeranno alla conclusione che sequestrare persone dà frutti» POWELL «Non date ai rapitori messaggi sbagliati» intervista Emanuele Novazio inviato a BERLINO ATTENZIONE ai segnah che si inviano ai rapitori dei quattro itahani, attenzione a non cedere ai terroristi. Da Berhno, dov'è impegnato nella Conferenza mondiale sull'antisemitismo, il segretario di Stato Colin Powell lancia un avvertimento all'Italia, in una conversazione con un piccolo gruppo di quotidiani europei: «Dovete fare di tutto per ritrovare gh ostaggi e liberarli. Ma anche mantenere fermezza di fronte ai sequestratori e ai terroristi, essere molto cauti e non dare l'impressione di cercare il compromesso», sottolinea. ((Altrimenti finirete per comunicare, in sostanza, che rapire persone dà frutti e che chi lo fa può utilizzare politicamente gh ostaggi». Ma accoglierete le pressioni del governo italiano a «moderarvi» sul terreno, soprattutto nelle aree civili, se questo aiuterà la salvezza degli ostaggi? ((Ascoltiamo sempre con attenzione quel che i nostri partner italiani ci dicono: a Falluja ci siamo mossi con cautela nelle ultime tre settimane, anche se in tv si continuano a vedere scontri che nella maggior parte dei casi avvengono alla periferia della città. Ci siamo mossi con prudenza, come ci hanno chiesto il segretario generale dell'Orni e il governo itahano, che ci ha pregato di essere pazienti. Ma dovremo riprendere il controllo di Falluja: in modo pacifico, mi auguro». L'Iraq è nel caos. Non crede che gli Stati Uniti abbiano aspettato troppo a chiedere aiuto all'Onu? «La domanda suggerisce che la soluzione definitiva del problema sia una semplice questione di sovranità. Il ritorno alla sovranità aiuterà di certo, perché metterà il marchio iracheno alla situazione: la popolazione non avrà di fronte a sé americani e inglesi ma un governo iracheno. Ma se un governo iracheno mighorerà le cose non sarà la soluzione definitiva, e ancora a lungo dibatteremo se sarebbe stato megho chiedere prima l'aiuto dell'Orni. Abbiamo sempre voluto un ruolo vitale dell'Orni in Iraq, ma l'assassinio di Sergio De Mollo, ben calibrato dal punto di vista temporale, è stato un rovescio, e c'è voluto tempo per rimettere in moto le Nazioni Unite.». Gli Usa lavorano a. una risoluzione Onu per legittimare un governo iracheno che sarà però a sovranità limitata. «Vogliamo che abbia tutta la sovranità di cui sarà capace. Ma non dimentichiamo che sarà un governo provvisorio in carica solo fino all'inizio dell'anno prossimo, quando si tenanno elezioni per un'assemblea nazionale che sceglierà un governo di transizione. Dovremo stringere accordi col governo per stabilire che cosa saremo liberi di fare. Dovremo raggiungere accordi sulla sicurezza e l'uso dei fondi per la ricostruzione. Il governo dovrà rinunciare a una parte della sua sovranità, per esempio, perché non avrà la possibilità di difendere se stes¬ so e il territorio: ci,sarà.una forza multinazionale sotto comando americano. Ma il punto chiave è che quando il popolo iracheno avrà delle richieste si rivolgerà al governo, non all'autorità provvisoria che sarà sciolta, e nemmeno al nostro ambasciatore: quest'ultimo sarà molto importante, ma non sarà il govèrno». Si farà una conferenza sul!' Iraq? «Non abbiamo ancora deciso». Che ruolo auspica per la Nato? «Ha certamente un potenziale in Iraq: nessun Paese membro ha detto il contrario, anche se qualcuno è più interessato di altri. Potrebbe fornire comandi e truppe. Oggi sono presenti a titolo personale 16 dei suoi 26 Paesi: potrebbero aggiungersene altri. Non mi aspetto che la Nato rappresenti un'ampia riserva di truppe supplementari, ma sarebbe un segnale importante se si impegnasse in prima persona». Le relazioni con la Francia stanno migliorando. Cosa si aspetta da Parigi dopo il 30 giugno, che invìi truppe? «No, e nemmeno da Berlino. Ma i nostri partner europei capiscono che è ora di superare le differenze e lavorare insieme per avviare un processo politico e la ricostruzione dell'Iraq. La Francia è sempre stata favorevole a restituire la sovranità al popolo iracheno: vonei ci aiutasse nella preparazione della risoluzione che presto presenteremo all'Onu e che riconoscerà il governo provvisorio. Ma vorrei anche che spingesse altri Paesi a sostenere quel governo finanziariamente e, per chi lo vuole, militarmente. E poi, potrebbe aiutarci a garanthe la sicurezza del personale Onu». Non prova imbarazzo ripensando al suo intervento all' Onu nel febbraio dell'anno scorso, quando illustrò quelle che riteneva prove decisive sulle armi di Saddam? «Il mio intervento era basato sulle migliori informazioni che i servizi di intelligence ci avevano fornito. Concordavano con le informazioni raccolte dai servizi di altri Paesi. Con le informazioni usate da Clinton quando bombardò l'Iraq neU'QS. E con il semplice fatto che l'Onu aveva approvato risoluzioni per 12 anni sulla base deUe stesse informazioni di intelligence. Per quattro notti ho lavorato con il direttore della Cia e i suoi migliori analisti: "E' quanto pensiamo", mi dissero. Non sono imbarazzato: ho rappresentato la posizione degli Stati Uniti nel modo allora più accurato possibile». Ma la conseguenza della guerra è il caos. «Non bisogna dimenticare quel che è stato realizzato. Si parla di un pantano nel quale staremmo per cadere, ma il fatto è che Saddam se n'è andato e un terribile regime è stato rimosso. Si potrà dibattere fin che si vuole di anni che non si trovano, ma di certo non ci saranno in futuro, e non ci saranno nemmeno gli onori di un onibile regime. Stiamo attraversando una fase difficile, abbiamo a che fare con terroristi ed ele¬ menti del vecchio regime. Ma risolveremo i problemi». Per quanto tempo l'opinione pubblica americana sopporterà le immagini dei feretri in arrivo dall'Iraq? «A nessuno piacciono quelle immagini. Ma gli americani hanno dimostrato di saper accettare le vittime di una nobile causa. Fino a quando le sopporteranno? Proviamo a contare le vittime che abbiamo avuto per liberare due volte l'Europa nel secolo scorso, avremo la risposta. Non siamo un popolo che cambia direzione fino a che lo scopo non è raggiunto». Il 4 maggio si riunirà il Quartetto per esaminare la situazione in Medio Oriente. Dopo la presentazione del piano Sharon sul ritiro da Gaza, appoggiato dal presidente Bush, fra i Quattro sono emersi seri disaccordi. Cosa si aspetta dalla riunione? «Con Sharon abbiamo messo in chiaro che il ritiro deve essere parte della road map, del processo di pace. Il premier israeliano ha accettato di ritirare coloni da 4 insediamenti in Cisgiordania: non è la fine ma l'inizio di un processo che dovrà essere negoziato dalle due parti. Ma ha dovuto tener conto di realtà come il ritorno dei profughi palestinesi. La nostra posizione è che con uno stato, i palestinesi avranno un posto dove andare: abbiamo detto ad alta voce una realtà al centro di tutti i negoziati del passato. Quanto alla linea di armistizio, abbiamo detto che dovrà essere corretta per tener conto dei cambiamenti demografici e politici, ma che non spetta a noi decidere in che modo: tocca alle due parti. Il Quartetto discuterà di queste cose: spero ne usciremo con una migliore comprensione delle opportunità che si sono aperte per i palestinesi, e magari con un piano che aiuti l'Anp ad assumere le sue responsabilità politiche e di sicurezza a Gaza. Prima dell'audace decisione di Sharon niente si muoveva, nessuno coglieva possibilità né rischi. All'improvviso c'è un cambiamento: è un'opportunità che non dobbiamo perdere». Iflfe^ A nessuno ™^ piacciono le immagini delle bare dei soldati morti in Iraq. Ma gli americani hanno dimostrato di saper accettare le vittime di una nobile causa. Fino a quando le sopporteranno? Proviamo a contare i caduti che abbiamo avuto per liberare due volte l'Europa e avremo la risposta 99 JjLisL Ascoltiamo "" sempre quello che i nostri partner italiani ci dicono. A Falluja ci siamo mossi con cautela nelle ultime tre settimane anche se in televisione si continuano a vedere scontri che nella maggior parte dei casi avvengono alla periferia. Ma dovremo riprendere il controllo della città, spero pacificamente 99 B Il Segretario di Stato americano Colin Powell e, nella foto a destra un soldato Usa a Kufa, vicino alla città santa di Najaf, accanto a un ritratto dell'Imam Ali venerato dalla maggioranza sciita dell'Iraq

Persone citate: Bush, Clinton, Colin Powell, Sergio De Mollo