Diritto fallimentare, più mercato e modernità

Diritto fallimentare, più mercato e modernità SBAGLIATO RIESUMARE LA PROPOSTATREVISANATO Diritto fallimentare, più mercato e modernità Stefano Micossi F A riforma del diritto societario ha dotato il nostro paese di un ordinamento moderno e competitivo. Invece restano straordinariamente arretrati e dannosi per lo sviluppo delle imprese gli istituti processuali dove la resistenza delle categorie professionali ha impedito in Parlamento l'istituzione delle sezioni specializzate in materia economica dei tribunali - e le norme sulla crisi d'impresa e il fallimento. Le nostra disciplina del fallimento risale al 1942; nel frattempo il contesto dei mercati della tecnologia è mutato in modo radicale. Allora, i valori aziendali erano costituiti soprattutto da macchine ed edifici, le condizioni di mercato mutavano lentamente. Sembrava logico attribuire le crisi aziendali agli errori dell'imprenditore e centrare la disciplina sul rimborso dei creditori e la liquidazione dei beni dell'imprenditore insolvente, affidandoli al giudice. Nel mondo contemporaneo, i valori aziendali sono soprattutto competenze organizzative, marchi e software, quote di mercato; spesso le imprese neppure possiedono gli strumenti fisici della produzione. La crisi può derivare dal rapido mutamento delle condizioni di mercato e della tecnologia; la capacità di sopravvivere dipende dalla velocità della reazione, dalla capacità dell'imprenditore, o di altro imprenditore chiamato al suo posto, di agire e continuare a disporre di adeguati finanziamenti, nonostante le difficoltà nel servizio del debito corrente. Le decisioni assunte per cercare di salvare l'impresa comportano dei rischi, il successo non è sicuro; dunque, non si può garantire ai creditori né che non vi saranno perdite, né il rimborso integrale dei crediti. Le azioni revocatorie devono essere strettamente limitate nel tempo e nella portata. Il decreto varato dal governo per affrontare la crisi Parmalat offre un esempio eccellente del¬ le caratteristiche di una moderna normativa per la gestione delle crisi. Si sono separati l'aspetto' finanziario e quello gestionale; si è affidato quest'ultimo a un imprenditore - per fortuna di gran qualità - e gli si è data piena libertà di gestire le attività aziendali, al riparo delle pretese dei creditori. Governo e tribunali sorvegliano e sono informati, ma non interferiscono. Grazie a questa coraggiosa impostazione, si potranno salvare le parti «buone» dell'azienda, insieme a migliaia di posti di lavoro. Alle fine, anche i creditori perderanno di meno. Dunque, sappiamo come dovrebbe essere una moderna disciplina del fallimento. Suscita pertanto grande sorpresa la notizia, data con risalto dal «Sole 24 Ore» di venerdì scorso, che il governo si appresterebbe a prendere in esame un disegno di legge in questa materia basato sulle proposte elaborate l'anno scorso dalla Commissione ministeriale Trevisanato. Il problema è che, invece di muovere nella direzione richiesta dai tempi, la Commissione Trevisanato ha camminato all' indietro e di fianco, cóme i gamberi. Invece di modernizzare l'ordinamento, le sue proposte ne peggiorano gli inconvenienti; si rafforza l'intervento di giudici, periti ed esperti nella gestione delle crisi; ogni moderna logica di mercato viene accantonata. L'intervento dei giudici viene esteso alle imprese individuali e agli individui; addirittura, si propone un meccanismo ottocentesco di censimento dei debiti in essere e di sorveglianza sui ritardi di pagamento. Vengono i brividi. L'anno scorso, quando quelle proposte furono pubblicate, esse suscitarono scandalo tra tutte le associazioni imprenditoriali, che ne chiesero l'abbandono. Speriamo che le notizie del «Sole 24 Ore» siano infondate. Non riesco a credere che ministri che si dicono liberali, e un governo guidato da un imprenditore di successo, possano a cuor leggero negare ogni esigenza di modernizzazione della disciplina del fallimento e macchiarsi di un simile scempio, direttore generale Assonime

Persone citate: Stefano Micossi, Trevisanato