Turchia-Ue, non è più tempo di tiramolla

Turchia-Ue, non è più tempo di tiramolla I RISCHI DELLE RESISTENZE EUROPEE ALL'INGRESSO EFFETTIVO DI ANKARA NELL'UNIONE Turchia-Ue, non è più tempo di tiramolla Garip Turun; Sì, la Turchia è musulmana e aspira all'Europa. Questa non è ima vera notizia, perché sono ormai più di quarant 'anni che i dirìgenti europei riconoscono la sua «vocazione» a diventare candidata all'adesione, confermando più volte, quell'invito. Eppure molti europei sembrano scoprirlo solo òggi, interdetti. E, all'improvviso, a due mesi dalle elezioni europee, esplodono controversie appassionate quali l'Europa non conosceva più da tempo - ammesso che abbia mai dibattuto un argomento che tocca tanto profondamente l'immagine che ba di se stessa, di quello che vuole diventare e soprattutto del ruolo che potrebbe svolgere in futuro. Nel 1963, al momento della firma dell'accordo di associazione Turchia-Cee, Walter Hallstein, presidente della Commissione, dicbiarò: «La Turchia è una parte dell'Europa. È l'espressione di ciò che noi oggi stiamo realizzando, è molto più di un concetto geografico o di un fatto storico. La Turchia fa parte dell'Europa: noi pensiamo che questo sia anzitutto il risultato della prodigiosa personalità di Ataturk e del modo radicale in cui ba rimodellato tutti gli aspetti della vita turca secondo ima linea europea. {..;) Questo significa oggi che la Turchia ba stabilito una relazione istituzionale con la Comunità europea. Come per la Cee, questa relazione è impregnata dell'idea di evoluzione». L'accordo indicava due grandi obiettivi: l'insediamento progressivo di una unione doganale e la preparazione dell'eventuale adesione della Turchia. Finita nel dicembre 1995 la fase transitoria, il 1" gennaio 1996 la Turchia è entrata in unione doganale con l'ije. Da allora il processo di allargamento ha subito un'accelerazione e nel 1999, al vertice di Helsinki, la Turchia si è vista riconoscere lo status di paese candidato. Il testo non presentava ambiguità alcuna: «La Turchia è un paese candidato, con la vocazione a raggiungere l'Unione sulla base dei medesimi criteri che si applicano agli altri paesi candidati». Tre anni dopo, al vertice di Copenaghen, altre decisioni sono state prese. I Quindici hanno convenuto di fissare un primo appuntamento alla fine del 2004 per verificare i cambiamenti ai quali la Turchia si era impegnata. In questi ultimi anni sono stati adottati sette pacchetti di riforme democratiche, che vanno dalla soppressione della pena di morte, l'autorizzazione della radiodiffusione, l'istruzione in lingue diverse dal turco (in particolare il curdo) all'ultima serie di riforme che modificano la struttura stessa del potere, dato che limitano il ruolo del ConsigUo nazionale di Sicurezza, tramite il quale i mibta- ri esercitano la loro influenza politica. Altri negoziati sono previsti per l'inizio del 2005. Una dichiarazione comune è stata firmata con i nuovi- dieci paesi dell'Unione per confermare la vocazione della Turchia a diventare membro dell'Ue. Ma i Quindici si sono dilaniati tra giochi identitari e geopolitici. Rifiutare i turchi perché sono musulmani sarebbe «la più disonorevole delle ragioni», ha detto il ministro degli Esteri britannico Jack Straw. Accoglierli sarebbe «la fine dell'Unione europea», è stata la valutazione di Valéry Giscard d'Estaing. Anziché fare marcia indietro, i dirigenti europei hanno confermato la decisione di Helsinki. Jacques Chirac ha approfittato del vertice Nato del 22 novembre 2002 per smentire il presidente della Convenzione sul futuro dell'Europa, pur riconoscendo che Ankara doveva fare ancora degli sforzi in diverse direzioni. La Turchia «ha tutto il suo posto in Europa», ha insistito Chirac. «So che la cosa può essere discutibile sul piano geografico, ma certo non su quello storico né su quello della civiltà, una delle più antiche del mondo, che ha dato molto all'umanità». Non si può negare quel posto neppure sul piano dell'«interesse economico e pohtico» dell'Unione, ha aggiunto. Il dibattito ha dunque avuto luogo. Ankara bussava alla porta dal 1963. Lapohtica ufficiale dell'Ue conferma così lo storico impegno preso da De Gaulle e Adenauer in quell'anno, dando impulso all'accordo di associazione, che proclamava la «vocazione europea» della Turchia. Ora in Francia Alain Juppé parte lancia in resta contro questa adesione, dimenticando che era stato proprio lui l'artefice dell'accordo di unione doganale del 1995, quando era ministro degli Esteri. Un dibattito del genere non è degno della Francia! A suo tempo il cancelhere tedesco Kobl aveva, messo i piedi nel piatto facendo riferimento all'eredità cristiana dell'Europa; Angela Merkel, presidente della Cdu, ha seguito le sue orme, così come altri democristiani e movimenti di estrema destra, che raccomandano un sempUce «partneriato privilegiato». È tempo che gli uomini politici europei si facciano carico del problema della Turchia con determinazione e senza secondi fini elettoralistici. Non si può continuare a cullare nelle illusioni il popolo turco né far ondeggiare questo paese in un continuo tiramolla di «né con l'Europa né senza di lei». Non si può giocare d'astuzia tra governi o pohtici, non si può ingannare un popolo. Dire che un paese è candidato significa promettere al suo popolo che domani sarà ammesso,, è fissare un calendario di apertura dei negoziati che permetta di preparare questa adesione e preservare così la speranza di condividere un giorno quel «sogno europeo» radicato nei turchi da generazioni. Chiuderli ancora una volta nello status di «partneriato privilegiato» è assumersi il rischio che prevalga la disillusione. È rafforzare soprattutto la posizione degli euroscettici e degli islamisti moderati che regnano ad Ankara, convinti che la cristiana Europa non accetterà mai la musulmana Turchia. La posta politica dell'integrazione della Turchia può essere descritta in questo modo: la sua storia, la sua geografia e le sue aspirazioni la destinano a un riavvicmamento con l'Europa occidentale o devono respingerla nelle tenebre e farle perdere le svolte della storia? Questa scelta è fondamentale. Ne dipendono non solo le prospettive a medio termine dell'Ue, ma anche le condizioni per conservare la stabilità dell'Europa di domani. Il dibattito sulla coabitazione culturale non ha nulla di accademico. Esso è pohtico e concerne le probabilità supplementari di pace e di guerra su scala mondiale, O si capisce che il XXI secolo apre una nuova storia nella quale, accanto alla globalizzazione economica, le problematiche di identità culturale collettiva e dì comunicazione diventano là posta in gioco centrale, e se ne traggono le conseguenze politiche, affiontando quello snodo decisivo che è imparare a coabitare. Oppure sì fa ancora finta dì credere che questi sono problemi secondari, nonostante i conflitti sempre più violenti a partire dalla caduta del comunismo e chiaramente visibili dopo l'H settembre 2001. Con il XXI secolo l'umanità è entrata in un'era di civilizzazione multiculturale che ha più di un polòl ' Da molto' ttìÈÈL^o"l^Etùó^a non è pìù'il direttòrid'bi'chéstra universale. Questo non significa che il suo ruoló^iàl'finite^'Che essa non abbia più nulla da dire al mondo. Con questo cantiere mondiale della coabitazione culturale le sì offre una nuova missione e un contenuto nuovo della sua stessa esistenza. Copyright Le Monde Garip Turung, economista e matematico, è Maitre de Conférence all'Università di Bordeaux e professore associato all'Università Galatasaray di Istanbul. Si occupa di economia dei paesi emergenti, economia industriale e teoria dei giochi i-kii Ankara, il mausoleo di M usta fa Kemal Ataturk (1881 -1938), padre della Turchia moderna

Persone citate: Adenauer, Angela Merkel, Chirac, De Gaulle, Francia Alain Juppé, Giscard D'estaing, Jack Straw, Jacques Chirac, Kemal Ataturk, Walter Hallstein