MUOR GIOVANE IL POETA di Maurizio Assalto

MUOR GIOVANE IL POETA RICERCA USA: ROMANZIERI E SAGGISTI SONO PIÙ LONGEVI MUOR GIOVANE IL POETA Maurizio Assalto MEGLIO un giorno da poeta che cent'anni da prosatore? Mah. Non è proprio questo, il rapporto, però la questione si può porre, ce chi la pone. Seriamente. Pare si tratti di uno studio molto accurato, l'ha pubblicato il Journal of Death Studia, rivista americana di studi tanacologici. Esaminati i casi di 1987 autori di varie epoche, relativi a quattro aree geografiche disomogenee (Stati Uniti, Cina, Turchia, Europa Orientale), i ricercatori hanno ricavato i seguenti risultati: i poeti muoiono in media a 62 anni, appena un po' più longevi i drammaturghi (63), meglio senz'altro i romanzieri (66), mentre i saggisti battono tutti, prendendo congedo, mediamente, quando le primavere sono 68. Nel presentare la ricerca, James Kaufman, dell'Università di California, ha buttato lì alcune possibili spiegazioni, senza dare l'aria di crederci troppo: sarà forse perché i poeti si torturano intimamente («Quando trovo I in questo mio silenzio I una parola I scavata è nella mia vita I come un abisso», scriveva il nostro Ungaretti, che però arrivò alla rispettabile età di 82 anni), forse perché tendono all'autodistruzione (i poèta imudit alla Baudelaire, 46, Verlaine, 52, per non dire del maudìt ante litteram Villon, 32, che però se l'era andata cercare). «Muor giovane colui ch'ai cielo è caro», assicurava Menandro. E Leopardi, che lo citava in epigrafe al tanto Amore e morte, ebbe cura di non smentire: se ne andò a 39 anni non ancora compiuti. Anche se ci sarebbe da discutete su quanto lui personalmente al cielo dovesse stare in simpatia. Comunque. Può darsi che la troppa intimità col divino bruci le energie vitali, come accadde a Semele quando Zeus le si mostrò nel suo divino splendore: la poesia viene dalia manta, per gli antichi, come la capacità profetica, e entrambe stanno nella sfera deWenthousiazein, essere (ispirati) in dio. O forse, più banalmente, lo spunto a poetare, a rivolgersi alle regioni più imperscrutabili dell'essere, a quelle più riposte dell'intimità, nasce da una condizione pregressa di sofferenza fisica, quindi non sarebbe la poesia a fare male, bensì il male (la malattia) a fare la poesia. Ma è poi così vero? Prendiamo per buona la scientificità della ricerca americana (scelta del campione, rapporto vita media degli scrittori-vita media della gente comune nelle divetse epoche considerate) e proviamo a estendere lo sguardo ai poeti di casa nostta. Il «padre» Dante addirittura afcbassaJa media: quando collocava nel 1300i'inimaginario inizio del suo viaggio oltremondano, reputandosi giunto «nel mezzo del cammin di nostra vita» (35 anni), in realtà era ottimista, perché di anni non gliene restavano che 21. Però con il suo quasi coevo Petrarca, di cui festeggeremo a luglio il settimo centenario della nascita, si torna salire: arrivò a 70. Alcuni secoli dopo, il quasi coevo di Leopardi, Ugo Foscolo, se la passò sicuramente meglio del dolente recanatese, però alla fine lo superò di appena una decina di anni. Ma se veniamo al Novecento, oltre al già citato Ungaretti troviamo Montale, che fece in tempo a prendere il Nobel e tirare avanti fino alle soglie degli 85. Per non dire di Mario Luzi, che del Nobel è sempre in attesa, e intanto, en attendant, è arrivato ai 90 tondi. Eccezioni (che confermano la regola)? Chissà. 0 forse al cielo non è più tanto cara la poesia. Non parliamo dei pochi grandi, ovviamente, ma considerando la massa dei tanti altri, c'è poi da dargli torto? Lunga vita a tutti.

Luoghi citati: Cina, Europa Orientale, Stati Uniti, Turchia