Brahimi: l'Onu in Iraq solo se sarà garantita la nostra sicurezza

Brahimi: l'Onu in Iraq solo se sarà garantita la nostra sicurezza L'inviato speciale di Kofi Annan nelle situazioni di massima crisi: «Bisogna risolvere il problema delle persone in carcere senza capi d'accusa né processo, e quello della mancanza di un esercito» Brahimi: l'Onu in Iraq solo se sarà garantita la nostra sicurezza «Serve un processo di sviluppo politico. Forse il ritorno della sovranità agli iracheni potrà aiutare. Ma rimangono molti altri problemi aperti» intervista Emanuele Novazio inviato a BOLOGNA g-n ER applicare il program" m ma delle azioni Unite in Iraq è necessario ridurre gli atti di violenza. L'Onu non potrà intervenire se non sarà garantita la sicurezza del suo personale». Un compito più arduo, dopo il ritiro delle truppe spagnole annunciate dal nuovo premier socialista Zapatero? «La decisione di Zapatero è una sorpresa annunciata». Lakhdar Brahimi, inviato speciale del segretario delle nazioni Unite nelle situazionni di massima crisi - oggi l'Iraq, tre anni fa l'Afghanistan ha appena finito una lezione a un ristretto gruppo di studenti del master di Cooperazione e sviluppo dell'((Alma Mater» («un invito vecchio di sette mesi, quando non era ancora stato incaricato di spianare la via al nuovo governo iracheno», precisa il rettore dell'Università di Bologna, Pier Ugo Calzolari) e prima di incontrare il ministro degli Esteri Frattini accetta di illustrare alla «Stampa» le linee guida del suo progetto, che dopo un ulteriore approfondimento con Kofi Annan'tornerà a discutere sul terreno. «La prospettiva per la quale lavoriamo? Fare il modo che il governatore americano Paul Bremer lasci presto il Paese e gh iracheni governino», afferma. Ma la partenza delle truppe spagnole non suona come una sconfessione dell'Onu? «Non so se la decisione di andarsene è un'accusa alle Nazioni Unite. Certo l'Onu per il quale parlo io, il Segretario generale, non può essere accusato di nulla». Lei sostiene che senza una garanzia di sicurezza l'Onu non tornerà in Iraq. Considerata la sempre più intricata situazione sul campo, ritiene ancora possibile una svolta entro il 30 giugno, quando l'Amministrazione provvisoria dovrebbe lasciare il posto a un governo iracheno legittimato dall'Onu? «Il problema della sicurezza è complesso. Garantirla presuppone un processo di sviluppo politico: il ritomo della sovranità agli iracheni sarà forse d'aiuto. Ma ci sono altre questioni importanti da risolvere: quello delle persone finite in carcere senza processo e senza capi di imputazione. Quello delle persone cacciate dal lavoro. E quello dell'esercito disciolto dopo la cacciata di Saddam Hussein». Cosa chiede agli Stati Uniti e alla comunità intemazionale? «Se si vuole che l'Onu tomi in forze in Iraq si deve discutere come proteggere il suo personale. Ma prima di tutto è necessaria avviare una discussione sul ruolo delle Nazioni unite in Iraq, e ancora non lo si è fatto : quando il ruolo dell'Onu sarà definito si saprà quanto personale Onu è necessario, e quindi che tipo di protezione bisognerà garantire». Quando l'Onu tornerà in Iraq a chi spetterà controllare militarmente il territorio e assicurare la sicurezza? Agli Stati Uniti, a una forza multinazionale con cappello Onu, ai caschi blu? «Spero die ne discuteranno presto il Consiglio di sicurezza e le potenze occupanti. Non tocca a noi decidere». Garanzie di sicurezza a parte, a quali condizioni l'Onu tornerà in Iraq? «Dovrà essere considerata esattamente per quello che è: un'organizzazione indipendente e imparziale, che è in Iraq con uno scopo soltanto: aiutare il popolo iracheno e nessun altro. In questo momento stiamo cercando di for- mare un governo iracheno: non lo facciamo per gh americani ma per gh iracheni, anche se ci rendiamo conto che un nuovo governo non può essere formato senza il loro appoggio: gh Stati Uniti hanno occupato l'Iraq e comandano in Iraq». Domenica sera lei ha incontrato Prodi. Quale dovrebbe essere il ruolo dell'Unione europea in Iraq, considerato che fra i vari Paesi esistono ancora posizioni differenti? «Le differenze non sono più incisive come un anno fa. Le posizioni si stanno riawicinando, e questo è incoraggiante. L'Ue ha già deciso aiuti economici per l'Iraq, ma ha anche un ruolo pohtico: dovrà decidere come esplicarlo e come usare la sua influenza». Teme una guerra civile in Iraq? «La situazione è molto complessa: non siamo in una situazione di dopoguerra ma ancora in una situazione di guerra. Certo, il rischio di guerra civile resta, ma gh iracheni sono ora molto più consapevoli dei pericoli che corrono». Ma come risolvere il puzzle del governo in un Paese con cosi profonde differenze et- niche ed economiche? Forse con un esecutivo di soli tecnici? «Vedremo. I partiti politici e i gruppi etnici hanno al loro interno persone di grande esperienza e molto qualificate». Il tempo a disposizione è poco. «Trovare 40 persone in un Paese così ricco di risorse umane non sarà impossibile». Un governo iracheno potrà migliorare la situazione sicurezza? «Non ne sono sicuro. Accontentiamoci di dire che un buon governo è meglio di un cattivo governo». Lei è stato fra gli artefici della "soluzione Karzai" nel dopoguerra afghano. Quel modello è esportabile in Iraq? «No, bisogna sviluppare qualcosa di specifico, le due situazioni sono completamente differenti». Lei pensa però a un'assemblea allargata anche in Iraq sul modello dell'altra sua creatura, la Loya Jirga afghana. «Sarà qualcosa di completamente differente. Dovrà rappresentare tutta la popolazione e discutere di come riuscire a vivere tutti insieme. Affrontando argomenti che dividono pericolosamente il Paese come la costituzione provvisoria, un tema sul quale ci sono state molte incomprensioni. L'Assemblea potrà trovare un compromesso. E poi, avrà anche un effetto terapeutico, in un Paese così profondamente diviso sotto il regime di Saddam, un regime di terrore in cui la gente aveva paura perfino a parlare davanti ai propri figli». Tutti corteggiano l'Onu, dopo averla accusata e derisa un anno fa. Le Nazioni Unite si prenderanno la loro «vendetta)), in Iraq? «Vedremo». 66 La partenza delle truppe spagnole non è una sconfessione delle Nazioni Unite, almeno di quelle per cui parlo io. Il Segretario generale non può essere A A accusato di nulla 77 m Un miliziano di Al Sadr fa il segno di vittoria davanti a un blindato americano in fiamme dopo uno scontro a fuoco vicino a Kufa L'inviato speciale delle Nazioni Unite per l'Iraq, Lakhdar Brahimi, a destra, con il ministro degli Esteri Franco Frattini