Pollini: ora il governo deve insistere per una svolta Onu di Marco Follini

Pollini: ora il governo deve insistere per una svolta Onu «Il problema non è smarcarsi dall'asse antiterrorismo con Stati Uniti e Gran Bretagna Semmai è di interpretare di più e meglio il nostro ruolo, sapendo far pressione sugli alleati» Pollini: ora il governo deve insistere per una svolta Onu «Quella di Zapatero è una decisione irresponsabile, per uscire dalla crisi l'esecutivo promuova un'iniziativa comune europea Dobbiamo essere amici degli Stati Uniti, aiutarli a essere meno soli» intervista Jacopo lacobonì LA scelta del premier spagnolo, via subito dall'Iraq, è stata «irresponsabile» perché divide l'Europa, anche se ha messo in difficoltà assai più la sinistra italiana che la maggioranza. Prodi ha sbagliato a farla propria. Adesso l'unica strada per gestire la crisi è «un'iniziativa comune europea» per coinvolgere la comunità intemazionale e uscire dall'unilateralismo, quello stile Bush come quello made in Zapatero. Con una missione impegnativa anche per il nostro governo: «L'Italia deve far sentire sentire la sua voce anche con gli Stati Uniti». Marco Pollini è appena salito sul volo che lo porta da Roma a Torino, l'aereo in ritardo può essere un'occasione per discutere degli sviluppi della crisi irachena ora che la Spagna ha ritirato il suo contingente. 'I cellulari dei passeggeri inviano gli ultimi sms a ragazze lontane, il leader dell'Udo legge invece una biografia di don Sturzo. Quando comincia a rispondere, guarda caso, ha appena iniziato un capitolo intitolato «il periodo americano». Segretario, qual è la prima conseguenza della decisione di Zapatero, disporre il rientro dei 1300 militari spagnoli ancor prima del 30 giugno che aveva inizialmente fissato? «Non voglio sottrarmi a un giudizio sull'iniziativa di Zapatero, e il mio è un giudizio molto negativo. Ritengo quello del premier spagnolo un gesto irresponsabile, anche per le conseguenze che potrebbe avere su scelte delicate di altri paesi. Se dovessimo seguire tutti quella linea andremmo incontro a una sorta di otto settembre dell'Occidente». Dopo esser stato stregato da un improvviso mito zapaterista all'indomani del voto a Madrid, adesso proprio il centrosinistra pare stressato dalla decisione della Spagna. Fassino dice che occorre una svolta a giugno oppure dovremmo ritirarci anche noi. Rutelli chiede la svolta ma non il ritiro. È come se la scelta spagnola abbia messo in difficoltà innanzitutto i riformisti italiani. «Era naturale. La sinistra mantiene due linee, e fin tanto che l'ultimatum di Zapatero era più lontano, il 30 giugno, le due linee potevano tentare di convivere più facilmente. È chiaro che ora, invece, si avvicina la contraddizione tra chi ritiene che in Iraq occorra comunque una presenza, da allargare a una più ampia comunità intemazionale ma non da smantellare, e chi pensa che occorra solo levare le tende». Però la Spagna che si sfila pone un problema anche alla maggioranza italiana. Dell'antico asse BushBlair-Aznar-Berlusconi restiamo il corno più esposto? «Io direi che proprio la decisione della Spagna rende ancora più urgente l'esigenza di mettere in campo un'iniziativa comune europea. A differenza di Prodi, penso che la mossa di Zapatero anziché unire divi- da, e anzi, approfondisca ancora di più una frattura ormai antica che taglia il vecchio continente». Il Professore ha parlato da presidente, poi subito rettificato, della Commissione, o da leader dell'Ulivo italiano già in campagna elettorale? «Prodi tradizionalmente ha due cappelli, quello di presidente della Commissione europea e quello di leader dell'opposizione in uno dei paesi dell'Unione. A me pare che in questa occasione li abbia messi malamente uno sopra l'altro. E se è riuscito a farsi smentire dalla Commissione che presiede vuol dire che il cappello italiano, il cappello di parte, era più evidente». Tornando all'azione diplomatica del governo di cui lei parla, quali sarebbero i suoi contenuti e la strada da seguire per av¬ viarla? «Il governo italiano deve farsi promotore di una iniziativa europea perché lo può fare a buon titolo: proprio perché ha acquisito sul campo un credito politico, per la lealtà dimostrata verso gli alleati e i rischi assunti nel teatro iracheno, oggi deve far sentire la sua voce. Anche nei confronti degli Stati Uniti. Sia chiaro, non penso che dobbiamo fare i grilli parlanti, ho ben presenti i rapporti di forza geopolitici, ho presenti i doveri di solidarietà, ma abbiamo anche altri doveri politici. Il nostro, in questa fase, è cercare di stabilire un rapporto tra l'impegno sul territorio e un maggior coinvolgimento di tutti i soggetti della comunità intemazionele, Europa, Stati Uniti, e naturalmente le Nazioni Unite». Passando anche da una risoluzione oltre la 1511? «Sì, credo che questo tentativo passi anche da una nuova risoluzione Onu». Questa iniziativa del governo vede già d'accordo gli alleati della Casa delle Libertà o è tutta da co-struire? «È un percorso che va costruito, sapendo che è difficile, è tutto in salita e che mesi e mesi di divisioni nel campo europeo hanno lasciato molti segni e ferite. D'altra parte stiamo parlando di problemi talmente complessi la cui soluzione impegnerà almeno una generazione: non possiamo pensare di risolverli dall'oggi al domani, dobbiamo cominciare a porre le basi perché non vengano affrontati esclusivamente nei termini di uno scontro di civiltà. Sapendo che non esistono soluzioni taumaturgiche». L'Europa può rientrare in gioco oppure la via d'usci- ta dalla crisi va cercata a Washington, o al limite alle Nazioni Unite? «Il problema non sono le sedi, il problema è incrociare le volontà politiche. Tutti i luoghi sono importanti, a cominciare dall'Onu. Ma quello che oggi è fondamentale è la consapevolezza che non si esce da questa situazione né con l'unilateralismo del ritiro, alla Zapatero, per intenderci; né con l'unilateralismo che si sottrae alle Nazioni Unite. Io non mitizzo affatto l'Onu, so anche quante remore ci siano, e quanti limiti. Però so che questa è l'unica strada percorribile». Bush e Blair sono percepiti come l'asse della guerra. L'Italia dovrebbe smarcarsi per rendersi credibile, anche con interlocutori musulmani, in questa iniziativa multilaterale? «Guardi, il problema non è smarcarsi dall'asse con Bush e Blair. Semmai è di interpretare di più e meglio il nostro ruolo, che può essere quello di esercitare una pressione nella direzione di un maggiore coinvolgimento intemazionale. Dobbiamo essere amici degli Stati Uniti ma anche aiutarli ad essere meno soli». Il presidente del Consiglio, la Farnesina e il resto dell'esecutivo condividono questa linea o sta rivolgendo loro un invito? «Mi pare che questa consapevolezza, a Palazzo Chigi, ci sia». djjLfgi Abbiamo "" i titoli per farci ascoltare da Washington, per la lealtà dimostrata e anche per i rischi assunti 99 1^^ Non si tratta "" di fare i grilli parlanti, ma di promuovere una svolta nella crisi. Palazzo Chigi? Condivide AA questa esigenza ^ ^ «Penso che la mossa del leader spagnolo anziché unire divida, e anzi approfondisca una frattura ormai antica che taglia il Vecchio Continente Se dovessimo seguire tutti quella linea andremmo incontro a una sorta di 8 settembre dell'Occidente» «Spiace che Prodi abbia fatta propria la tesi spagnola Lui tradizionalmente ha due cappelli, presidente della Commissione e leader dell'opposizione in uno dei Paesi dell'Unione In questa occasione li ha messi malamente uno sopra l'altro» Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il presidente degli Stati Uniti George W. Bush II segretario dell'Udc Marco Follini