Gli Usa cercano la mente dei sequestri

Gli Usa cercano la mente dei sequestri RAPIMENTI Il generale Kimmit: «Non lasciamo mai nessuno nelle mani del nemico, ma non negozeremo Faremo il possibile per liberare il soldato Maupin». Rilasciati due giapponesi, sono in buone condizioni Gli Usa cercano la mente dei sequestri Si riaffaccia l'ombra di Zarqawi, l'uomo di Al Qaeda in Irac Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK «Non lasciamo mai nessuno nelle mani del nemico, non negozieremo con i sequestratori, faremo il possibile per liberarlo». La risposta di Washington al rapimento del soldato Keith Maupin da parte della guerriglia irachena arriva con una dichiarazione da Baghdad del generale Mark Kimmit e toglie ogni dubbio sull'ipotesi di una trattativa. A proporre lo scenario di uno «scambio di prigionieri» erano stati proprio i sequestratori di Maupin che, mostrandosi armati e con il viso coperto nella cassetta video recapitata alla tv Al Jazeera per rivendicare il rapimento, avevano chiesto la liberazione di alcuni «combattenti caduti nelle mani degli americani». «Non vi sarà alcuna trattativa, faremo di tutto per liberare chi è stato sequestrato», ha tagliato corto Dan Senor, portavoce del governatore americano Paul Bremer. A Washington i portavoce dell'amministrazione non escludono che cellule di insorti possano avere in mano anche gli altri americani che mancano all'appello: il sergente dell'Us Navy Elmer Krause, 40 anni, e sei civili dipendenti di un'azienda impegnata nella ricostruzione. Truppe speciali e investigatori sono a caccia dei rapiti mentre per evitare che ve ne siano di nuovi il Pentagono ha deciso di chiudere alla circolazione due grandi arterie stradali che portano a Baghdad, molto frequentate da mezzi civili e militari e per questo bersagliate dagli agguati nelle ultime settimane. A Batavia, nello Stato dell'Ohio, dove vivono moglie e figlio di dieci mesi del soldato catturato la popolazione si è riunita in preghiera, tappezzando edifici e strade di coccarde gialle e nastri patriottici a stelle e strisce. «Vogliamo dire a Matt che lo amiamo, che aspettiamo il momento di poterlo rivedere e riabbracciare» ha detto Cari Cottrell, portavoce dei parenti. In totale gli stranieri ancora detenuti sono sette - tre italiani, un danese, un arabo-israeliano, un civile ed un militare americani - cui bisogna aggiungerne nove dei quali si è persa ogni traccia - due tedeschi più un militare e sei civili americani - mentre oltre quaranta sono stati fino a questo momento liberati. A tenere il conto degli ostaggi in Iraq sono le agenzie di stampa e i governi interessati, perché l'amministrazione mi- litare alleata ha preso la decisione di non diffondere o confermare alcun numero. «Farlo significherebbe far sapere ai sequestratori se le loro operazioni hanno successo o meno», sottolinea Dan Senor. Sull'analisi del fenomeno dei sequestri non vi sono ancora opinioni unanimi. Inizialmente la coalizione ha considerato i rapimenti azioni di singoli gruppi, alcuni in contatto fra loro altri no, ma la contemporaneità dei sequestri e le indagini che sono state condotte negli ultimi giorni - incluso l'arrivo in Iraq dagli Stati Uniti di alcune squadre di specialisti dell'Fbi - ha portato a sfumare il giudizio. «Abbiamo osservato forme di debole cooperazione fra alcuni gruppi di sequestratori», si è limitato ad ammettere il generale americano Kimmit, senza voler aggiungere altri dettagli. L'interrogativo riguarda la possibilità che alle spalle dei sequestratori vi sia un unico network, orchestrato da miliziani sunniti, da gruppi estremisti sciiti o da quell'Abu Musab Zarqawi considerato dall'intelligence americana l'uomo di punta di Al Qaeda dentro l'Iraq. Proprio l'ipotesi di avere a che fare con un unico regista porta Senor a ribadire che «non vi sarà alcun negoziato con gli insorti sul rilascio degli ostaggi». Sotto la pressione dei governi interessati alla sorte dei loro connazionali il consiglio governativo iracheno ha comunque annunciato ieri con il ministro Samir al-Soumaydai la formazione di una unità speciale della polizia per condurre le indagini. Sarà questa unità a coordinare d'ora in poi gli sforzi di tutti i governi interessati al fine di ottenerne il rilascio. Gli ultimi a essere liberati in ordine di tempo sono stati ieri due giapponesi, consegnati a una delegazione di Tokyo durante un incontro avvenuto nella moschea Um al-Qura di Baghdad. Si tratta di Jumpei Yasuda, giornalista di 30 anni, e Nobutaka Watanabe, 36enne ex militare ora volontario con gruppi civili, che erano stati dati per dispersi il 14 aprile. A mediare il rilascio con i rapitori è stata l'Associazione dei religiosi musulmani, un gruppo sunnita già riuscito a ottenere la liberazione di altri sequestrati, come nel caso dei tre giapponesi che venerdì avevano riottenuto la libertà. Il ruolo dei leader religiosi, sunniti e sciiti, si è rivelato utile in molteplici occasioni: è grazie a loro che sono stati rilasciati venerdì tre cittadini della Repubblica Ceca catturati a Baghdad e un canadese di cui si erano perse le tracce nella città santa sciita di Najaf. La liberazione in genere viene seguita dall'annuncio sullo stato di buona salute dei rilasciati e Abdul Salam al-Kubaisi, dell' Associazione dei religiosi musulmani, ha ripetuto ieri la formula oramai quasi canoni¬ ca: «1 due giapponesi liberati sono in buone condizioni di salute». Sempre secondo Al Kubaisi a spingere gli insorti ad abbandonare gli ostaggi sarebbe stata la volontà di «non nuocere alle relazioni fra Giappone ed Iraq». Il portavoce del Consiglio degli ulema, Abdul Salam al-Kubaisi, con i due ostaggi giapponesi liberati ieri L'ostaggio americano Keith Maupin nel video mandato in onda venerdì da Al Jazeera Tre sospetti terroristi iracheni incappucciati e con le mani legate arrestati dalle forze americane