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Pansaele«bestie» della post-politica
Pansaele«bestie» della post-politica UN LIBRO AL GIORNO Pansaele«bestie» della post-politica Jacopo lacoboni CHI ha fatto le elementari del giornalismo leggendo da ragazzo i Bestiari di Giampaolo Pansa rivedrà in questo libro il film dei suoi vent'anni, amori esclusi. È il tempo in cui trasgrediresti ogni regola ma ne hai imparata una, e da quegli articoli: mai forti coi deboli e deboli coi forti. Al netto di tutto (attenzione, non saltate quel «tutto» perché dentro c'è un pezzo di storia dei giornali italiani) è più o meno questo che il condirettore dell'Espresso va facendo da quando ha iniziato la sua colonna settimanale, prima a Panorama con Claudio Rinaldi, poi nel giornale di via Po : temprar lo scettro ai governanti, in pratica rompere le scatole ai potenti. E poco importa che fossero il Dio di Arcore, BerluscaBombolo, il Parroco dell'Ulivo, oppure Dalemoni Cicciobello il Parolaio rosso... Nessuno è risparmiato, neanche vicini di banco e storici rivali come Giorgio Bocca, Pansa gli rimprovera di esser stato «berlusconiano» quando il Cavaliere voleva prendersi Repubblica. Di certo non sono rispanniati i politici, memorabili comparse di queste pagine perché tutto in fondo è comparsa, insegna Pansa, nella recita postpolitica, e il giornalismo che lo racconta non lo deve dimenticare. Poi sì, «nel mio piccolo lavoro di rubrichista ho commesso anch'io molti errori» ammette Pansa. Asprezza verbale, valutazioni politiche, giudizio sulle persone. Anziché negarli Pansa quegli errori li riconosce. Ma occhio, è pura tattica per rinsaldare il patto con il lettore. Perché poi quello che resta sono certi ritratti imperdibili. Le bestie del bestiario. C'è D'Alema, che lasciandosi prendere dal sarcasmo confida a Rinaldi «Pansa è un giornalista che si fa sempre leggere. Però non capisce niente di politica. C'è uno solo in Italia che ne capisce meno di lui: Romano Prodi». Bum. C'è Romano Prodi che ha appena vinto, Rinaldi chiede a Pansa «che dobbiamo fare adesso?» e Pansa gli risponde secco: «Semplice, dobbiamo metterci di traverso». C'è Occhetto «Baffo di ferro» e il suo ritomo sulla scena - «quant'era diverso, pizzetto, occhialini stringinaso, giacca bordò, sciarpetta in tinta» - per pura «voglia di vendicarsi» di Dalemoni. C'è l'onore dato ad avversari come Giuliano Ferrara e ai ricordi di una Torino andata, anno 1975, «erano sere cupe, sotto la Mole le Brigate rosse uccidevano. Con Piero Fassino e Diego il sindaco santo, Ferrara fu uno dei comunisti che tennero duro, contribuendo a salvare il loro partito, la città e un po' tutti noi da un marasma che sembrava senza speranze», a conferma che dal marasma delle nostre vite a volte possiamo uscire più forti e felici. C'è Fini il «camerata Lasagne», di lui Pansa non s'è mai fidato perché non è possibile fidarsi di uno che veste «doppiopetti e cravatte rosa». C'è il «pelo corazzato del Super Topo» Giuliano Amato. E c'è, naturalmente, Berlusconi forever. Non perdetevi, almeno, il racconto del primo incontro tra Pansa e «Mago mandrake», 21 novembre 1977, quel costruttore «azzimato, cerimonioso però straripante grinta e pronto alla replica», andato a incontrare Amintore Fanfani... «Forse Silvio voleva essere benedetto politicamente», ricorda Pansa. «O cercava un riferimento altolocato». Oggi sono gli altri che vanno a trovare lui. i:riampaoloL PANSA BESTIARIO D'ITALIA Giampaolo Pansa, Bestiario d'Italia 1994-2004 Sperllng S Kupfer pp. 403, e 75
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