Ritiro unilaterale Sharon ottiene il sì della Casa Bianca

Ritiro unilaterale Sharon ottiene il sì della Casa Bianca IL MEDIO ORIENTE Washington ha autorizzato anche la costruzione del Muro di protezione Ma non deve diventare una frontiera definitiva tra Israele e il futuro Stato palestinese Ritiro unilaterale Sharon ottiene il sì della Casa Bianca Negli Stati Uniti un trionfo per il premier israeliano. I palestinesi parlano di una replica della spartizione. Il grande sconfitto è Arafat analisi Fiamma Nirensteìn GERUSALEMME CIO' che è accaduto ieri fra George Bush e Ariel Sharon, può dare una seria svolta alla situazione mediorentale. Per Sharon è stato un trionfo strategico: ha ottenuto dal presidente americano il consenso, che gli apre anche la strada in Israele presso la durissima opposizione di destra, all'idea dello sgombero unilaterale da Gaza e da parte dell'West Bank; ha sentito lodare la sua scelta come prova di grande coraggio poUtico e volontà di fare ciò che nessuno ha mai avuto la forza di fare, andarsene dagli insediamenti ebraici; ha finalmento avuto la promessa che i profughi non possono ambire a insediarsi in uno «stato ebraico, Israele» ma «nello stato palestinese» di prossima fondazione; ha ricevuto l'ammissione che "la situazione è molto cambiata in questi anni", ovvero che ci sono insediamenti che non possono essere smantellati; ha avuto rassicurazioni decise della dedizione americana alla sicurezza di Israele, compreso il recinto di difesa che però, ricorda Bush, non deve rappresentare un confine politico definitivo, da stabilirsi con una trattativa. Bush ha anche promesso di chiamare a raccolta intomo al progetto il mondo arabo (Mubarak sarà il grande mediatore); l'Europa, la Russia, l'Onu. I palestinesi parlano, molto irati, di «una seconda dichiarazione Balfour», quando per la prima volta il mondo stabili la necessità di un «focolare» per la nazione ebraica: ovvero intravedono un passo diplomatico che può segnare insieme sì, la nascita dello Stato Palestinese, ma anche la sconfitta della leadership attuale con la sua Intifa- da.Sharon aveva bisogno della benedizione degli Stati Uniti, di un'autorizzazione che rassicuri il pubblico spaventato e arrabbiato dal terrorismo per intrapredere la sua rivoluzione. Anche Bush aveva bisogno di Sharon: i due premier hanno cercato il consenso dell'opinione pubblica americana in crisi sullo sgombero rivoluzionario di Sharon, e dall'altra parte il voto positivo del Ukud il 2 di maggio. La prospettiva del ritiro di Israele riguarda vaste porzioni di territorio, e esclude i blocchi superpopolati o connessi intrinsecamente a Gerusalemme o con un significato militare tale da rendere molte difficile uno sgombero. Cosi, si conclude il sogno della Grande Israele, il governo è pronto a sacrifici notevoli, sulla linea, ironia del destino, del riconoscimento del presidente Bill Clinton del blocco dell'Etzion, di Ariel e di Gerusalemme che eliminava la definizione classica: «Gli insediamenti sono un ostacolo alla pace». Un governo di sinistra, quello di Barak, ottenne questa linea americana: ed è sulla scia della sinistra, innegabilmente, che Sharon opta per lo sgombero sostenuto dalla sua decisa riscoperta della strategia della deterrenza contro il terrore e questo appare indispensabile dopo tre anni di terrorismo intensivo: la svolta è grossa, perchè pur invocando le risoluzioni dell'Onu, ne supera la sacralità. Col ritiro unilaterale, si deve tornare però a trattare con apertura totale, dice Bush, e Sharon ci sta. Ma la scelta dell'unilateralismo attuale ristabilisce, da parte israeliana, la «visione del giugno 2002» per cui chi non ha rinunciato all'uso del terrorismo e non ha riformato le sue strutture in senso democratico, non può essere ritenuto un interlocutore.Il secondo punto rivoluzionario dell'accordo di ieri riguarda il problema che è sempre stato il vero ostacolo sulla via della pace: i discendenti dei profughi del '48 e del '67 potranno, sì, tornare, ma al loro stato palestinese, e non a uno stato ebraico, non nei confini di Israele. Questo punto è difficilissimo da accettare per i palestinesi perchè ipotizza quello che finora non è mai stato accettato: la conclusione del conflitto. Per i palestinesi, o almeno per gran parte della sua leadership, che hanno fatto di tutto per fermare le dichiarazioni congiunte di Bush e di Sharon, la decisione risulta tragica: sia la rinuncia del diritto al ritomo, sia la caduta del simulacro dell'Onu, contiene lo spunto del cambiamento di leadership, perchè la linea dello scontro per ottenere la sconfitta dello Stato Ebraico sembra essere fallita. L'ira dei palestinesi mette in serie difficoltà anche gli acerrimi nemici di Sharon, la destra estrema, che si ripromette di contattare 200mila famiglie, casa per casa, per bloccare il programma col voto del Likud: il programma che secondo loro è fatto apposta per premiare il terrorismo, di fatto scompiglia il campo nemico, e que- sto non era previsto. Il progetto approvato dagli americani è basato sul fatto che chi non ha rinunciato all'uso del terrorismo e non ha scelto la democrazia non può essere considerato un interlocutore valido Yasser Arafat: da oltre un anno Usa e Israele hanno interrotto ì contatti con lui Ariel Sharon e George Bush escono dalla stanza della Casa Bianca dove hanno discusso II piano di disimpegno israeliano