FUGA «Per noi non c'è più posto»

FUGA «Per noi non c'è più posto» La grande comunità irachena si sta assottigliando giorno dopo giorno. Le barbe islamiche impongono i loro precetti a tutti. A Falluja hanno rifiutato due camion di aiuti dell'arcivescovado L'ESODO FUGA «Per noi non c'è più posto» reportage inviato a BAGHDAD IL quartiere di Baghdad Al Jadida sorge all'estrema periferia Est della città, ai confinì di quel particolare nulla iracheno fatto dì deserto, detriti e spazzatura: è un quartiere dì case povere e dinanzi alla povera villetta della famiglia Polus un camion sta caricando masserizie. Gorguis Polus ed ì suoi, moglie e quattro figli, lasciano la capitale: sono caldei, non se la sentono più di restare, si trasferiscono a Mossul che è circondata da una quarantina dì villaggi cristiani. L'altro ieri dalla slabbrata villetta accanto se n'era andata da famiglia degli Hanna e prima ancora quella dei Neeria, al ritmo di dieci, quindici nuclei familiari al giorno la migrazione si sta infittendo e sulle prospettive polìtiche dell'Iraq spiega molto più dì qualsiasi analisi, va molto più in profondo dì quanto il governatorato americano potesse mai attendersi. Che le truppe d'occupazione prendano o no Najaf, che Muqtada al Sadr sia arrestato o raggiunga, come probabilmente vuole, il paradiso dei Martiri, per la minoranza cristiana di Baghdad il tempo della convivenza sembra finito. Era durato secoli e negli ultimi vent'anni aveva potuto proseguire anche durante la lunga dittatura di Saddam Hussein, in parte grazie alla protezione dì Tareq Azìz. Adesso i cristiani dell'Iraq, comuque vada, si sentono strangolati e prevedono una lunga, lenta, inesorabile vendetta sciita. E questa fuga dovrebbe preoccupare davvero chi ancora favoleggia dì cessione dei poteri e di elezioni democratiche. «La nostra via di fuga è sempre stata a Nord - spiega Gorguis, 57 anni", fino all'anno scorso commerciante piuttosto agiato. «La sola area cristiana sufficientemente densa'è quella di Mossili, ai confini del Kurdistan, ci eravamo spostati lì già alla vigilia della guerra ma avevamo lasciato la casa così com'era, adesso portiamo via tutto il possibile». I quattro figli aiutano il capofamiglia in un lavoro carico di tristezza, parlano appena, le espressioni sono quelle di chi sta consumando un addìo. «Abbiamo resistito più dì un anno, adesso per noi la vita a Baghdad sta diventando troppo buia, troppo pericolosa», contìnua il capofamigUa. Finché c'era stato Saddam il lavoro di commerciante dì alcoolici non era ben visto ma sopportato, fra i seguafcì del «Baath» il whisky aveva sempre goduto dì una certa popolarità. Poi dopo la guerra contro il negozio sono cominciati dì attentati, prima una bottiglia incendiaria, poi una seconda. «Gh sciiti che calavano in città da Sadr City non volevano veder circolare una sola binra: ho ceduto il negozio a pochi dinari prima che le cose peggiorassero». La sorte della famiglia Polus è toccata a molti altri cristiani di Baghdad. Sé fino a quando esisteva il regime posizioni dei crìstìa- ni erano in genere apprezzabili, con la «liberazione» è giunto anche l'impoverimento, quasi sempre per le stesse ragioni. Moltissime famiglie si erano trasferite dalle zone semìcentralì al quartiere dì Aj Jadìda, anche per raggrupparsi, poi man mano che la pressione dei islamici più radicali si faceva più forte ha cominciato ad affiorare la tendenza alla migrazione. «Mia figlia non può andare a scuola da mesi», spiega ancora l'ex commerciante. Geneviève Polus ha diciotto anni ed una bella figura snella, non ama raccontare le sue vicissitudini, tutto ciò che le si può cavare è una frase: «Il velo lo metto soltanto in chiesa... ». Shone, la madre, spiega che da quando l'Iraq è stato «democratizzato» la figlia non può più uscire sola di casa, che per andare al hceo frequentato fino a tre mesi fa doveva farsi venire a prendere fin sulla soglia di casa da uno «scuolabus» guidato da un autista cristiano (altre ragazze cristiane erano sparite senza lasciare traccia) Dinanzi alla scuola, poi, ogni mattina veniva apostrofata da figuri barbuti ed aggressivi che le davano della poco dì buono e le gridavano cagna cristiana perchè sì ostinava a mostrare ì folti capelli neri. A metà gennaio, dopo un breve consiglio di famiglia i Polus avevano deciso di non mandare più la ragazza a scuola e così avevano fatto anche molte altre famiglie cristiane della zona. Da allora per molte ragazze la vita si è trasformata in una prigione domestica. Fino all'anno scorsi i cristiani di Baghdad - fra caldei, siriaci, assiri - erano calcolati in quasi 400 mila, oggi non esistono stime precise ma si valuta che siano pressocchè dimezzati. Il patriarca Emmanuel Delli terzo ed il vescovo Warduni hanno accentuato gh sforzi per trovare nuovi accordi con il potere emergente ma tutto è stato vano. «L'ultimo tentativo - racconta ancora Gorguis - è stato fatto la settimana scorsa, su iniziative del vescovo anche noi cristiani abbiamo racconto aiuti per i musulmani di Fallujah e due camion pieni di generi di soccorso sono partiti dalla sede del patriarcato di Al Mansour. Bene, li abbiamo visti ritornare indietro. Li hanno rifiutati, magari non la gente comune ma sicuramente i «mujaheddin» che la controllano». Il patriarcato ha preso contatti con gh ayatollah, gh ayatollah hanno risposto che a respingere gh aiuti erano stati gh americani, gli americani hanno spiegato che non era andata così. La mano tesa dei cristiani caldei è stata rifiutata. E da venerdì scorso la migrazione si sta infittendo: «Nell'Iraq di domani - conclude amaro Gorguis Polus - non ci sarà posto per noi». Un bambino iracheno di religione cattolica arriva per la messa della domenica nella chiesa di Nostra Madre della Tristezza a Baghdad I cattolici rappresentano circa il tre percento della popolazione

Persone citate: Emmanuel Delli, Saddam Hussein, Sadr, Sadr City, Tareq Azìz, Warduni