La commedia musicale affascinò anche Petrassi di Sandro Cappelletto

La commedia musicale affascinò anche Petrassi IL LEGGERO INTRECCIO DEL «CORDOVANO» La commedia musicale affascinò anche Petrassi Sandro Cappelletto ROMA Una moglie arzilla ma sempre costretta in casa, un marito anziano, noioso, geloso, piuttosto de-sessuahzzato, una nipotina ingenua sì e no, una vicina gentile e ruffiana, un ragazzo tempestoso di ormoni. Da questo intreccio tipico da commedia leggera, Goffredo Petrassi ricava il suo primo lavoro di teatro musicale, «Il Cordovano», riproposto dal Teatro dell'Opera, in occasione del centenario della nascita del grande compositore. Il testo originale di Cervantes, l'autore del «Don Chisciotte», viene letto da Petrassi nella «magnifica traduzione di Eugenio Montale», che lo convince a vincere la sua ritrosia verso il genere operistico e finalmente, nel 1949, a debuttare come autore di teatro musicale, scegliendo una vicenda beve, non drammatica, in apparenza estranea alla sua creatività. Ma le opere del maestro sono spesso elettrizzate dall'ironia, dal piacere dello sberleffo, del gesto estroso; e nel genere così esigente della commedia musicale - in Itaha, l'ultimo ad esserci davvero riuscito si chiamava Rossini - «Il Cordovano» rappresenta un esito febeissimo. Un qualche imbarazzo si avverte soltanto nella prima scena, quando la macchina della commedia deve mettersi in moto, trovare il giusto equilibrio tra parola recitata e cantata - il testo viene integralmente rispettato - e tra sviluppo dell'intreccio e guizzi della musica; poi, il meccanismo cammina a pieno regime e i sessanta minuti scarsi di spettacolo procedono con vera vivacità: la moghe fa l'amore col giovanotto in camera sua, mentre il marito se ne sta in salotto, tutto tronfio del proprio benessere. E lei canta, eccome se canta. Petrassi si diverte, cita - siamo in Spagna - il «Bolero» di Ravel, ma anche, per Goffredo Petras si pura ironia, il «Tristano» di Wagner, e gh strumenti giocano bevi, guizzanti, incalzanti, «Il Cordovano» (il nome che si dà ai famosi tappeti di Cordoba, capaci anche - se ben arrotolati - di nascondere un amante) regge dunque allo scorrere degli anni e degli stili, grazie anche alla direzione elegante di Marcello Panni, che indossa questa musica come il più bello dei propri abiti, esaltando una partitura impegnativa per vivacità e mutevolezza ritmica e governando il rapporto tra voci e orchestra, difficile da conseguire in uno spazio enorme come quello del palcoscenico dell'Opera. «Il Cordovano» nasceva per gli spazi della Piccola Scala, senz'altro più adatta. La regia di Stefano Vizioh dimentica il Seicento e, con le scene di Gianni Dessi, semplici e astratte, un disegno di linee dai colori accesi, mediterranei, e i costumi, soprattutto i femminili, da cocktail Anni Cinquanta di Anne Marie Heinreich, ci conduce in un Novecento tutto glamour, infittito di movimenti minici e di qualche passo di danza. Petrassi non avrebbe gradito, ma i cantanti devono pure fare qualcosa in scena, e tutti stanno al gioco con disinvoltura e molto spiritosi: Rosa Ricciotti è la mite e furba moghe, Giorgio Surian, un marito di gran voce, teatralissimo, anche un po' gigione, Valentina Valente (la ragazza) e Antonella Trevisan (Hortigosa, la vicina di casa) completano un cast che sa rendere una vocalità capace di giocare con qualche eco di stile classico e un gusto più contemporaneo per la declamazione. La serata ERA completata, con inedito accostamento, da «CavaUeria rusticana» di Mascagni, con scene di Renato Guttuso, e Giovanna Casella e Nicola Martinucci nei ruoli principali, catapultati in una Sicilia più Magna Grecia che «turiddesca», più classica che verista. Goffredo Petrassi

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