Ma sul Web siamo forse tutti criminali? di Anna Masera
Ma sul Web siamo forse tutti criminali? IL DIBATTITO PER UNA CULTURA DIGITALE LIBERA Ma sul Web siamo forse tutti criminali? Dagli Usa all'Europa governi e aziende mirano a regolare Internet. Rischiando di imbrigliarla Anna Masera Internet si sta dimostrando un sistema potente per condividere la conoscenza con il libero scambio di informazioni tra pari noto come «peer-to-peer file sharing» (o P2P), ma è sotto tiro da parte dei governi che, nel nome della sicurezza e della protezione della proprietà intellettuale, cercano di controllarla. Dagli Usa all'Europa all'Italia fioccano norme e decreti per regolare Internet. Il risultato? Il popolo di Internet che non ci sta viene penalizzato, se non criminalizzato, alla stregua dei criminah veri. (di nuovo proibizionismo contro le reti P2P e chi le frequenta minaccia la creatività e la libertà» dichiara Lawrence Lessig, professore di legge alla Stanford University autore del nuovo libro «Free Culture» («Cultura Libera», a disposizione gratis online su www.free-culture. org). La guerra iniziata dall'industria discografica, che ha visto i suoi profitti crollare con lo scambio di brani digitali, è stata abbracciata dall'industria del software e adesso anche da quella cinematografica. Si calcola che siano circa 70 milioni le persone che nel mondo utilizzano il ale sharing online da quando è nato alla fine degli anni Novanta e gran parte è illegale. Eppure in un sondaggio Usa i giovani a cui viene chiesto se sanno che la loro attività è illegale, solo il 16 per cento risponde di sì. La maggior parte risponde: «Beh, c'è illegale e illegale». Cosa fa l'industria discografica a parte fare causa ai ragazzi che scaricano musica da Internet? «Usa la legge per proteggersi dalla competizione» accusa Lessig, secondo cui invece si potrebbero esplorare altri modelli di business su Internet che permetterebbero ai consumatori di pagare perle opere degli artisti. Le soluzioni provengono proprio da Internet: dal copyright più flessibile Creative Commons (www.creativecommons.org) alla tassa mensile per i downloader come per le radio libere da devolvere alle varie Siae mondiali (www.eff.org) alla firma digitale da lasciare sulle opere scambiate per uso personale (il sistema di gestione dei diritti digitali dellTstituto Fraunhofer, inventore degli Mp3): permette l'usufrutto, ma costringe gli utenti a prendersi ima certa responsabihtà. Peraltro, scaricare anche un numero elevato di canzoni da Internet non sembra incidere sulle vendite di album, secondo i risultati di una ricerca di alcuni ricercatori delle Università di Harvard e del Nord Carolina. H gruppo ha rilevato che gli effetti della pirateria sono statisticamente indistinguibili da zero: «Abbiamo rilevato che la maggior parte degli utenti non avrebbe comunque comprato l'album». I ricercatori hanno paragonato le vendite di 500 album di vari generi musicali al numero di download corrispettivi e hanno rilevato che sarebbe necessario scaricare 5 mila canzoni per modificare le vendite di un ed. Addirittura sembrerebbe che la condivisione di file abbia un effetto positivo sulle vendite degli album più richiesti. Per gli attivisti che difendono il peer-to-peer file sharing non si tratta di difendere la ((pirateria», ma la ragionevolezza, in un'era di caccia alle streghe che in nome della lotta al cyber-terrorismo viola i diritti costituzionali dei cittadini per proteggere gli interessi delle lobby industriali. «Quando gli interessi economici vengono difesi dalle forse di polizia, c'è qualcosa che non va: qualcosa di illiberale che non può star bene in una democrazia» sostiene l'avvocato napoletano Astolfo di Amato. Proprio in Italia, di fronte al dibattito che si è sviluppato intomo al controverso «decreto salva-cinema», il ministro Giuliano Urbani che lo ha voluto con urgenza ha fatto retromarcia nei giorni scorsi e ha tolto le sanzioni al P2P di film online per uso personale. Secondo Ross Anderson, professore all'università di Cambridge intervistato dalla Ebe, lo scambio di file tra pari servirà anche per superare le barriere che certi Stati pongono alla libera navigazione, per cercare notizie non soggette alla censura o raccontate da un punto di vista diverso da quello della maggioranza dei media. Un fatto è certo: dalla società industriale siamo passati alla società dell'informazione ed è sensato adattare le leggi al cambiamento. Ma senza fretta. E con la partecipazione di tutte le parti in causa. Per gli attivisti dalla parte del «P2P» si tratta di difendere la ragionevolezza contro il proibizionismo delle lobby ^v^os^1'
Persone citate: Giuliano Urbani, Lawrence Lessig, Lessig, Ross Anderson, Stanford
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