Le vacanze al tempo di guerra di Duccio Canestrini

Le vacanze al tempo di guerra CONFLITTI, ATTENTATI, SOMMOVIMENTI ETNICI CAMBIANO IL MODO DI VIAGGIARE NEL PIANETA. UN LIBRO ANALIZZA PRO E CONTRO Le vacanze al tempo di guerra Duccio Canestrini NEL gennaio 1997 le agenzie di viaggio francesi che organizzavano visite in Perù prevedevano una sosta davanti all'Ambasciata del Giappone di Lima, dove i guerriglieri del movimento Tupac Amaru trattenevano più di settanta ostaggi. La sosta era programmata per permettere ai turisti di fotografare e di filmare il luogo del dramma. Proprio sulla base di questo esempio, l'antropologo francese Marc Auge è perentorio: «Il turismo è la forma compiuta della guerra». Persino nella grande letteratura affiora la consapevolezza dell'inquietante analogia tra le spedizioni turistiche e quelle belliche. Nel romanzo Camera con vista Edward M. Forster, che conosceva bene l'India coloniale, si prende gioco della tipica mentalità britannica incarnata nella fattispecie da due ladies - i più puri esemplari di anziane signorine britanniche - che si preparano a un viaggio nel Mediterraneo: «Che potessero esserci dei negozi anche all'estero, perfino ad Atene, era un'idea che non le sfiorava, perché consideravano i viaggi una specie di guerra, alla quale pi poteva andare solo dopo essersi armate di tutto punto nei negozi di Heymarket». E nel libro di viaggi H giro della prigione la scrittrice francese Marguerite Yourcenar cita, con un pizzico di cinismo, «il genio» di Victor Hugo, secondo cui i due modi primitivi dell'incontro tra i popoli sono la guerra e il viaggio. Ripercorrono all'infinito questa traccia anche le cronache attuali. L'esercito dei vacanzieri, l'invasione turistica e altre analoghe locuzioni fanno parte del lessico giornalistico, che tende a rappresentare il viaggio turistico come una spedizione parabeUica. In un editoriale del periodico satirico Cuore di qualche armo fa, intitolato Credere, obbedire, abbronzarsi, Ulichele Serra scrive a proposito delle grandi vacanze di massa come del «più colossale sforzo di tra¬ sferimento-truppe mai visto al mondo, impressionante per sincronia dei movimenti, rigorosa disciplina, divisione dei compiti». E in un gustoso siparietto tratto dalla Breve storia delle vacanze di Frutterò e Lucentini si trova ima battuta significativa: «Da voi è già pronto il piano-vacanze? Non ancora, il nostro capo del personale sta studiando Rommel...». In un serio studio su questa tematica, tutto sommato poco esplorata, due ricercatori, Diller e Scofidio, mettono argutamente a fuoco la questione: «Sembra che turismo e guerra s'intersechino continuamente nelle news, ma la loro associazione non è un fenomeno recente. Il turismo contemporaneo è un'evoluzione del viaggio eroico del passato, le cui radici sono indubbiamente legate a quelle dei primi conflitti territoriali: dopo tutto, la mobilità è sempre stata una strategia bellica cruciale. I soldati, come viaggiatori, sono stati tra i primi a penetrare e a indebolire i confini territoriali, non soltanto per mezzo della forza, ma anche attraverso la diffusione della lingua e dei costumi. Oggi il viaggio non è più semplicemente parte della guerra: è diventato un benefit complementare, persino un incentivo. Dalla prima guerra mondiale il richiamo del viaggio è stato introdotto direttamente nel discorso seduttivo del reclutamento militare. La pubbhcità delle forze armate presenta il servizio militare come un mezzo per "vedere il mondo", un'opportunità altrimenti riservata alla classe agiata». I rimandi simbolici tra la vita militare e il mondo del turismo non stanno soltanto nelle forme del viaggio-spedizione, stanno anche nelle formule di difesa degli accampamenti. La vacanza protetta, all'interno di una colonia turistica più o meno esotica, evoca in effetti l'idea di una enclave inattaccabile: un Fort Paradise, dove si difendono i propri privilegi dagli indiani. Anche a cannonate, se è necessario. [...1 Ecco allora la necessità di controlli e di protezione. Ecco la Droliferazione di bodyguards e 'ipertrofia delle misure di sicurezza ai cancelli dei resort più esclusivi. Ecco la nascita di corpi speciah di polizia turistica, come si trovano per esempio in Thailandia, Messico, Brasile, Venezuela, Egitto, Grecia. Ma la presenza di questi sceriffi di contrada, che hanno il compito di mantenere l'ordine pubbhco nelle locahtà turistiche, ha inevitabilmente una ripercussione sulla vita quotidiana delle comunità ospitanti. Con una maggiore sorveghanza su tutto e su tutti, anche per i residenti; e con un impatto che sfata, se ve ne fosse ancora bisogno, la leggenda del turismo industria leggera. E' facile pronosticare, in quest'ordine di idee, la delimitazione di territori con tassativa destinazione d'uso ludico-ricreativa. Zone il cui accesso è vietato ai non addetti allo svago. Riserve turistiche segnalate da cartelli conia scritta «Tourist area, keep off». Quanto alle barriere per tenere alla larga squali e contadini, sono ipotizzabili vari sistemi: reti, mura, cancelli elettrificati, oppure automazioni intelhgenti con seghe elettroniche che riconoscono la validità del visitatore e della sua identità. In una simile cornice di abilitazione all'attività turistica, sarà però da mettere in conto l'abusivismo. Così come si legge di migranti disperati che si nascondono nel vano carrello degli aeroplani, montano su carrette del mare o viaggiano sigillati dentro containers, vi saranno aspiranti turisti che tentano l'effrazione clandestina negli esclusivi paesi di Bengodi. Rischiando la vita per realizzare un sogno. Il censo rimarrà sempre la base per la discriminazione, ma non l'unica: altre potranno essere l'etnia, la lingua, il patrimonio genetico, il luogo di provenienza, la conoscenza di formule codificate, la regolarità del curriculum vitae, il possesso di certificazioni di ottemperanza, comprovate salute e fedeltà, e così via. E' inutile creare barriere, se non si creano protocolli di accesso. Di fatto, le due cose nascono e funzionano insieme [...]. La maggior parte delle isole Andamane e delle vicine Nicobare, nel Golfo del Bengala, è già turisticamente bandita. Si tratta di magnifici arcipelaghi, situati tra l'India e la Thailandia, che per il loro interesse strategico ospitano basi della marina militare degli Stati Uniti. Di fronte a questo genere di priorità, per ora, non si guarda in faccia nessuno, neppure la concorrente industria turistica. Ricordo che quando chiesi spiegazioni al governatore delle isole Andamane, mi rispose con un sorriso che per motivi di sicurezza era stato negato un permesso di studio anche a Claude LéviStrauss, il più grande antropologo del mondo. Nel maggio del 2003, con un'iniziativa senza precedenti, il governo britannico ha deciso di sospendere tutti i voli da e per il Kenya, considerato una destinazione insicura. Dopo una serie di gravi attentati terroristici, che hanno toccato anche l'Arabia Saudita, la situazione di pericolo, per gli Stati Uniti, riguarda ormai tutta l'Africa orientale. Gli «sconsigh» di viaggio da parte del Dipartimento di Stato americano colpiscono numerose nazioni: Afghanistan, Tagikistan, Giordania, Venezuela, Costa d'Avorio, Libano, Yemen, Iraq, Indonesia, Libia, Somalia. Attraversare certe frontiere, in piena globalizzazione, forse diventerà impensabile, come nel mondo prefigurato da George Orwell con il fantapohtico romanzo 1984. E chi deciderà di visitare comunque un cosiddetto «Stato canagha» (verranno diramati notiziari aggiornati, simili agli attuali bollettini epidemiologici?) sarà considerato solo un temerario o, a sua volta, ima «persona canagha»? Oppure un criminale tout court! Senza arrivare a tanto, è facile prevedere che, come minimo, l'assicurazione non coprirebbe questo tipo di turismo avventuroso. Turisti in paziente attesa alla stazione dì Santa Maria Novella a Firenze

Persone citate: Claude Lévistrauss, Diller, Edward M. Forster, George Orwell, Lucentini, Marc Auge, Marguerite Yourcenar, Rommel, Victor Hugo