«Poche parole e tanti soldi» La vita ordinaria di Giorgio di Pierangelo Sapegno

«Poche parole e tanti soldi» La vita ordinaria di Giorgio RITRATTO DI UN «MOSTRO» «Poche parole e tanti soldi» La vita ordinaria di Giorgio I racconti dei vicini: vestiti alla moda e nessuna fidanzata stabile Massimo e Tiziana stravedevano per lui: una volta eravamo amici reportage Pierangelo Sapegno inviato a CinA DI OSTELLO Lf ULTIMA volta che l'aveva visto Marco Machi, il suo difensore d'ufficio, subito dopo l'arresto, «aveva la testa china e non aveva levato gli occhi da terra per tutto il tempo che s'erano incontrati». Stava con le braccia sulle ginocchia e le mani intrecciate sopra le gambe larghe, pieno di silenzio, ma non di disperazione. Gli diceva: «Mi tengono dentro?». Cosa c'era di sbagliato, in quegli occhi, in quelle mani, in quella testa, cosa c'è che possiamo imparare a distinguere? «Un uomo normale», aveva pensato l'avvocato. Machi racconta che gli aveva chiesto qualcosa della bambina, ma lui non sembrava nemmeno ascoltarlo. Continuava solo a dire che non riusciva a capire per quanto tempo ancora doveva stare in carcere. Anche ieri, prima di confessare davanti al gip Nicla Flavia Restivo che era stato lui a uccidere la piccola Maria, Giorgio Giorni s'era rivolto tranquillamente agli agenti di custodia che lo stavano scortando, come se dovesse andare a un appuntamento di lavoro senza troppa voglia, con la testa sempre un po' china e i suoi occhiali da vista con le stanghette nere, per ripetere di nuovo la stessa domanda, l'unica che riusciva a fare da quand'era cominciata questa storia: «Ma secondo voi quanto tempo ancora dovrò restare in carcere?». Loro gli avevano detto: «Dipende». E lui era stato zitto. Nessun segno di pentimento, diceva Machi. In fondo, cosa c'è di strano. Forse non è lui. Ma, se è lui il vero assassino, può mai pentirsi uno che sevizia e uccide una bambina di due anni, una creatura che è proprio come la definisce il sindaco di San Giustino, Daniela Frullani, «mai colpevole di nulla»? Il cappellano del carcere, don Ugo, sostiene che «Giorni afferma di essere innocente». Solo che lo dice con quell'aria severa e un po' arcigna del prete abituato a far la voce grossa, a non fidarsi troppo neppure dei santi, lo dice come uno che non ci crede. Ieri, anche prima della confessione, non ci credeva più nessuno. Allora, cosa c'è di strano. Tutte le volte che d imbattiamo in questi orrori è sempre la stessa sorpresa, quella che raccontavano l'altro giorno al bar quando dicevano che Giorni, forse, «non era uno che parlava molto, ma era uno che sapeva il fatto suo. La macchina, la casa, i soldi. Uno che comandava». Come fa mio così ad ammazzare un bambino? Quasi come a dire che non ha bisogno, come se la vergogna, lo scempio, fosse qualcosa che non ci appartiene, che è fuori da noi. E invece, se abbiamo pudore, almeno prima di una sentenza, a chiamare mostri tutti quelli come Giorni, è comunque mostruoso quello che incontriamo ogni volta, questo mondo che ha in sé qualcosa di orrendo e di osceno proprio nella sua normalità, che non è solo apparente, ma anche reale. E che abbiamo rivisto pure oggi, ritrovato in questo degrado che non è solo morale, e che permette all'oirore di convivere pacificamente dentro di noi. Se uno va a cercare le tracce di Giorni, comincia da San Sepolcro, provincia di Arezzo, a pochi chilometri da qui, in via Scarpetti, davanti a una villetta, dove l'imprenditore vive con la mamma vedova, «ima donna molto stimata, una famiglia ben vista», come annotano i vicini. Giorgio ha 32 anni, è un italiano come tanti con la sua bella casetta, i giubbotti alla moda, cultura medio-bassa, uno che non legge un libro manco se glielo regalano, ma cura il suo fisico come un palestrato: alto, muscoloso, capelli rossicci, a spazzola. Non ha una fidanzata, e, almeno da queste parti, dicono che «non ne ha mai avuta una, o comunque non ha mai avuto rapporti stabili con le donne». Certo, a 32 anni l'è dura, così. Ma qui «non è che frequentasse molto», aggiungono. «Era chiuso e ricercato». La sua vita s'era spostata quasi tutta pochi chilometri più in là, a Città di Castello. Aveva tirato su la Pavim, azienda specializzata in pareti in carton gesso. Qui aveva un appartamento in pieno centro, nel palazzo Gualterotti, di fronte al cinema Eden, un edificio del 1500 con le mura spesse. E qui sembrava un altro uomo, con la sua Alfa 147 sempre lavata di fresco, come se fosse Ù figlioletto da portare alla prima comunione. Faceva anche uso di cocaina, ha suggerito qualche inquirente, ed era stato seguito dal Sert. Ma la coca fa anche molto chic, sarà mica un problema? Al bar lì vicino, raccontano che «era uno molto sicuro di sé, e che parlava molto delle dorme, come uno che ne aveva senza fatica». Al ristorante invece dicono die «molto spesso aveva gente in casa, perchè d ordinava da mangiare per 4, 5 persone». Donne? «No, non credo». In paese, però, che una donna ce l'avesse lo pensavano tutti. Dicevano di Tiziana Deserto, la mamma di Maria, moglie di Massimo Geusa, che era venuto su a lavorare da Brindisi e faceva il piastrellista nella sua ditta. Adesso Tiziana nega: «Mai avuto una storia di letto con lui». E probabilmente ha ragione. Lo grida e lo ripete, «era solo imo con cui ci parlavo bene, mi capiva», prima che arrivi il suo avvocato, Gianni Zaganelli, a dirle di smetterla. Ma adesso parlano tutti. Che peccato che d sia di mezzo anche una cosa atroce, una bambina morta. Pure Tiziana ha la faccia triste all'ospedale, il primo giorno, ma quando l'avvicina una giornalista non riesce a trattenersi dal brillare gli occhi guardando una foto: {(Ah, Bonolis. Quanto mi piace». Sì, signora? «Non in senso fisico. Dicevo che lo guardo sempre». Certo signora. Zaganelli che li iia conosduti un po' prima di difenderli, spiega che marito e moglie. Massimo e Tiziana, non bisogna fraintederli, «sono due persone molto semplici, con cultura medio-bassa, forse neanche la terza media. Sono ignoranti, ma mi sembrano incapaci di far del male e di vederlo». Italiani tipici, brava gente. Di quelli che dicono Dio e famiglia, e poi sono tutti tv e sogni (fate voi chi è Dio e chi no). Che male c'è? Massimo e Tiziana han trovato casa a San Giustino, nella campagna, perché se guardi da qui, oltre questi casolari fatiscenti, d sono le verdi colline, i dossi, gli olivi. Di fronte all'appartamento dei Geusa c'è un'altra casa con un cartello: «Casa pericolante». Da loro, al pian terreno, ci sono i marocchini, che lavorano come bracdanti, e al piano sopra Eloina Morales, l'amica cubana di Tiziana, e la famiglia Geusa. Dentro, le piastrelle un po' scheggiate, le sedie spaiate, le cudna sporca. Lui guadagna 50 euro al giorno, spiega l'avvocato Zaganelli: 1500 al mese. Per andare in giro gli ha prestato un furgone il padrone, Giorgio Giorni. E' un camioncino sgangherato con la scrìtta della ditta, ma dentro ha i sogni di chi d vuole credere. Tiziana torse d crede al punto da regalargli quad la sua bambina, senza sapere nemmeno che lo sta facendo. Ancora adesso, se deve chiamarlo mostro, lo fa con un pizzico di incertezza e riverenza, come se alla fine parlassimo pur sempre di un potente, come se volesse dire (do, modestamente, ero molto amica sua». Solo Eloina parla apertamente male di Giorgi, ma lo fa con soddisfazione, come se invece potesse finalmente vendicarsi dell'invidia patita: «Era arrogante, brutta persona». E il marito di Tiziana, un mingherlino che le arriva alle spalle e che le trottola dietro, parla anche se gli hanno detto di non farlo più per dire che (dui era un amico, siamo nati lo stesso giorno, lo stesso anno, avevamo molto in comune, e facevamo dei bei discorsi)). Non si rende conto di quello che dice, il poveretto. Eloina ripete che lei l'aveva già vista 20 giorni prima con i lividi, la bambina, che le avevano detto che era caduta da una sedia, ((ma come si fa a non accorgersene?». Loro la guardano con disprezzo. Eloina attacca ancora: «Tra i due c'era una relazione». E Massimo ribatte: ((Anch'io avevo una relazione con lui, cosa c'entra. Ma eravamo amid. Quella persona che parla tanto invece è una che ha avuto tante altre relazioni». Era questo che volevamo raccontare. C'era una bambina morta, un paese a lutto, c'era tanto orrore. Ma c'era qualcos'altro, se servisse a capire.

Luoghi citati: Arezzo, Brindisi, Cina, Città Di Castello, San Giustino