La mamma «Quello è un orco Lo ammazzerei»

La mamma «Quello è un orco Lo ammazzerei» LA BIMBA UCCISA A CITTA DI CASTELLO. «TUTTI MI GIUDICANO, MA CHE DIRITTO HANNO?» La mamma «Quello è un orco Lo ammazzerei» «Ho sbagliato a fidarmi, ma lui si è sempre dimostrato un amico I lividi sul corpo della piccola? Sì, è vero, forse ho sottovalutato L'ho desiderata tre anni. Ora non voglio più figli, lei era unica» reportage Maria Corbi inviata a CITTA DI CASTELtO (PERUGIA) Cammina Tiziana, cammina senza sosta per i corridoi dell'ospedale di Città di Castello dove Maria, la sua bambina, é distesa su una panca della sala autopsie. La faccia é una maschera di gelo, qualcuno la interpreta come freddezza, lei si difende: «È il dolore di chi non ha più niente». Quando si siede nella poltroncina di ferro nera accanto al corridoio che porta alla morgue, ha accanto il padre. Il marito. Massimo Geusa, trent'anni, uno meno della moglie, è una figura minuta e sfocata che entra di corsa nel corridoio blindato dell'amministrazione sanitaria. Lei - fisico giunonico, bella faccia incorniciata da capelli neri a caschetto - guarda fuori dalle vetrate, le fissa, si torce le mani, le infila nelle maniche della giacca di renna a frange che porta da tre giorni. Da quando, lunedì, alle 13,28, («ricordo il timer sul mio cellulare») una dottoressa le ha spiegato al telefono: «Sua figlia è caduta ed è in coma». «Mi sono precipitata all'ospedale, mi sentivo che era successo qualcosa di terribile, ma come, mi dicevo, è in coma per una caduta?». La speranza da allora è stata appesa a un filo: «Pregavo accanto alla mia bambina, così piccola, piena di tubi. Le ho parlato fino alla fine, "resisti" le dicevo cercando di farle rimettere in moto il cervellino. Invece ha preferito andarsene». E forse aveva ragione Maria a volere andarsene da .un mondo che l'ha violata tanto crudelmente, dove un orco si era nascosto (questo indicano le indagini) nei panni di un amico di famiglia, Giorgio Giorni, imprenditore edile, datore di lavoro del padre, e amico affettuoso, troppo secondo alcuni, della madre. E' Eloina Morales, una cubana che lavora al tabacchificio di Città di Castello, la vicina di casa di Tiziana e Massimo Geusa ad accusare: «Avevano una storia». E' lei che si presenta in ospedale e aggredisce Tiziana mentre al bar, all'ora di pranzo, mangia un trancio di pizza con i funghi. La insulta: pezzo di tr.... te l'avevo detto di non fidarti di lui... sarai contenta adesso». Tiziana si difende, ha accanto la madre: «Lasciami stare, non capisci che soffro». Poi insieme al marito corre dai carabinieri (sul furgoncino della ditta edile del presunto assassino) per denunciare l'ex amica e diffidarla dall'avvicinarsi ancora a lei. Più tardi spiegherà: «Voleva molto bene a mia figlia, adesso è uscita di testa». Eloina non se ne va dall'ospedale, gira con in mano la foto della piccola Maria nel giorno del suo compleanno, a settembre, nella cucina di casa con la torta di panna decorata, le due candeline rosa, le pizze comprate per festeggiare. Il dono che più aveva fatto illuminare il volto della piccola era stata la cucina con le pentolino donatale da quello che sembra essere il suo carnefice. «Le faceva sempre regali». racconta Eloina. «E la madre mi pregava di tenerle il gioco e di dire al marito che ero io a comprare le bambole a Maria. Di questo mi pento, ho coperto la loro storia. La sera prima che accadesse la tragedia Tiziana mi aveva confidato di voler lasciare il marito per andare a stare con Giorni. Quel tipo non mi é mai piaciuto, forte fisicamente e psicologicamente. Era ricco e si era comprato tutti». La bambina con i regali, Tiziana con i sentimenti. Massimo con il lavoro. L'ultima volta che Eloina ha visto Maria è stata domenica sera quando la bambina é andata a giocare da lei in uno degli appartamenti, tutti uguali, ricavati da im vecchio casolare di campagna affacciato su una casa pericolante e su una ritmo piena sfasciata piena di pneumatici vecchi. Al piano terra abitano alcuni marocchini, al piano di sopra ci sono i Geusa ed Eloina Morales. Era questo il mondo di Maria, da qui è stata portata via lunedì mattina alle 7,30 da Giorgio Giorni. Adesso sulle scale che portano alla sua casa qualcuno ha posato una immagine in legno di Padre Pio che dice: «Resterò alle porte del Paradiso fino a quando l'ultimo dei miei figli spirituali sarà entrato». Negli occhi di tutti quelli che incrociano nei corridoi Tiziana traspare lo stesso dubbio: «Perchè lunedì mattina ha consegnato la figlia a Giorni?». Tiziana lo sa e davanti alle telecamere scappa: «Non ve lo dico». Poi però, a chi le siede vicino nell'anticamera della camera mortuaria, spiega: «Giorni mi aveva telefonato la sera prima dicendomi che voleva passare un po' di tempo con la bambina, portarla ai giardini di piaz¬ za Ferri. In fondo non era un dramma perdere un giorno di scuola materna. Così mi sono fidata, e questo è stato il mio unico errore, perché lui era un amico. Credevo. Invece era un mostro e me l'ha uccisa. Adesso dicono che è il mio amante, ma io non ci sono mai andata a letto, ci confidavamo i nostri problemi, un'amicizia affettiva». Mai nessun sospetto? «Certo mi ero accorta che veniva a trovarmi quando c'era la bambina, ma diceva che le voleva bene come a una figlia. So che la gente mi crede colpevole perché ho consegnato mia figlia a quello lì. Ma poteva succedere anche a loro di affidare un figlio a una persona conosciuta e non sapere che era invece un animale». Le maestre dell'asilo avevano chiesto una decina di giorni.fa alla mamma come mai sul volto della piccola ci fossero dei lividi. «E' caduta nel cortile», fu la risposta allora. «Forse ho sottovalutato...», ammette oggi. Quello che le sembrava normale si trasforma in dubbio. E chi la osserva nota allo stesso tempo dolore, contraddizioni, semplicità, rabbia, rassegnazione. Un groviglio inestricabile e ingiudicabile. Di una cosa è sicura: «Non tornerò in Puglia dove abitano i miei genitori, lì i parenti mi martorizzerebbero, preferisco rimanere qui». Tiziana parla sciogliendo finalmente le lacrime, gli occhi non sono più asciutti come hanno condannato in tanti. E' una specie di litania: «Mi giudicano, che diritto hanno? Non capiscono». «Per fortuna la giustizia sta venendo fuori. Io sono stata interrogata per un giorno e mezzo, è stato teiribile ma necessario», continua. «Se lo avessi tra le mani lo ucciderei». Racconta di quanto l'ha desiderata questa figlia «tre anni ci sono voluti perché finalmente potessi abbracciarla, non riuscivo a rimanere incinta - dei problemi di salute che rendono adesso difficile per lei una nuova maternità: «Sono portatrice sana di anemia mediterranea e un'altra gravidanza metterebbe a rischio la mia vita». Poi scuote la testa, si tormenta la catenina con la croce e un cuoricino che porta al collo e sussurra: «Io non voglio altri figli. Avevo lei, adesso non c'è più e non sarò più mamma. A meno che Dio non mi rimandi la mia bambina. Spero solo che Maria da lassù mi dia la forza per andare avanti». L'ultimo gesto da mamma, Tiziana lo ha compiuto entrando in un negozio di Città di Castello per comprare il vestito da far indossare a Maria per il suo ultimo viaggio, bianco, con un fiocco sul cuore. «Lei si meritava solo cose bellissime» YH1 Adestra, una delle ultime immagini di Maria, la bimba seviziata e uccisa a Città di Castello alla festa del suo secondo compleanno A sinistra la madre della piccola

Persone citate: Eloina Morales, Geusa, Giorgio Giorni, Maria Corbi, Massimo Geusa, Padre Pio

Luoghi citati: Città Di Castello, Perugia, Puglia