Martino: «L'ordine di rioccupare i ponti è venuto dagli alleati» di Francesco Grignetti

Martino: «L'ordine di rioccupare i ponti è venuto dagli alleati» LA RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA AL SENATO Martino: «L'ordine di rioccupare i ponti è venuto dagli alleati» «Grazie alle trattative dopo gli scontri abbiamo ottenuto risultati significativi tra cui solidarietà e supporto alla presenza italiana» Francesco Grignetti ROMA L'operazione era iniziata all'alba. Anzi, nella notte. «Proprio per evitare il coinvolgimento anche involontario della popolazione civile». Il ministro della Difesa, Antonio Martino, scandisce bene le parole. E' chiamato in Parlamento per spiegare come è andata sui ponti di Nassiriya. Sa che le sinistre, e quelle pacifiste in particolare, lo attendono al varco. Quindici civili iracheni morti, di cui due bambini e una donna, più undici feriti tra i nostri bersagheri non è notizia che possa scivolare via. Ci pensa Marco Minniti, dei Ds, a rimarcare: «La situazione sta sfuggendo di mano. Con lo scontro e i morti, la missione è fuoriuscita dal profilo deciso dal Parlamento. Vogliamo sapere chi ha deciso di andare a riprendere i ponti». Già, chi l'ha deciso? Il ministro è secco: «Gli ordini sono stati dati in base alla catena di comando che è prevista dall'organizzazione. E' tipico di tutte le missioni multinazionali che il comando, come è inevitabile, spetti a una delle nazioni partecipanti». L'ordine insomma è venuto dall'alto. Dagli americani al generale inglese Andrew Stuart, che è il responsabile militare dell'Iraq sud-orientàlè, e da lui all'ufficiale di collegamento italiano, il generale Francesco Spagnuolo. Da questi l'ordine è stato valutato, discusso con lo stato maggiore a Roma, accettato, e infine girato al generale Gianmarco Chiarini che comanda il contingente di Nassiriya. Ne sono scaturite cinque ore di fuoco con le milizie di al-Sadr. Ed ecco il resoconto del ministro. Ora per ora. A Nassiriya, sotto gli occhi dei bersaglieri, «la sera del 3 aprile, nell'ambito di altre manifestazioni organizzate contro la Coalizione, centocinquanta persone, alcune delle quali annate con fucili mitragliatori hanno bloccato il transito sul ponte sull'Eufrate». Lì accanto c'è una piccola base dei carabinieri, la «Libeccio», che è in corso di smobilitazione. In quel momento era guardata da pochi militari. Sono volate minàcce. E il comando «ha disposto il ritiro del contingente. S'è trattato di un ripiegamento momentaneo di alcune ore al culmine dei disordini». L'intento era «non far degenerare gli scontri e non promuovere un'ulteriore escalation di tensione». Poco dopo, nella notte del 4, un gruppo di miliziani «armati di fucili e lanciarazzi», si sono spostati davanti alla sede della Autorità Provvisoria, dove risiede la govematrice Barbara Contini. E' fi che yn maresciallo dei carabinieri del «Tuscania» è stato ferito da ima scheggia «provocata dall'esplosione di un razzo». Al mattino di domenica, altri disordini su due ponti: i miliziani dividono a metà la città. Comincia la trattativa della Contini con il rappresentante locale della milizia dì al-Sadr. «I ponti venivano liberati dal blocco la sera dello stesso giorno intorno alle 18». Ma la giornata non era ancora finita. Un pattuglione di circa trenta paracadutisti, tra carabinieri e portoghesi, che sta andando verso la palazzina dell'Autorità provvisoria, viene «attaccato pesantemente da un gruppo di rivoltosi». Nel conflitto a fuoco, restano feriti due italiani e due portoghesi. Il reparto comunque si tirava fuori dai guai, grazie anche a un gruppo dei reparti speciali accorso in sostegno. Al rientro verso la base, «una delle due colonne veniva nuovamente attaccata dai facinorosi con colpi di arma da fuoco». Il giorno seguente se ne va con nuovi blocchi su tutti e tre i ponti e con l'occupazione della sede di un'organizzazione non governativa, il Research Triangle Institute. Ed è a quel punto, visto quel che sta succedendo a Nassiriya e in tutto l'Iraq meridionale, che i militari decidono di usare la mano pesante con al-Sadr. Una prova di forza. Che il ministro Martino presenta come un «ripristino delle condizioni generali di sicurezza, dell'ordine pubblico e della libera circolazione nella città». E' finita come si sa. Con il sangue. Quindici morti iracheni e dodici feriti tra i nostri. Ma gli italiani, garantisce il ministro, non sono mai andati oltre l'autodifesa. In Italia l'impressione generale è quella di una catastrofe incipiente. Martino non nasconde che la situazione s'è «deteriorata». Ma le sue conclusioni suonano paradossali. Dopo lo scontro sui ponti, infatti, dal comando e dall'autorità provvisoria sono stati «mantenuti contatti e intessute trattative. Con tali colloqui sono stati conseguiti significativi risultati, tra i quali solidarietà e supporto alla presenza italiana». E positiva è considerata anche la tregua concordata con gli imam, che dovrebbe permettere l'allontanamento dei miliziani. In cambio, gli italiani quanto prima passeranno le consegne alla polizia locale. Il primo passo è stato l'avvicendamento tra soldati italiani e poliziotti locah sulle sponde Nord di tutti i ponti. «Risultati significativi». Quello di Martino, però, è un paradosso solo apparente perché in Iraq, sostiene il ministro, l'escalation è determinata da una singola milizia, quella guidata da al-Sadr, il quale «contesta soprattutto la leadership sciita perché mira a prenderne il posto». E quindi, lasciano intendere alla Difesa, alla popolazione questo radicalizzarsi della situazione non piace. Come spiega da Bassora il generale Spagnuolo, «i rivoltosi hanno tentato invano di portare la gente dalla loro parte. Ma certe azioni, soprattutto l'avere usato donne e bambini come scudi, hanno irritato molto la popolazione». I ministro della Difesa Antonio Martino Un medico della missione italiana «Antica Babilonia» assiste una donna irachena nella regione di Dhi Qar, nel Sud dell'Iraq

Persone citate: Andrew Stuart, Antonio Martino, Barbara Contini, Francesco Spagnuolo, Gianmarco Chiarini, Marco Minniti, Spagnuolo, Triangle