rabbia SCIITA di Giuseppe Zaccaria

rabbia SCIITA VIAGGIO NELL'INSURREZIONE CHE SCUOTE IL CONTROLLO AMERICANO La rabbia SCIITA reportage Giuseppe Zaccaria Inviato a BAGHDAD NELLA Baghdad di questi giorni il senso incombente di una catastrofe, il crescere della minaccia, l'inspessirsi del livore assumono una dimensione quasi cromatica, come se in pochi mesi la capitale del disastro abbia attraversato una mutazione. Quella che si era sempre mostrata come megalopoli annegata nel giallo, colore dell'argilla con cui fu costruita, della sabbia che la circonda, dei mulinelli che trascinati dal vento ricoprono le strade e corrompono le acque del Tigri, oggi è una città dominata dal nero. Il vento e la sabbia restano i medesimi però è cambiato l'orizzonte umano. Adesso il nero schiaffeggia la vista da enormi drappi che sventolano da furgoncini abbobbati come carri funebri, pronti a svicolare veloci all'apparire degli americani. Prevale sui portoni, come listati a lutto da lunghe strisce di stoffa da cui spuntano preghiere incitanti ad altre guerre. Domina sui marciapiedi, dove brulica una folla interminabile che approfitta del momento di tregua. E' un colore che non dipende dai veli delle donne (democrazia o guerra civile, loro stanno a casa).ma dai giovani: adesso dopo i'ubriacatura di povere americanate sono loro ad indossare magliette nere, giubbe nere o certe brutte giacche di pelle colore dell' asfalto. Qualcuno ostenta perfino cinture imbottite che vorrebbero imitare il lugubre stile delle «bombe umane». Questo è il nero degli sciiti, il nero indossato dall'«Armata del Mahdi», gruppo combattente deirayatollah Muqtada 4"«1-Sadr,- il nero di una condizio-. ne pre insurrezionale. Lo stato maggiore àfeféificano aveva calcolato che quell'armata fosse Jjì^H.C3ì' cfrc^-Wéinilg'persone, | poi negli ultimi giorni ha ritoccato le stime moltiplicando i gierriglieri fino a 15 mila. Qui intorno però, a Sadr City come a Khadamya, nella zone degli alberghi come nei sfobborghi più poveri, nei negozi o per le strade sono dieci volte tanti i giovani che indossano il nero per dirsi pronti ad insorgere. Che lo facciano o no dipende da molte cose, alcune delle quali destinate a verificarsi nei prossimi due o tre giorni, intanto le battute che per strada si sentono lanciare al passaggio dello straniero richiedono traduzioni sommesse: va' pure in albergo, maiale, dicono ceffi di età appena post adolescenziale. Ed all'interpete: sì, lavora pure con loro, farai la loro stessa fine. «Loro» siamo noi, gli occidentali che qui vogliono farla da padroni, ormai senza differenza alcuna fra americani, italiani, ucraini o polacchi e questa sterminata forza sommersa, pronta a farsi inghiottire dalla viscere della metropoli come a ricompari- re da ogni angolo sparando o facendosi esplodere è la genia degli «hafj», cioè gli scalzi. I più poveri fra i poveri sciiti, la stessa gente che un anno fa incendiava e razziava, coloro che alle parole di Muqtada al Sadr s'infiammano perchè non hanno più nulla da perdere, avendo già perduto quel barlume di speranza che li teneva buoni dopo la caduta di Saddam Hussein. L'occupazione militare americana e l'idea di pilotare la nascita di una democrazia ormai hanno ceduto il passo ad una guerra vera, forse più vera ancora di quella che si è combattuta l'anno scorso. Dalla città santa di Najaf, dove si è rifugiato, il trentenne al Sadr continua a lanciare proclami e diffondere comunicati con cui cerca di acquistare credito anche all'estero. Ieri ne ha lanciato uno «al popolo americano perchè aiuti il popolo iracheno contro i feroci occupanti» ed un altro al Kuwait affinchè scacci tutte le truppe occidentali: «Saddam non esiste più e quei soldati si rivolgono soltanto contro il popolo iracheno». Gli occupanti annunciano azioni decisive («Stroncheremo del tutto l'Armata del Mahdi», dichiara il vice comandante americano delle operazioni) e da Najaf l'ayatollah cattivo alza i toni, consapevole della sfida che si sta preparando. Mancano solo tre giorni alla ricorrenza di «Arbayeen», la più sacra agli sciiti, quella che rammenta il martirio di Ali, sepolto a Kerbala assieme con suo cugino. Durante tutto l'arco della dittatura Saddam Hussein aveva vietato quelle celebrazioni e finita la guerra (meglio, dichiarata unilateralmente la pa¬ ce) per la prima volta dopo più di trent'anni gli sciiti erano tornati a vivere la propria festa. Chi scrive assistette a quell'evento e ne mantiene ancora vivida l'impressione: due, forse tre milioni di penitenti convenuti a Kerbala e dunque a Najaf fustigandosi, muovendosi carponi, intonando litanie fino a prorompere in una mistica esaltazione collettiva. Fra tre giorni quell'evento si ripeterà, e c'è chi prevede che gli sciiti, i fedeli, gli «hafj» potranno essere cinque milioni, molti dei quali giunti dall' estero, specialmente dall'Iran. C'è qualcuno dotato di discernimento che possa pensare di trascinare il galera Muqtada al Sadr in un momento simile? «Forse ricorderà cosa le dicevo l'anno scorso: quello dei fedeli è un enorme esercito silenzioso, bisogna fare in modo che resti disarmato. Purtroppo non credo che le cose si siano sviluppate in questo modo». Un anno fa in quella disperata «banlieu» che per anni si era chiamata Saddam City un giovane capo religioso aveva accettato con chi scrive un incontro per chiarire e commentare la nascita della di Kufa prima entità teocratica nel più grande stato laico del mondo arabo. Si chiama Mohammad Al Fartusi, guida la moschea di «Al Hikmar» (significa Tempio della Saggezza) e tanto per chiarire subito le posizioni ricorda che fu lui a decidere di cambiare nome al sobborgo, ribattezzandolo Sadr City, in nome dell'imam fatto uccidere da Saddam, e di suo figlio Muqtada. Ha poco tempo, va di fretta perchè prepava come molti altri fedeli il pellegrinaggio per Kerbala, però non si sottrae alle domande. A suo giudizio com'è accaduto che il governatorato americano abbia perso perfino l'appoggio degli sciiti, i reietti di sempre, coloro che da una democrazia in Iraq avrebbero tutto da guadagnare? «Essenzialmente perchè non si può chiedere pazienza ad una popolazione di diseredati senza offrire nulla in cambio, ed anzi tenendola sempre più fuori dal coinvolgimento nelle nuove strutture statali. Comunque si considerino gli evvenimenti di queste ore e le iniziative della forza occupante, è evidente che gli sciiti sono stati presi in giro». L'ayartollah Muqtada al Sadr mesi fa aveva proposto di affiancare una forza armata di ispirazione religiosa al nascente esercito iracheno, e Paul Bremer disse no. Se avesse accettato, si sente dire, oggi forse r«Armata del Mahdi» anziché combattere con l'occupante parteciperebbe all'ordine pubblico. «Forse in quel momento agli americani parve perico-' loso che una forza religiosa girasse armata, come se vietando tutto questo le armi di cui l'Iraq pullula potessero scomparire». - E poco dopo Muqtada al Sadr protestò cpnfcro il governo dei collaaorazionisti fino a varare un «governo onabra» cui gli occupanti non hanno mai dato peso. «Le ripeto, è inconcepibile che dalla riedificazione di un Paese e dal progetto di una nuova costituzione venga tenuta fuori più della metà dei suoi abitanti. Però il problema essenziale credo consista nel fatto che nella mentalità americana non c'è spazio per la religione, e non esiste considerazione per la enorme forza che la religione può esprimere». Il religioso chiude la conversazione per prepararsi alla partenza e non c'è tempo per tm ultimo scambio di opinioni. La domanda avrebbe dovuto essere: qualche tempo fa Muqtada al Sadr aveva minacciato: «Posso mobilitare due milioni di persone». SbagUava forse per difetto? Un giovane capo religioso della banlieue chiamata Saddam City: «Non si può chiedere pazienza a una popolazione diseredata senza offrire nulla» Manifestazione anti-americana dei fedelissimi del leader estremista sciita Muqtada al Sadr a Sadr City, il sobborgo di Baghdad dove la milizia sciita ha un consolidato predominio Muqtada al Sadr predica alla Moschea di Kufa

Luoghi citati: Baghdad, Iran, Iraq, Kufa, Kuwait