Se vuoi riscattare Marx metti a frutto i suoi errori

Se vuoi riscattare Marx metti a frutto i suoi errori Se vuoi riscattare Marx metti a frutto i suoi errori Ermanno Bencivenga NEL primo capitolo di Marx inattuale, Costanzo Preve ci informa che Mane scelse "di edificare la sua riflessione su un duplice presupposto: la rinuncia a qualunque fondazione filosofica vera e propria e l'individuazione dell'economia pohtica classica come oggetto teorico privilegiato da criticare e da rovesciare". Conseguenze di questa scelta sono state "il nichilismo filosofico e l'economicizzazione del conflitto e del progetto", indagate da Preve nel secondo e terzo capitolo. Vittima a un tempo di una mitologia scientista e della chiusura al dialogo e all'autocritica, il pensiero marxista si è così ingessato nelle "tre ricadute ideologiche inevitabili" di storicismo, economicismo e utopismo. Occorre dunque, si afferma nel quarto e ultimo capitolo, un riorientamento gestaltico die lo liberi da quelle tre sciagurate conseguenze e lo faccia "ripartire". Di fronte a un discorso simile, è naturale porsi due domande. Primo, perché dovremmo "riorientare" un pensiero che ha avuto esiti "inevitabili" tanto negativi? Non sarebbe meglio ricominciare da capo: imparare dagli errori di Marx e seguire il suo stesso esempio costruendo, con materiali tratti da ogni dove ed eventualmente anche da Marx, un pensiero politico nuovo? La risposta di Preve, a dispetto della sua evidente antipatia per la "quasi-religione" (e "pseudo-scienza") del marxismo orto¬ dosso, è quella di un fedele: nessuno ha capito nulla, finora, delT'autentico" Marx, che va riscattato dalle cattivq letture (i mercanti vanno cacciati dal tempio) e restituito a un luminoso destino. In particolare, Marx non era davvero "un pensatore deh' eguaghanza" e non aveva un modello "unilineare" di sviluppo storico; era invece "un individualista di origine etica" ispirato dalla letteratura universale e dalla filosofia classica greca a proporre (sia pur implicitamente o addirittura "inconsapevolmente") un'antropologia hberatoria, come hanno inteso pochi "filologi avveduti" e come traspare da un passo dei Gmndrisse. Ho la massima comprensione e simpatia per chi ha investito enormi risorse intellettuali ed emotive in un autore o un'idea e ne ha dovuto infine riconoscere i limiti; mi sembra umano e ragionevole che una persona la quale "non può non dirsi marxista" preferisca trovare spunti nelle pieghe degh insegnamenti del Maestro invece di accettare quel che Egli ha detto con assoluta chiarezza - e, accettandolo, uscire radicalmente dall'alveo in cui ha condotto decenni di riflessione e attività pohtica. Si possono peraltro dire cose originali e profonde adattando e stiracchiando affermazioni anche marginali contenute in un testo a noi caro; quello del commento eterodosso al Verbo è un genere letterario in cui si è fatto a volte ottimo lavoro intellettuale. Ma, a questo punto, sorge la seconda domanda: che cosa ha da dire Preve, da lettore "avveduto" di Marx? La risposta è scoraggiante: ben poco, niente di più del riassunto che ne ho dato qui sopra. Il riassunto lo fornisce lui stesso, in un'introduzione concepita come un "regalo gradito" per "recensori frettolosi". Io non sono frettoloso, quindi ho letto con attenzione tutto il libro e Iho trovato tanto povero sul piano ai'gomentativo quanto curioso su quello psicologico. Ho trovato un autore che stigmatizza chi usa Marx "come un pretesto per parlare di sé stesso" ma non sa risparmiarci riferimenti costanti a ciò che ha letto, ciò di cui è esperto e ciò di cui non può parlarci perché non ha tempo. Un autore che dichiara a più riprese di esprimersi con concisione "telegrafica" ma non fa altro che ripetersi, anzi ammette ripetutamente di ripetersi e a un certo punto ci ricorda che "repetita iuvant". (Forse dovrebbe riflettere sul fatto che un passo di un libro si può rileggere; non c'è bisogno di riscriverlo). Cosa più grave, un autore che afferma di credere nello spazio filosofico di discussione aperto in origine nell'agorà ateniese ma poi "discute" con cadenze da sergente maggiore, enunciando categoricamente (e ripetutamente) le sue opinioni e "confutando" quelle altrui con semphei aggettivi. I molti che non la pensano come lui sono "cretini", "imbecilli", "idioti", "stupidi"; punto e basta. Il risultato non è un riprientamento gestaltico; è uno psicodramma. Dal quale deriviamo una lezione non nuova ma sempre importante: non basta volere, per esempio, argomentare con lucidità e cogenza. Se la ' nostra storia personale e la nostra tradizione culturale non ci hanno insegnato concretamente a farlo, potremo magari denunciare lo "stile da eneigumeno" di Lenin ed esprimere "fastidio" per una "pratica militante infarcita di insulti continui" ma finiremo fatalmente per partecipare a nostra volta alla rissa. Un saggio di Preve mira a liberare il pensiero marxista da letture distorte ma resta prigioniero di una sterile «fedeltà» Marx in un fumetto Anni Ottanta di Daniele Panebarco Costanzo Preve Marx inattuale Eredità e prospettiva Bollati Bonnghieri pp. 232, e 79 S A G (i I O