L'usignolo del dolore di Elena Loewenthal

L'usignolo del dolore L'usignolo del dolore Elena Loewenthal NON c'è dolore che assomigli, neppur lontanamente, a un altro. - C'è quello «acerbo dei rami di salice» e quello che lascia dentro per traccia «la capacità di raccontare, la forza e la fermezza d'animo di ascoltare», come scrive Laura Quercioli Mincer fra le pagine di Oltre lapersecuzione. Donne, ebraismo, memoria (a cura dì Roberta AscareUi, Carocci, pp. 197, C 16,80). Forse la fehcità ha un volto soltanto, come adombra Tolstoj, mentre la sofferenza è inesauribile, mai uguale a se stessa e invece sempre unica. Questo variamente raccontano le parabole di vita femminile raccolte in questo volume, dove parole e silenzi si avvicendano in un ordine imprevedibile: scorci di (autobiografie tutte segnate da un trauma, e da un cortocircuito di memoria. Il dolore è salvifico, ma non meno lo è' talvolta l'oblio. Oppure la metamorfosi della perdita quand'è capace di trasformarsi in un «amore rasserenato». E' questo il sentimento che Kurt, il ragazzino protagonista dell' ultimo, toccante cimento narrativo di Helga Schneider, L'usignolo dei Linke, deve imparare a nutrire dentro di sé, se vuole sopravvivere alla sua stessa sequela di dolori. Perché non c'è dolore che assomiglia ad un altro, ma quelli di Kurt sono come il sommario di tante altre scene ^ià vissute, e morte. Helga lo incontra nella Amburgo dei nostri giorni, e detto fatto lo riconosce. E' il bambino antipatico con cui ha trascorso tanti anni prima un'estate die, in assenza di lui, sarebbe stata decisamente più beata. E' il 1948, Helga è appena ragazzina, ma reduce dalle ceneri di Berlino e dall'orrore dellamadre che il destino le ha assegnato: nella casa di campagna - una specie di ex-ostello - ritrova i nonni, la serenità. Il lago e le nuotate. Le scorribande in cucina e i gesti affettuosi di chi le vuole bene. Poi arriva Kurt, che è un lontano parente del nonno, ha più o meno la sua età, ma è un bambino burbero e umorale, dalle reazioni indecifrabili e imprevedibili: di notte ha un sónno turbato che non lascia dormire chi gli sta accanto. Di giomo si trincera dietro mutismi interrotti da accessi di pianto secchi come una foghe accartocciata, d'autunno. «La nonna mi spiegò che Kurt aveva come incapsulato nella sua memoria un grande dolore, e che lo teneva gelosamente nascosto nella sua anima; in quel mcdo, però, rintemo stava marcendo, avvelenandogli la mente»: in termini più clinici, la condizione di Kurt è quella di un lutto patologico, e plurimo. Qualche anno prima, nelTinvemo fra il '44 e il '45, in fuga dall'Armata Rossa che avanza da Est verso la Prussia, Kurt ha lasciato la sua casa per raggiungere i porti del Baltico e di qui, via nave, la Gennania Occidentale. Prima di giungere a questa approssimativa salvezza, però, ha perduto la propria vita di prima, e ciò che le stava intomo, accanto. Il cane Ralphi, per il quale non c'è posto sul carro con le masserizie. Il nonno che ghfaceva da padre dopo che il padre era scomparso, soldato tedesco sul fronte russo. Alcuni - tanti - compagai di questa carovana di profughi che per giorni e giorni avanzò dentro un freddo glaciale e l'incertezza più immensa che si possa immaginare. E poi, quando i tormenti sembrano finiti, il fratellino Mkolas, che aveva appena tre mesi e per il quale Kurt s'era dannato a cercargli il latte, perché la mamma non ne aveva abbastanza. Questa sequela di addii traccia i confini della sua esistenza. Helga è la prima affidataria di questi ricordi, che nel libro affiorano in sequenze alterne, via via più ampie, come sollecitate dalla biografia dell'io narrante, carica anch'essa di quel dolore sempre diverso che viene quando si perde Tutto o quasi. E allora ricominciare ad avere sembra impossibile, perfino se si è bambini e come tutti i bambini si ha talento di sogni. L'autrice intreccia con un tocco lieve ma profondissimo la propria storia a quella di Kurt: i diversi momenti e luoghi del passato si accostano, e a poco a poco da questa deriva del tempo affiora il racconto di lui, in un lucido passo a passo. E in una prosa di grande nitidezza, senza mai un cedimento. A dimostrazione che è possibile, anzi nel caso di Helga Schneider necessario, fare scrittura della propria vita senza togliere nulla al mestiere di narratore. Questo è infatti il suo terzo romanzo di impianto autobiografico, ma passando dalla memoria alla pagina, questo patrimonio di vita perde ogni appartenenza e, come capita ai veri romanzi, diventa di tutti. Quando l'autobiografia diventa romanzo: . Helga Schneider narra la storia di Kurt, un bambino in fuga dall'Armata Rossa nell'inverno del '44, i tormenti che lo hanno reso muto e inerte, la memoria (e l'oblio) come terapia del lutto La memoria delle sofferenze patite negli anni del nazismo è la fonte narrativa di Helga Schneider, al suo terzo romanzo Helga Schneider L'usignolo dei Linke Memorie di un'infanzia Adelphi.pp. 154. e 14 ROMANZO

Luoghi citati: Berlino, Prussia