e graffitir tra Harlem e il Bronx

e graffitir tra Harlem e il Bronx e graffitir tra Harlem e il Bronx Giuseppe Culìcchia CHUCK D, "MG" (ovvero voce) dei newyorkesi Public Enemy, storico gruppo rap fortemente politicizzato, sostiene che "il rapper deve parlare di ciò che sa perché conosce la strada meglio di chiunque altro ed è una fonte attendibile come nessun altro". A questo stesso precetto si è attenuto Nicolò De Rienzo, che per scrivere il suo Hip Hop parole di una cultura di strada ha battuto Harlem e il Bronx, e ha incontrato di persona svariati protagonisti della scenahip hop statunitense, facendosi guidare dalle loro testimonianze nella ricerca delle radici di un genere musicale (ma non solo) nato nei quartieri degradati della Grande Mela all' inizio degli Anni Settanta e destinato ad evolversi e a durare per oltre un trentennio fino ad oggi, al di là delle mode e delle stesse strategie di marketing dell'industria discografica. LHip Hop (caso più unico che raro tra le cosiddette "sottoculture giovanili") è arrivato fino a noi senza mai esaurire la sua forza comunicativa, e a ben vedere senzabisogno di un qualche "revival": forse perché è ionanzitutto un linguaggio diventato per molti ver¬ si di uso comune (basti pensare a quanto ha influenzato la pubblicità), e proviene da molto lontano. Tradizionalmente sono quattro le "discipline" dell'Hip Hop: rop, turritablism (e cioè la manipolazione del giradischi), aerosol art (l'arte dei graffiti) e B-boying (meglio conosciuto come break-dance). Ma prima di diventare la lingua del ghetto su entrambe le coste degli Usa e un genere musicale premiato dagli "award" di Mtv per il miglior video o il miglior artista, il rap è stato innanzitutto forma d'espressione della popolazione afroamericana, diffusa fin dalla seconda metà dell'Ottocento tra i raccoghtori di cotone degli Stati del Sud sotto forma di racconto orale e di gara d'abilità. De Rienzo si muove in una New York molto diversa da quella in cui, nei primi Anni Settanta, il singolo biphop ante htteram flappers Delight dei Sugarhill Gang conquistava la vetta delle classifiche rubando (oggi si dice "campio- nando") la base musicale di Good Times degli Chic (cosa che in ambito musicale segnò l'inizio delle controversie sui diritti d'autore), e però va a scovare i protagonisti di quell'epoca: 'Negli Anni Settanta non potevi camminare in questo quartiere senza essere derubato", ricorda James Top della Top's Grew, una della prime ban- de di graffitari di New York. "Divenne una questione territoriale... Sentivi (Ère: «Non voglio che nessuno metta piede nel mio isolato» e la gente parlava davvero eoa, la gente avrebbe ucciso qualcuno!". I ragazzi che non fanno parte di una gang vengono regolarmente pestati o derubati. Con i nuovi assetti urbanistici della città e con il ripopolamento delle sue zone più povere cambiano le facce degli studenti nei licei: in quelli del Bronx, quartiere un tempo bianco, improvvisamente spuntano neri e ispanici. Sui playground si gioca a pallacanestro e ad un tratto, con l'ausilio di un mangia- . nastri e di una base musicale, si "rappa". Da lì all'avvento di "padri fondatori" come Grandmaster Flash o Africa Bambaataa e la sua Zulù Nation il passo è breve. Attraverso capitoli che prendono le mosse da parole chiave dell'alfabeto dell'Hip Hop, dalla "territorialità" ai "graffiti", dai "colori" alTidentità", il libro di De Rienzo stende una vera e propria mappa del fenomeno, senza trascurare il lato politicamente più scorretto dell'Hip Hop, ovvero quello nato sulla costa Ovest e diventato celebre sotto il nome di Gangsta Rap (tra i suoi "campioni", gente tipo Ice T o Tupac e gruppi come i N.WA o Niggers With Attitude, figli del ghetto di Compton in quel di Los Angeles). Ad un certo punto, l'enorme successo commerciale del rap fa presagire effetti potenzialmente letali sulla scena Hip Hop: con l'arrivo delle "major" il rap diventa mainstream. I discografici creano dal nulla personaggi come Vacilla Ice o Me Hammer, totalmente privi di credito agli occhi dei ragazzi dei ghetti ossessionati dall' unico valore riconosciuto, l'autenticità". Ma l'Hip Hop, proprio in quanto linguaggio, riesce a metabolizzare il tutto e a sopravvivere. Se vostro figlio crede che il rap sia nato più o meno con Eminem, questo è il libro giusto per lui. L' HIP HOP, DA LINGUA DEI GHETTI A GENERE MUSICALE, PAROLE E PROTAGONISTI DI UNA CULTURA DI STRADA CHE DAGLI ANNI 70 ESPRIME L'IDENTITÀ AFROAMERICANA Nicolò De Rienzo Hip hop. Parole di una cultura di strada Zelìg,pp.242,G14 SAGGIO

Persone citate: De Rienzo, Hammer, James Top, Nicolò De Rienzo, Public

Luoghi citati: Los Angeles, New York, Usa