PRIGIONIERI DI VECCHI GIUDIZI
PRIGIONIERI DI VECCHI GIUDIZI PRIGIONIERI DI VECCHI GIUDIZI LuigilaSpìna QUANDO si devono assumere decisioni difficili, come quelle sul ruolo dell'Italia nella drammatica situazione dell'Iraq, uno degli errori più gravi è quello di rimanere prigionieri del passato. Legati, come in un vero e proprio ricatto, da quello che avevamo pensato, da quello che avevamo detto e costretti ad adottare scelte obbligate non da convinzioni attuali, ma da una supposta coerenza con idee che avevamo sostenuto sulla base di vecchi giudizi, formulati sulla scorta di realtà ormai superate. Segregati nel loro carcere mentale appaiono molti sostenitori italiani dell'intervento americano contro Saddam. Non riescono ad ammettere che almeno due fondamentali presupposti dell'invasione in Iraq si sono rivelati falsi. Il primo era quello relativo all'esistenza di anni di steminio di massa in mano al dittatore. Il secondo era la convinzione di un regime sostenuto solo da una minoranza sunnita, destinato a sfaldarsi tra il tripudio generale o, almeno, con il decisivo aiuto della maggioranza sciita. I fatti hanno dimostrato una situazione diversa: in Iraq c'è il rischio di una vera e propria guerra civile, in cui la presenza dei militari italiani non può limitarsi a operazioni cosiddette umanitarie, ma deve prevedere una reazione annata, in caso di attacchi annati. La «natura» di una iniziativa non si misura sulle intenzioni di chi l'ha promossa, iria sulle condizioni in cui si esercita. Da questo punto di vista, la missione italiana è certamente cambiata. Prigionieri di loro stessi, però, sono anche molti cosiddetti «pacifisti». Essere stati contrari alla guerra contro Saddam non deve impedire di ammettere che ritirarsi, ora, da Nassiriya non avrebbe alcun senso, se non quello di arrendersi ai diktat dei miliziani sciiti più radicali o alle minacce dei terroristi di Al Queda. Sempre la stessa iniziale opposizione alla missione militare voluta da Bush non giustifica l'ingenuità, o l'ipocrisia, di chi ritiene si possano fare operazioni di peace-keeping disarmati. L'autodifesa è regolata da nonne di proporzionalità della risposta al rischio, ma non dice che ci si debba immolare davanti a chi ti spara. Si tratta, perciò, di evitare facili scorciatoie demagogiche come inutili irrigidimenti per sostenere posizioni di bandiera. Dopo l'attentato alla nostra caserma di Nassiriya si era manifestato, sia nell'opinione pubblica sia tra le forze pobtiche, un incoraggiante atteggiamento di responsabilità. Il periodo elettorale non deve farlo dimenticare. L'Italia, terza forza militare presente in Iraq, ha il dovere di sollecitare subito l'Europa e l'Onu a una iniziativa politica per affrontare collegialmente la crisi irachena. A questo punto, i principali organismi internazionali non possono rassegnarsi all'inazione per attendere i risultati delle elezioni americane.
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