Il Vaticano: ritirarsi non sarebbe un atto di pace di Marco Tosatti

Il Vaticano: ritirarsi non sarebbe un atto di pace FRA PREDO IICHE POLITICHE Il Vaticano: ritirarsi non sarebbe un atto di pace «Ma deve esserci al più presto un mandato internazionale dell'Onu» Marco Tosatti CITTA DEL VATICANO In Vaticaoio la preoccupazione è grande. Il Papa e la Segreteria di Stato che un anno fa si sono battuti al limite delle forze contro la guerra in Iraq adesso sono nella situazione paradossale di non poter nemmeno dire «ve l'avevamo detto», e di difendere una presenza militare a Baghdad, per evitare che tutto il paese esploda nella guerra civile. «Un anno fa abbiamo fatto tutto il possibile per la pace, perché la guerra non scoppiasse», dicono in Segreteria di Stato, «ma adesso andarsene non sarebbe uh atto di pàceTsarebbe un atto di guerra». Le forze intemazionali devono restare in Iraq, dicono al di là del Portone di Bronzo, dal momento «che l'irreparabile è stato compiuto scatenando questo conflitto», per risparmiare al popolo iracheno sofferenze peggiori di quelle che ha già patito. Ma deve esserci al più presto, e in maniera netta, una copertura del diritto intemazionale, vale a dire un reale mandato delle Nazioni Unite per ridare al popolo iracheno la sua sovranità. Lo slogan che l'ambasciatore cfegli Stati Uniti presso la Santa Sede, Jim Nicholson, si sente ripetere ogni volta che sale alle Logge è lo stesso che monsignor Celestino Migliore ripete a New York: «Una guerra che è stata fatta contro il diritto intemazionale deve essere seguita da una pace che si compie in base al diritto intemazionale». Ma il Papa che è diventato campione del pacifismo mondiale ora difende la presenza militare in Iraq? «Sì, perché l'alternativa è la guerra civile». Che non è detto, fanno capire i diplomatici in talare, che non esploda comunque; e infatti i vertici della Santa Sede - il Segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano e il «ministro degli Esteri», l'arcivescovo Giovanni Lajolo seguono ora per ora gli sviluppi della situazione, per verificare se i fuochi che si sono accesi nei giorni scorsi, e che ancora bruciano resteranno fiammate locali, o non vi sia il rischio che divampino in tutto il paese. Con il coinvolgimento, secondo gli scenari che si vengono a disegnare in Vaticano, dei curdi, l'unica minoranza che per ora sembra tenere un basso profilo. Continui sono i contatti con il Nunzio a Baghdad e con la chiesa locale, di rito caldeo. La situazione di guerra fa sì che le cerimonie della Settimana Santa siano ridotte al minimo. L'Osservatore Romano registra in prima pagina l'aggravarsi della situazione in Iraq, e la accomuna spiritualmente al ricordo di un altro dramma, quello del genocidio in Rwanda del 1994. Ma tutti gli sforzi della Santa Sede, in questo momento, sono per favorire un intervento del Palazzo di Vetro, come garante della legalità intemazionale, così che si possa giungere a organizzare le elezioni e ridare la sovranità al popolo dell'Iraq. E' questa d'altronde la strada suggerita anche da monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare della capitale irachena. «Spero che al più presto vengano ristabilita la sicurezza e la pace ha detto al Servizio Informazioni Religiose il vescovo - Quello che sta accadendo in questi gior¬ ni penalizza tutto il popolo iracheno, sunniti, sciiti, cristiani. Coloro che soffrono di più in questi momenti sono, ancora una volta, i bambini, le donne, gh anziani». Il coinvolgimento della maggioranza sciita è fondamentale, per ristabilire uno stato di tranquillità. Secondo monsignor Warduni l'ordine può tornare solo se «truppe della coalizione, sciiti, sunniti con tutta la popolazione lavoreranno insieme. Una parte da sola non può riuscirvi. E ormai giunto il momento di urlare "basta con la guerra". Il popolo sta morendo, i nostri bambini, i nostri anziani starino soffrendo, hanno paura. Ogni giomo abbiamo notizie di stragi, bombardamenti, morti e uccisioni. Una situazione insostenibile per tutta la popolazione». Sul perché la violenza sia esplosa adesso, il vescovo è cauto ma chiaro: «Speravo^ che tutto ciò non accadesse. È mancata la pazienza. Non si può pretendere di guarire da una malattia in un istante. Non si possono curare le ferite decennali dell'Iraq in poche settimane o mesi. Le truppe della coalizione devono fare di più e presto, accelerando, in particolare, il passaggio dei poteri agli iracheni». Il Papa da tempo non parla in pubblico dell Iraq: un silenzio che potrebbe rompere già oggi. Per la Santa Sede «l'irreparabile è stato compiuto un anno fa quando è stato scatenato il conflitto in Iraq» Il Papa difende la presenza dei soldati «perché c'è il rischio di una guerra civile con il coinvolgimento della minoranza curda» Shlemon Warduni (al centro), vescovo ausiliare di Baghdad Il Papa non parla in pubblico da tempo del conflitto in Iraq: oggi potrebbe rompere il silenzio

Persone citate: Angelo Sodano, Bronzo, Celestino Migliore, Giovanni Lajolo, Jim Nicholson, Shlemon Warduni, Warduni