Una rivincita della memoria oltre la retorica dell'ufficialità
Una rivincita della memoria oltre la retorica dell'ufficialità Una rivincita della memoria oltre la retorica dell'ufficialità Giovanni De Luna SONO passati sessant'anni. Il 2 aprile 1944, in regione Pian del Lot, nei pressi del Colle della Maddalena, si consumò la più sanguinosa delle rappresaglie tedesche in questa città: furono anunazzati 27 partigiani, quasi un terzo di tutti i fucilati a Torino durante il periodo della Resistenza. Fu unai primavera di sangue, quella. Il 18 marzo i Gap, fecero esplodere una bomba m un bar di piazza Pale o capa, frequentato da fascisti e tedeschi, provocando diverse vittime tra gh avventori; il 31 marzo la pohzia riuscì a catturare nel Duomo i componenti del Comitato militare regionale piemontese, presieduto dal generale Perotti; poche ore dopo, i Gap uccisero n condirettore della «Gazzetta del Popolo», Ather Capelli, cui seguì la fucilazione per rappresaglia di cinque persone. Poi arrivò la strage di Pian del Lot. Il terribile eccidio fu scatenato in seguito ad un attentato contro un soldato tedesco. La sera del 30 marzo 1944, Walter Wohlfahrt, un caporale trentaduenne della Flak, assegnato alla batteria antiaerea collocata al Pian del Lot, fu colpito a morte mentre attraversava il ponte Umberto I. All'alba del 2 aprile, ventisette giovani furono prelevati dal braccio tedesco delle Nuove e portati verso la collina. Il nucleo più folto era composto da sedici partigiani deUe brigate Garibaldi catturati nelle valli di Lanzo e in vai PeUice nel corso dei rastrellamenti deUe settimane precedenti, tra cui cinque compagni d'infanzia di Borgo Vittoria. Si tratta di Aldo Capatti, Antonio Ferrarese, Aldo Gagnor, Sergio Maina e Brano Negrini: avevano tutti poco più di 20 anni, avevano condiviso i bar del quartiere, avevano tutti insieme fatto la scelta di andare in montagna a combattere i fascisti. Arrivati al Pian del Lot furono legati 4 a 4, condotti suU'orlo di una fossa scavata in precedenza e mitragliati a morte. Quando finì la guerra, un mesto pellegrinaggio si indirizzò verso la radura maledetta. L'11 maggio 1945 iniziò la riesumazione deUe salme. Sette restarono senza nome. Un anno dopo, per iniziativa di un comitato costituitosi dai parenti deUe vittime, venne eretto il monumento oggi esistente, sul terreno donato dal proprietario: «Per reperire i fondi del monumento che ricorda l'eccidio - racconta un testimone fu fatta una colletta tra i parenti dei fucilati e fra gh amici; fatto fare il monumento, si trattava di recintarlo. I pilastrini furono dati dal Comune, i tubi di ferro furono recuperati dai ferrìvecchi e dipinti dal signor Piola, mentre il pavimento fu fatto a cura di parenti di altri caduti». Non era una memoria trionfante; piuttosto un lutto privato, domestico, senza l'enfasi retorica dell'ufficialità. No, non sembravano vincitori i morti del Pian del Lot. Oggi, quella memoria viene rinverdita nel modo più semplice e più efficace: grazie alle ricerche di un giovane storico, Nicola Adduci, imo dei sette sconosciuti ha finalmente un nome. Si tratta di Matteo Besso, un garibaldino non ancora ventenne, appartenente alla quarta brigata e catturato in Val Pellice. Restituire il nome a chi è caduto per la libertà e la democrazia: tra i tanti modi per ricordare la Resistenza, questo è il più struggente e il più autentico..
Luoghi citati: Lanzo, Pian Del Lot, Torino
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