BELGRADO Il calcio insanguinato di Giuseppe Zaccaria

BELGRADO Il calcio insanguinato i^ww BELGRADO Il calcio insanguinato retroscena Giuseppe Zaccaria LA partita più breve nell'intera storia del «football» professionistico si disputò a Belgrado il 14 ottobre del 2000 fra Stella Rossa e Partizan. Durò complessivamente 58 secondi (secondo altri cronometristi 54): il tempo per veder tirare il calcio d'inizio, assistere ad un lancio sulla fascia laterale e ad un tiro dell'ala destra fuori dallo specchio della porta. Un attimo dopo i tifosi del Partizan invasero il campo e nello stadio «Maracana» (i belgradesi pronunciano senza l'accento finale) si scatenò la bolgia, che seguiva di pochi giorni alla defenestrazióne di Milosevic e riverberava dunque'gli opposti orientamenti politici delle tifoserie. L'altra sera il calcio jugoslavo ha fatto segnare un'altro sanguinoso «record» mondiale, conferma di quanto la salute dello sport più popolare finisca con l'indicare lo stato di un'intera società. Quello serbo è il primo movimento sportivo il cui segretario generale sia stato eliminato dai «clan» degli scommettitori. Ieri sera Branko Bulatovic, 52 anni, segretario generale della Federazione calcio jugoslava (meglio, serbomontenegrìna) è stato assassinato a colpi di pistola nel portone della sua sede, a Terazije, una delle vie più centrali di Belgrado. L'allenatore della nazionale ha udito i colpi di pistola, si è precipitato giù per le scale ma ha potuto soltanto soccorrere il suo capo, già riverso per terra. Bulatovic è morto poco dopo in ospedale, qualcuno ha visto un uomo barbuto sulla quarantina allontanarsi nascondendo il viso sotto un cappello. Da anni Bulatovic cercava inutilmente di moralizzare un sistema calcistico fra i più corrotti d'Europa e, per colmo d'ironia, l'omicidio è avvenuto a cinquanta metri dalla sede belgradese dell' Interpol. In Colombia era già avvenuto che un difensore colpevole di un errore di gioco durante il campionato mondiale venisse eliminato dalla vendetta primitiva dei «narcotraficantes», in Serbia lo scontro economico-politico-sportivo sale di livello quasi a confermare le stimmate di «Colombia d'Europa» già ottenute dalla disperazione della Belgrado di oggi, sempre più «democratica» e sempre più abbandonata a sé stessa. In Jugoslavia la gestione politica del calcio era prassi accettata da quasi cinquant' anni. In una Federazione costruita sul tentativo di unire etnie attraverso simboli unificanti ognuna delle squadre storiche (Dinamo di Zagabria, - Hajduk di Spalato, Stella Rossa e Partizan di Belgrado, Vardar di Skopje, Buducnost di Titograd, Zeleznicar di Sarajevo) portava con sé un pezzo di storia e di identità, nonché un corollario del potere sportivo che era possibile esprimere all'interno della struttura comunista. Per esempio, alla fine degli Anni Sessanta in quanto generale dell'esercito il comunista Franjo Tudjman (molti anni dopo nostalgico creatore della Croazia tanto liberale da sfiorare il fascismo) decise di cambiare le maglie del Partizan di Belgrado, squadra dell' esercito, appunto. Fino a quel giorno i calciatori erano entrati in campo con la solita maglia rossa, in quanto tifoso della Juventus - ed ammiratore del suo modello organizzativo - con atto d'imperio Tudj¬ man decise l'adozione di maglie bianconere che da allora valsero ai tifosi della squadra (espressione di ceti popolari, sostenitori dell'esercito, quindi comunisti) il soprannome di «grobari», ovvero becchini, per via delle bande nere. Contemporaneamente a Belgrado, città in cui ciascuna squadra ha il suo stadio, la «Crvena Zvezda» ovvero Stella Rossa, società appartenente alla polizia, costruiva il suo «Maracana» e si trasformava in simbolo delle classi più colte e critiche verso il regime. I tifosi si autodefiniscono «delije», ovvero cavalieri in omaggio ad un mito di preminenza e coraggio che si sarebbe infranto solo quanto Zeljko Raznjatovic, più noto come «Arkan» avrebbe iniziato da capotifoso la carriera di criminale di guerra trasformando ben presto le «deljie» in «tigrovi», ovvero tigri, i figuri vestiti di nero che hanno seminato morte nella regione. Nello stesso tempo i rapporti di potere si riverberavano sul calcio. Scavando nei ricordi, si può citare per esempio il fatto che la serie «A» jugoslava fino al '90 contemplava ben cinque squadre bosniache. Per non sollecitare le tensioni dell'area si era deciso che a parte lo «Zeleznicjnar», il «Sarajevo» ed il «Velez Mestar», anche compagini di terza linea come la «Slobodna» di Tuzla oppure il «Borac» di Banja Luka non dovessero mai retrocedere. «Fino a quel momento la gestione degli equilibri era affidata alla sapienza politica degli arbitri» - spiega Zdravko Rejc, croato, il Gianni Brera dei giornalisti ex jugoslavi, oggi commentatore dello «Sportsky Novosti» di Zagabria. «Da quando Arkan acquistò la squadra delI'Obilic e la portò dalla seconda serie allo scudetto, l'atteggiamento dei direttori di gara cambiò sensibilmente. Lì non si trattava più di gestione «politica» degli incontri ma di paura; la squadra era abbastanza forte e pagava stipendi relativamente alti, però in campo gli arbitri fischiavano con l'incubo costante di una pistola alla nuca». Quando pochi anni fa l'Obilic entrò in Coppa dei Campioni, Arkan non potè seguire la squadra all'estero. La società fu rappresentata più che degnamente dalla notevole bellezza di sua moglie, la cantante «folk» nota come «Ceca» (si pronuncia «Zeza», n.d.r) Belickovic. In Serbia dunque man mano che la situazione si deteriorava il rapporto fra calcio e società, calcio e politica, calcio e danaro si faceva più diretto e brutale. In pochi anni in un Paese che in quanto a forza lavoro può contare su un milione di poveracci, uno di disoccupati ed uno di pensionati sono nate dieci organizzazioni che si occupano di scommesse sul calcio (le cosiddette «kladionice») e più di cento agenzie locali. Due settimane fa dalle schedine era stata cancellata la partita fra OFK Beograd e Sutjeska di Niksic, in Montenegro: ormai da anni gli incontri fra le due squadre si fermano al primo tempo sull'uno a zero per chi gioca in trasferta e si concludono con il 2 a 1 per la squadra di casa. La cancellazione dell'incontro per manifesta corruttela dal giro delle scommesse deve aver fatto saltare i nervi ad uno dei mafiosi che gestiscono il «business» residuale di un Paese disperato. Branko Bulatovic, dicono, cercava di mettere ordine nel settore anche se qualche anno fa si era fatto beccare all'aeroporto di Barcellona con 123mila dollari in valigia; «Servono per le spese di trasferta della nazionale jugoslava», aveva spiegato allora. La vera stranezza di questa storia sembra consistere nel fatto che da molti anni a questa parte Jugoslavia e Italia si svelano come realtà quasi speculari: lì, in modi particolarmente brutali, si svelano cose che avvengono anche da noi. La gestione dello sport nel tentativo di unificare il Paese è sempre stata politica. Tudj man quando era generale ordinò di cambiare le maglie del Partizan da rosse in bianconere perché ammirava la Juve: da allora li chiamano «becchini» In serieA negli Anni Novanta c'erano ben cinque squadre bosniache. L'ordine era di non farle mai retrocedere per evitare tensioni e l'esecuzione era affidata agli arbitri Arkan il criminale di guerra con le minacce vinse lo scudetto Bulatovic voleva moralizzare il settore in particolare quello delle scommesse truccate, ma lo avevano fermato a Barcellona con 123 mila dollari in valigia Nella foto grande gli scontri allo stadio di Belgrado il 14 ottobre del Duemila pochi giorni dopo la caduta di Milosevic, causati dal diverso orientamento politico delle squadre, il Partizan e la Stella Rossa. Nella foto sopra Bulatovic ferito viene portato via dal luogo dell'agguato. Sotto Arkan e la moglie Ceca, nota cantante folk, padroni della squadra dell'Oblile