«lo, prigioniero degli Usa nella base di Guantanamo» di Massimo Numa

«lo, prigioniero degli Usa nella base di Guantanamo» «lo, prigioniero degli Usa nella base di Guantanamo» Un tunisino residente a Torino detenuto nella prigione dei terroristi Catturato in un luogo di addestramento di Al Qaeda in Afghanistan scrive drammatiche lettere al fratello: «Sono pentito, voglio tornare» la storia Massimo Numa QUESTE lettere arrivano da un altro mondo, da un inferno chiamato Guantanamo. Sono state scritte dalle gabbie dell'XRay Camp, la prigione dove sono detenuti, dal novembre 2001, centinaia dì talebani e guerriglieri addestrati nei campì dì Al Qaeda e catturati dalle milizie dell'Alleanza e daU'esercito Usa a Konduz, Torà Bora, Mazar-i-sharìf, Iraq. Fogli scritti in arabo, contrassegnati dai timbri rossi della censura, cleared by Us Force. Un uomo con la tuta arancione, la divisa dei prigionieri catturati nei campi di Al Qaeda, si rivolge al fratello rimasto a Torino e lancia un appello al mondo: «Non ho fatto nulla, aiutatemi a tornare lihero». Sono due anni che Surim H.S., matricola 1949, si trova a Guantanamo, Cuba. Due anni senza processo, senza speranze, senza un futuro degno di questo nome. L'ultima lettera, affidata alla Croce Rossa il 18 gennaio, è arrivata, via Washington, alla Cri di via Bologna a fine marzo. Surim, tunisino approdato a Torino agh inizi degh Anni 90, dice di essere «pentito» di aver lasciato la famìglia - del tutto estranea alle cellule integraliste islamiche in attività anche in Italia - e di voler tornare- al Paese d'origine, dai genitori. Da Torino, ora partito la notte del 31 giugno 2001, meta finale ì campi d'addestamento dì Al Qaeda. Da quel momento è, per i suoi cari, come una specie dì «desaparecido». Surim H. S., un «fanatico» non lo è stato mai. Ai fratelli Ahmed e Ah («Per piacere niente nomi, niente indirizzi») aveva semplicemente detto che sarebbe andato in Pakistan per iscriversi a una madrassa, le scuole islamiche. I suoi familiari, che vivono in Itaha da più dì dieci anni, gente che lavora, con moghe e figli, forse sono davvero le «altre» vittime del terrorismo islamico. Testimoni di un dramma - quello del congiunto prigioniero - vissuto nel più perfetto silenzio, in un comprensibile alternarsi dì paura e di voghe di reagire. Paura dì essere «discriminatì» dagh italiani («Ecco i fratelli del ■'terrorista"...») e persino all'intemo della propria comunità. Non sanno come aiutare Surim che, dall'X-Ray Camp, riesce solo a comunicare, in poche righe, la sua disperazione e il suo «pentimento». Quel viaggio da Torino a Kabul «è stato un terribile errore». I fratelli: «Ancora oggi questa storia ci sembra incredìbile. Nostro fratello era, è, un uomo educato, gentile, rispettoso dì tutti. Non farebbe mai male a nessuno. Certo, frequentava la moschea come tutti gh islamici, è religioso, ma nulla di più. Non è mai stato un integralista. E poi, a noi, non diceva assolutamente nulla, deUe persone che frequentava in quel periodo. Adesso sembra facile dirlo, può sembrare come un modo per prendere le distanze dalle sue scelte ma noi davvero non sapevamo niente deUe sue vere intenzioni. Siamo gente che è venuta in Italia solo per lavorare. E basta. Non abbiamo nulla di cui vergognarci e questa situazione ci fa soffrire ingiustamente. Lui disse, allora, che se ne sarebbe andato via per un po', a studiare l'Islam. Non è sposato, ha solo noi, era liherissimo di agire come meglio credeva». Poi? «Un giomo del gennaio 2002 fummo convocati dalla Digos. Ci dissero che nostro frateUo era priglìonìero degh americani a Guantanamo. No, impossibile... Non riuscivamo a crederlo. Passarono mesi in cui ci domandavamo spesso che fine avesse mai fatto. Mai una telefonata, niente. Dopo, arrivò la prima lettera, la seconda, la terza. Sono passati due anni. Abbiamo visto le sue foto (scattate dai dirigenti dell'Ucigos in missione a Guantanamo, ndr), Surim appare in buona salute. Ma è difficile capire, da qui, qua! è davvero il suo stato d'animo. Come aiutarlo, adesso?». Già. Pensano «che un avvocato, la stessa Croce Rossa, possa fare qualcosa di concreto». Ancora; «Siamo pure imbarazzati, non voghamo compiere un passo falso. Perchè le persone ci guardano e temiamo che pensino male anche dì noi. No, siamo pessimisti. Surim, a casa, non tornerà presto». Era svanito nel nulla il l0 luglio; sulle prime pagine dei giornali, quel giomo, sì parlava di terrorismo. Tre condanne all'ergastolo per la strage di piazza Fontana, anno di grazia 1969. Antichissime ombre, la tempesta stava per investire l'Occidente ma, allora, nessuno lo poteva sapere. La strage delle torri gemeUe era solo un progetto di Al Qaeda, evidentemente nella fase più avanzata. Faceva caldo, quel 1 "luglio, era domenica, un banale afoso e affollato week end di luglio. Nelle prime ore di quella stessa mattina, tre uomini, partiti in auto sabato notte da Torino, avevano raggiunto Milano. Prima incontrarono Abdel Halim Remadna, il referente italiano della rete dì reclutamento di estremisti islamici che, via Iran, venivano inviati nei campi di addestramento ideologico militare dell'Afghanistan. Erano Mohamed Aouzar, 26 anni, Fathy Aly El Meshad Sherìf, 27 anni, egiziano e Surim. Il «viaggio» fu promosso da Abdel Hadim Remadna, infaticabile bibliotecario della moschea di viale Jenner, detto «il Monaco». Il 7 lugho erano già a Kabul. Originario della Tunisia, 30 anni, Surim è stato preso dall'esercito americano in un campo per terroristi «Sono qui dal 2002, voglio un processo» Sull'angolo dell'Isola di Cuba, a Guantanamo, c'è la zona di detenzione di massima sicurezza. Ogni cella misura 1,8 per 2,4 metri, pavimento di cemento, inferriate-pareti e un tetto di legno, irrorato di insetticida, che non protegge i prigionieri dalle intemperie. Per tutti un materasso di plastica, un sapone, uno shampoo, uno spazzolino, il dentifricio e due asciugamani: uno perii bagno e l'altro può essere usato come tappeto per le preghiere. Tre pasti a giorno, nel rispetto delle norme alimentari islamiche. Due le pietanze calde, unica bevanda l'acqua è 4 e i n e n n o e i e e e . a a a Un uomo accusato di far parte della rete del terrorismo internazionale detenuto a Guantanamo Mohamed Aouzar, l'altro immigrato di Torino prigioniero a Guantanamo •*»iiJtf Jit^i^^. .i,^.;,>UiVL■. '«». X.I..+-ÌÌ * "-^^(fSC^i-^v-v -ti, ZBp0S*togSfia!ÌÌji u-t/a 110113^ «-~.

Persone citate: Abdel Hadim Remadna, Abdel Halim Remadna, Mohamed Aouzar, Surim H.s.