Tra il bianco e l'azzurro dei due

Tra il bianco e l'azzurro dei due SUDAN. IL PAESE PIÙ' GRANDE D'AFRICA, SCONVOLTO DA VENT'ANNI DA UNA GUERRA CIVILE QUASI INVISIBILE AL TURISTA Tra il bianco e l'azzurro dei due IA A Gino Barsella ALLE tre di notte l'aereo, carico di cinesi, atterra a Khartoum, capitale del Sudan a cavallo della confluenza dei due Nili, il Bianco e l'Azzurro. AU'uscita solo una folla di cinesi in attesa di amici, parenti, colleglli... quasi fossimo a Pechino! Ma appena fuori, l'aria calda del deserto ci avvolge, e l'odore di sabbia ci riporta l'immaginazione nel paese più grande deU'Africa, sconvolto per vent'anni da una guerra civile che al turista distratto non appare. Alla luce del giorno U centro città si anima tra gente che corre al lavoro, barcoUanti autobus colorati e risciò; intanto gh spazzini ripuliscono le strade dal "fasti" deUe serate tropicali passate in compagnia e dalla polvere trascinata dal vento. U volto della gente è africano (Sudan significa proprio "paese dei neri"). A differenza della nuova ricchezza portata dal petrolio che solo le ex guardie rosse venute dall'Oriente sono riuscite ad estrarre ai giacimenti nel Sud del paese; la si scopre nei nuovi palazzi che sorgono ovunque, spesso a fianco deUe vecchie costruzioni coloniali britanniche, e daU'indubbio carattere arabo. Dopo un'abbondante colazione a base di fave, 0 cibo base della dieta sudanese, decidiamo di andare verso la periferia ed oltre, evitando accuratamente i posti di controUo deUa polizia, laddove il clima torrido del deserto ti toghe U respiro. L'altra faccia del petroho è quella di migliaia di profughi sudsudanesi (l'Onu dice che la guerra nel Sud ne ha riversati quattro milioni a cercare scampo nel Nord), quasi scheletri capaci però di qualsiasi cosa per organizzarsi e sopravvivere fino aUa pace. E' quella deUe loro baracche costruite di fango. E' queUa degh asinelh dai nervi d'acciaio e daUe ossa di cemento armato, che testardamente trascinano barili su due ruote per i sentieri di sabbia: l'acqua è l'unica comodità che non può mancare-nemmeno a trenta chilmetri dal Nilo. Mentre tutto questo accade, il governo nega che nel paese ci siano problemi coi diritti umani; e i ribelli portano avanti la guerra. Solamente la stanchezza e interessi superiori - come quelli, americani ed europei, che toccano altre grandi potenze mondiali interessate aUe risorse sudanesi -porteranno forse, quest'anno, alla firma di un accordo. Poi, però, solo i sudanesi potranno costruire la pace. Ma la cosa più meravigliosa, a Wadi Ramla ("VaUe della sabbia", un nome un programma), è trovare una scuola di fango che funziona, con libri, programmi, maestri e anche cibo, e ventidue giovani studenti con tanto di pubblico che giocano, ma molto seriamente, una partita di calcio a piedi scalzi. Ma da queste parti, dicono, è normale così. Basta accontentarsi. Pomeriggio, la fame ci spinge a rientrare. AUe porte di Omdurman - la capitale del Sudan è costituita in realtà da tre città divise dai tre rami del fiume: Khartoum, a Sud, tra il Bianco e l'Azzurro; Khartoum Nord, la città industriale tra l'Azzurro ed il NUo che corre verso Nord; Omdurman, la "medina" araba, a Ovest - sfioriamo l'antico mausoleo del Mahdi, il leader venuto dall'Ovest che aUa fine deU'Ottocento liberò il Sudan dagh stranieri realizzando la prima rivoluzione islamica in Africa. La sua famiglia, i suoi seguaci e le sue idee sono ancora oggi prominenti neUa pohtica sudanese. Arriviamo così al vivace mercato di Omdurman, antichissimo, al centro deUe vie carovaniere che da sempre si intrecciano neUe sconfinate regioni saheliane. Con un sandwich al kebab in una mano e una bibita neU'altra, ammiriamo i tessuti e le pietre preziose, quasi ubriachi dall'odore deUe miUe spezie ammucchiate ovunnque. Nei negozi per turisti, immancabili, gruppi di cinesi aUa ricerca di pezzi proibiti di avorio o ebano, o a contrattare gioielli di oro estratto dalle miniere sudanesi. Sono i migliori a non farsi imbroghare sul prezzo. La curiosità ci spinge a lasciare la capitale per andare verso Sud e verso Ovest. Man mano che l'asfalto corre, le casupole di fango diventano capanne di pagha e il deserto si fa meno arido. Dopo una colazione di montone e caffè speziato ad un locale "autogrill" di arbusti entriamo, di colpo, in una immensa piantagione di canna da zucchero. Al centro, lo zuccherificio di Assalaya, uno dei cinque grandi impianti costruiti con investimenti sauditi per coprire anche il loro fabbisogno. E' l'inizio deUa Gezira, il più esteso progetto agricolo del mondo ideato dai colonialisti inglesi neUa vasta regione tra i due Nili a Sud di Khartoum. Una capiUare rete di canali aveva fatto del Sudan U più grande produttore di cotone al mondo. Oggi non lo è più, e nemmeno gh zuccherifici marciano a pieno ritmo: vent'anni di guerra hanno assorbito le energie migliori. A Rabak giriamo verso Ovest, attraversiamo il vasto e bellissimo Nilo Azzurro - il ponte porta la firma itahana - e approdiamo a Kosti. E' la porta fluviale e ferroviaria verso il Sud, verso i campi petroliferi e la guerra. Ci sarebbe anche la strada verso il Meridione - parte dell'ambizioso progetto transafricano che dovrebbe unire Alessandria d'Egitto e Città del Capo -; ma ne sono stati asfaltati solo pochi chilometri. E' da questa tranquilla cittadina, o megho da un'isoletta locale sul grande fiume, che venne il Mahdi. Ma la periferia, qui, è disperazione pura. Ci sopravvivono quelli appena scampati dalla pulizia cinese per preparare lo sfruttamento petrolifero delle zone dove abitavano; quelli che non sono riusciti ad andare più a Nord. Anche qui incontriamo la voce del govemo, una voce molto più critica. Un consighere politico dell'amministrazione locale ci confida quanto sia duro essera aU'opposizione, a lottare per i diritti negati; soprattutto perché un sudista che parla in pubbhco di pohtica non ha protezione. Per questo la pace è necessaria: per dare la possibilità anche al Sud di un minimo di svUuppo, e ai cristiani del Sud un po' di libertà, in un paese dove U pluralismo diventi un valore. fl viaggio verso Ovest ci ributta nel deserto, sfiorando i monti Nuba, un tempo fiorenti di turismo per ammirare un popolo orgoglioso dai tratti come sculture d'ebano e oggi teatro di guerra. Fino ad elObeid, "la Bianca", la citta' sudanese dove più d'ogni altra si respirano i venti di guerra e la tenaglia dei servizi segreti. Doveroso, el-Obeid è U terminal aereo e ferroviario per la logistica deUa guerra. L'ultimo giorno a Khartoum lo dedichiamo al museo, per scoprire l'antica anima pluralista, ospitale e toUerante di questa gente: crocevia di popoh e civiltà, aU'incrocio tra mondo arabo e africano, il Sudan è passato daUe antiche religioni faraoniche aUe moderne, ha saputo essere cristiano e musulmano. Ha sperimentato la convivenza, ma anche la guerra. U pomeriggio, dato che è venerdì, andiamo a vedere i dervishi, i successori degh antichi cavalieri del Mahdi, che pregano, danzano e si perdono ruotando in trance religiosa. Un'esperienza profonda di religiosità popolare; ma i loro volti orgoghosi, segnati daU'incuria del tempo e daUa durezza della vita di deserto, rivelano anche la certezza della propria fede e l'antico spirito guerriero. Mi tornano in mente la sera, aUa partenza, di fronte ad uno splendido tramonto rosso così tipico nei deserti d'inverno: ci porterà, in Sudan, ancora sangue, o "bel tempo si spera"? Tra i dervishi, successori degli antichi cavalieri del Mahdi, che pregano, danzano e si perdono in una profonda trance religiosa e i cinesi di Khartoum che fanno sembrare la capitale una piccola Pechino. Un grande crocevia di popoli e civiltà, tra mondo arabo e africano Immagini di Khartoum, la capitale del Sudan, che giace a cavallo della confluenza dei due Nili, il Bianco e l'Azzurro L'acqua del Nilo è l'unica vera risorsa di un Paese torrido e desertico

Persone citate: Gino Barsella, Wadi Ramla