"GÈ NOVA tra pesci strani ceci e un prete di Guido Ceronetti

"GÈ NOVA tra pesci strani ceci e un prete VIAGGIO DENTRO LA CITTÀ CHE QUEST'ANNO È CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA: DALL'ACQUARIO Al MARCIAPIEDI NOTTURNI I VOLTI DI UN AGGLOMERATO CHE PROFUMA ANCORA DI VITA "GÈ NOVA tra pesci strani ceci e un prete Guido Ceronetti GENOVA . VERO, non vero? Non sappiamo quando le saracinesche di Maya, l'illusione gosmica suprema che ci vela ogni cosa, si alzino in parte o acciechino tutto. A Genova, il paragone facile con Barcellona e Marsiglia non regge; Genova è molto più spirituale (dunque più spruzzata di Maya) delle altre città-porto mediterranee. L'aria è oggi, come dappertutto, miasmatica e il Gas del traffico sta riuscendo nell'impresa d'inghiottire anche il mare (drago trafitto, in agonia angelica), però ne resta, circolante, di Pneuma, una frantumata luce che soccorre i vacillanti, bagna di protezione. Questo più di anima è un riparo e una medicazione di forza. C'è forse un'affinità segreta tra Genova e Parigi, ed è fuori dalla triangolazione magica nera che opprime invece Torino: la sua reliquia diabolica è il violino di Paganini, di cui diffidano i musicisti, che si conserva nel palazzo Turci (adesso, per motivi di restauro, sotto chiave al Corcando dei carabinieri): in verità, più stregato da quelle lunghe mani, che diabolico - ma non avendolo potuto avvicinare non saprei dime di più. Capitale europea della cultura 2004 è una scelta inconsapevolmente felice: un'occasione meditativa, un gesto propiziatorio. Tuttavia se per cultura non s'intendono che manifestazioni e spettacoli, restauri di palazzi e personaggi in transito, il senso di questo ammiragliato provvisorio si perde. Bisogna non farsi sviare, essere turisti dell'anima, ascoltare le voci emesse dai punti dove la città non è stata crocifissa da chiodi di materia bruta, senza vita, e guardare con simpatia e refrigerio al suo decadimento industriale, sperando si approfondisca e duri, perché questo segnala in superficie l'insofferenza delle correnti spirituali al cataletto perpetuo, un'attesa delle foglie ingiallite che il verde tomi, un'attesa di altro. Dal decadimento industriale nascono i luoghi misteriosi di una speciale bruttura archeologica da cui invece delle colate pestilenziali zampilla una poesia rara, astrattamente oscura: sacer est locus, quantunque di sacro straccione. Non dagli animali domestici viene il senso profondo della diversità, della non-ominità del vivente: bisogna tuffarsi nei pesci. E Genova da pochi anni si è dotata di un Acquario imbattibile per la ricchezza degli abissi che squaderna, per l'innovazione continua, per l'inaudita abbondanza di conoscenza che offre in cambio di un biglietto di pochi euro. Se ti vuoi disintossicare per un poco di questa immondizia storica che ci tocca trangugiare ogni giorno, che ci stritola, che ci la qua e là per il mondo carne da assassini, che ci abbrutisce al solo presentirla, fermati qua, osserva il tremolio degli ombrelli delle meduse vaganti, la microforesta tentacolata dell'anemone di mare: il demiurgo li ha liberati dall'orrido peso delle vertebre, si ripetono da mihardi di anni e non hanno avuto il cancro dell'evoluzione, né un Cesare a governarli militarmente, né bisogno di uno Shakespeare per consolarli di essere nati. L'Acquario non è soltanto una passeggiata meravigliosa per filosofi un po' sonnambuli,. perché informa con precisione, mette il sogno nel surgelatore e fa il mestiere dell'Adamo della Genesi, distribuisce nomi; per la nostra veramente povera mente, se non li nominassimo, tutti quegli esseri non esisterebbero. L'Evoluto commette anche nel fondo dei mari crimini inespiabili: ha imparato a catturare vivi gli squali, li tirano su e gli segano le pinne come i potatori comunali segano i rami appena gemmati, poi li ributtano nell'acqua così mutilati, lo squalo è cieco, ha il cane e il bastone bianco, le pinne sono la sua luce e la sua salvezza, va giù a crepare sul fondo. Il racconto non finisce qui: con quelle pinne, frutto di milioni di squali amputati, si fa la celebrata Zuppa di Pinne di Pescecane, specialità cinese e prodotto di salsamenteria nobile, e al ristorante costa cara a chi l'ordina, ma dopo qualche ora il mangiatore di pinne potrà esclamare, davanti allo specchio o a un paio di gambe rassegnate: - Oh finalmente, ce l'ho duro! - Se ogni tanto qualche squalo strappa una gamba di bagnante innocente è Némesis. L'Evolutissimo ha inventato la Stella Rossa della paura e della violenza, ma il Demiurgo ne ha inventata una, infinitamente prima del 1917, che è molto più rassicurante: la Stella Rossa mediterranea, che al sangue umano preferisce le spugne. Non si fa altro che mangiare ed essere mangiati, anche nel mondo submarino, ma qui la direzione dell'Acquario provvede alle vettovaglie secondo orari precisi, perché questo è un Ospizio dorato e ben protetto, la strage endogena ed esogena perpetua della giungla oceanica e dei mari interni è esclusa, e anche la selvaggia libertà degli abissi: tutti godono del Welfare, in silenzio. Il traffico, sull'orrenda sopraelevata che sfregia la vecchia Genova dalla Lanterna alla Fiera Intemazionale, parallelamente a quello della via sottostante, è di una impressionante violenza. Si passano le arcate e si sbocca nelle rasserenanti vasche dell'Acquario. La sua funzione fisiologica, di creare vasodilatazione, ristoro cardiaco e polmonare, non va trascurata. All'intermezzo di riflessione, interrogando quegli esseri in cui nulla ricorda la faccia umana (ben lontani dalla «capra dal viso semita» di Umberto Saba), non si perviene senza aver prima dimenticato quel che c'è fuori, di umano e di disumano avvinghiati insieme. Chi sa se Don Andrea Gallo conosce questo testo delle Confessioni di Agostino (lib. VII, cap. 7, 11): «... le creature infime mi montarono sopra, opprimendomi senza lasciare da nessuna parte sollievo e respiro. Mi venivano incontro a caterve, in masse compatte da ogni dove...». L'ex discepo¬ lo manicheo non riusciva a trovare per il problema del male la quadratura cattolica. Ma in quella visione c'è raffigurata l'avventura esistenziale del genovese prete secolare di San Benedetto al Porto. Più ne attira e ne accoglie, più le creature sradicate, ferite, umiliate o dannate gli salgono sopra togliendogli il riposo e il respiro. In veglia, a volte l'intera notte, le aspetta. Al N. 12 di Via San Benedetto la porta non resta mai chiusa a lungo. Noto, in una stanzetta della comunità, una pittura curiosa (l'autore è il pittore Caminati) che pare un viaggio all'isola dei morti di Bòcklin - invece è San Francesco (lugubremente col cappuccio abbassato, senza volto) che predica ai lebbrosi, una banda di tristi spettrali che se non sono morti ci manca poco. Simbolica, dato il luogo, le presenze... Quanti ne saranno passati, per la porta del N. 12, in trentaquattro anni, dei lebbrosi d'oggi, avanzi che la marea ributta, sfiniti a vent'anni, sfruttati dalla malavita-, delinquenti non decisi a smettere, alcolisti cronici, drogati di tutte le sostanze, scavati dall'Aids, quanti scaricati in qualche gomito del porto o in binario di testa dalla nave Mondo, dai treni dell'Est, utensili umani giudicati inusabili, minacciati, ricercati, inse¬ guiti? La polizia stessa, quando a Principe ne trova che non sanno da che parte avviarsi, una volta sul marciapiede, li scarica là, dove c'è almeno la certezza che sostegno e anima non mancheranno. Adesso, dice Don Gallo, con la Bossi-Fini c'è più controllo e meno commercio carnale sulle strade, ma di prostitute ne sono arrivate a ondate, in dieci anni, prima le sudamericane, poi le nigeriane, le albanesi, le slave... Le più infelici, le più straziate dagli sfruttatori sono le albanesi, ricattate senza fine, umiliate fino a dover usare, come assorbenti, pezzi di giornale. Ne ebbe che, rimaste incinte, prese a calci nel ventre per provocarne l'aborto, scapparono a San Benedetto, e fu lo scandalo degli aborti assistiti e urgenti con cui, all'ospedale di Sampierdarena. Don Gallo, forzando il dogmatismo etico della Chiesa, le fece misericordiosamente uscire da una gravidanza impossibile. Quando c'è afflusso di prostituzione. San Benedetto manda in giro un pulmino di notte che distribuisce tè e caffè caldo, generi di conforto, preservativi (che i clienti, nell'opacità delle proprie pulsioni di morte, rifiuteranno). Don Gallo è l'opposto di una Madre Teresa di Calcutta: non ha la morbosità crudele del ritenere utile la sofferenza. Questa forma di disumanità dei religiosi cattolici gli è estranea del tutto. Aggredisce la sofferenza in tutti i modi possibili: questo lo fa amare smisuratamente, e anche rischiosamente. Io credo che, alle strette, staccherebbe la spina e che rifugga dall'accanimento terapeutico. Le sue frontiere bioetiche sono mobili, senza reti spinate, senza mura. Il suo rinnegamento del dolorismo benefico fa crollare parecchi mattoni dell'edificio ecclesiastico. Certo, a settantacinque anni, si è quel che la vita ci ha fatti essere, si sta dove il destino ci ha condotti. Se c'è in noi qualcosa dell'Edipo delle strade, il demo di Colono è vicino. Il logoramento fisico di questo vecchio prete «da marciapiede», col sigaro spento perpetuamente in bocca, che oggi appare molto sobrio, insonne, sempre in viaggio, custode di segreti terribili, non ne ha finora deviato o rallentato l'impegno, sparato a raggerà, verso più abbandoni e chiusure. Ma più giustificabili mi sembrano, in ottica cristiana, che ha sempre guardato con simpatia alle galere e ai patiboli le sue sconcertanti relazioni con criminali (anche spaventosi, come Minghella) che il suo invischiarsi coi demagoghi della piazza violenta e imbecille, vedere fiori d'innocenza in impurità isteriche, avere tanti amici tra gli sbandieratori di guevarismi e comunismi residui... Anche questo ne compone i tratti*. Don Gallo non ha mezze misure. Ma se alla sua porta si presentasse una sera il Dalai Lama, incarnazione di tutti i veri esigli, di un popolo che soffre davvero, bisognerà aprirgli, farsi da lui sfamare. Prima di tornare in questa occasione a Genova, credevo il basilisco metafora e creazione di zoologia fantastica, abitatore dei deserti (in vacua regnai basiliscus harena. Lucano IX): sbagliavo! L'Acquario ce lo mostra, al contrario, come abitatore reale delle più fradice foreste del Centroamerica: un affascinante rettile verde, che certamente la morìa dei grandi sauri ha nanificato, un occhietto timido tra il fogliame. (Qualcosa, in noi, deve ricordarlo nelle sue dimensioni preistoriche terrificanti). Qui gli hanno fatto, ex drago crestato, un simulacro di foresta stillante umidità, terribilmente reumatogena, ma è un recluso, anche lui, e se si mette a misurare la fettina di tropico immaginario che gli è assegnata, il vetro blindato lo costringerà a tomare indietro. Perché tutti i tropici sono tristes tropiques... Botteghe, botteghe di Genova, per favore, non smobilitate! Non vi prostituite ai nuovi arredatori! Una gioia ritrovarvi, approdi di oggetti accatastati, più o meno vendibili, vetrine che abita uno charme indelebile di mercato povero non tralignante! Mercerie, luoghi incantati dei vicoli, montagne di scatole con tutti i bottoni, i fiocchi, i nastri, i pettini della terra, dov'è un piacere fare acquisti senza nessun bisogno. Petroliere da calze dove rovistando nei fondi è ripescabile, forse, perfino il Reggicalze, bijou rose et noir, grazia erotica ammutolita su per le scordate tastiere del sogno. E pepine, tempietti unti, forni per gusti devoti, per frettolosi non da McDonald's, delle focacce salate di diametro lunare, della polenta di ceci e dell'inimitabile farinata, ristoro di ogni appetito farinata di ceci genovese, l'unica frittura che io non abbia mai trovato afflittiva. Botteghe stipate all'inverosimile e affacciate sempre sull'Aperto, botteghe di accumulazioni centenarie e di ieri appena, concentrazioni di «alito salso umano» fatto commerci che si dissolvono in segmenti di pura poesia urbana, nasse che catturano il tempo botteghe con dentro, tutte, l'odore della vela e del vento marinaro. Per disintossicarci dalla sporcizia storica fermiamoci ad osservare la giungla oceanica meduse e anemoni che non hanno il cancro dell'evoluzione L'avventura di Don Gallo Accoglie gli umiliati e i dannati. E'l'opposto di Madre Teresa: non ritiene utile la sofferenza solleva dalle pene e forza i dogmi etici della Chiesa Una veduta di Genova, città molto più «spirituale» delle altre città-porto mediterranee La vasca dei delfini all'Acquario Don Andrea Gallo (a destra) con Vasco Rossi La vetrina liberty di un antico negozio