Il mito dell'esterofilia, in piazza zapatisti lulisti e zapateristi

Il mito dell'esterofilia, in piazza zapatisti lulisti e zapateristi BREVE VIAGGIO NELLA SINISTRA ALL'ETERNA RICERCA DI FETICCI STRANIERI, TRA JOSPINIANI, BLAIRIANI, CARDOSIANI... Il mito dell'esterofilia, in piazza zapatisti lulisti e zapateristi Jacopo lacoboni 'T* ANTO affannarsi e dividersi 1 su due manifestazioni che crediamo italiane poi va a finire che in piazza domani trovate chi è stato jospiniano zapatista e ora zapaterista, chi nel giro di pochi giorni cardosiano e poi lulista, chi ha esordito blairiano e a momenti finisce guevarista... la sinistra di dappertutto, mica quella itahana. Se non sai bene chi sei e ti senti straniero perfino a te stesso può sempre correrti in aiuto lo Straniero, l'erba del vicino o tutto quello che non hai, dunque ti illudi di poter essere. L'ultimo (transfert) è Jose Luis Rodriguez Zapatero. Marco Follini chiede «la sinistra ora non vada dietro a Zapatero» ma poi non è che vadano tanto dietro (a Follini). Dice Paolo Cento: «Gioisco per il fatto che la sinistra sia passata dal modello Blair al modello Zapatero». Dice persino un liberal come il diessi¬ no Enrico Morando: «Zapatero vince per la posizione presa sulla guerra» (poi aggiunge «le ricette di Blair restano importanti»). Dice Franco Giordano di Bifondazione: «Zapatero sente la forza dei movimenti, Blair ormai è fuori da qualsiasi ipotesi di sinistra». Modelli, ricette, ipotesi: perché sempre e per forza straniere, e da dove arriva il virus esterofilo? Trovar date è un'impresa ovviamente arbitraria, oltretutto la sinistra radicai si scanna da sempre sugh «ismi» esterofiloculturali, marxisti marxisti-leninisti guevaristi zapatisti luxemburghrani spartachisti trotzkisti... Il fatto è che dagli anni Novanta il virus contagia anche di più i sobri dirigenti riformisti o protoriformisti. E allora: quando Clinton fu eletto a Washington, D'Alema (non, a'quanto pare, il suo amico Veltroni) fu il primo a chiamarlo nello studio ovale. Quando ci fu da esporre camicie stile Bill primeggiarono Veltroni e Rutelli. Quando ci fu da intrattenere rapporti stretti col clintonismo come moda Spensiero persino Prodi si lasciò tentare al punto che Sidney Blumenthal, stretto collaboratore pohtico dell'amante della Lewinsky, ima volta disse «abbiamo voluto molto bene a Romano, siamo rimasti in relazione con lui, lo sento ogni tanto al telefono»... Peccato che Bill fosse così fisicamente lontano, gh amori hanno bisogno del corpo. In fondo meglio dirsi blairiani, con Tony ci potevi organizzare la vacanza nel Chiantishire, la partita a tennis, la gita dall'estetista con Cherie e signore o, udite udite, il ballo. D'Alema e Veltroni che citano il blairiano Giddens è rcl-a stranota, idam Giuliano Amato e Francesco Rutelli che giocano a tennis ad Ansedonia col premier laburista: ma come dimenticare Blair che assieme ai leader della sinistra, proprio alla vigilia della guerra in Kosovo, balla in compagnia della moghe Ali you need is love? C'era anche Prodi, allora, tutti decisi e blairiani. E pazienza se poi i miti vanno e vengono: quando nel febbraio 2003 il leader inglese, ormai in odor di guerra all'Iraq, venne a Roma a trovare Wojtyla e Berlusconi, quasi nessuno da sinistra lo voleva più vedere, e gli incontri furono titolati con metafore sul «freddo» e addirittura il «gelo» con i leader ulivisti. Paf, amore finito. Ecco: la sinistra era guarita dall'esterofilia? Macché. Sarebbe venuto Zapatero ed erano già venuti Jospin (con Cesare Salvi che inneggiava alle sue trentacinque ore) e il passamontagna di Marcos. Lo zapatismo, come non riconoscerlo?, aveva pure un che di esotico. Prendete due-tre cartoline: Luca Casarini che allo stadio Carlini di Genova mostra ai cronisti l'occhio di cervo ricevuto in dono dal sùbcomandante. Fausto Bertinotti che sale da Marcos in Chiapas in groppa a un cavallo, Livio Maitan, capo storico della minoranza intema di Rifondazione, che al ritomo commenta con un amico «beh, allora megho dirsi trotkisti»... Ma per restare soltanto ai vivi: che dire delluhsmo? Capitolo fantastico, prendete solo D'Alema, che diventerà lulista dopo esser stato cardosiano: quando organizzò il vertice dei riformisti mondiah, l'attuale presidente dei Ds come «voce del Sudamerica» aveva chiamato Cardoso, non Lula, e agli amici ripeteva «Cardoso è intelligente, molto intelligente», al che quelli gh rispondevano «sì, ma è anche di destra...». Chi ricorda poi che tre anni fa, festa dell'Unità di Modena, prima dell'esplosione delluhsmo il futuro presidente brasiliano fu accolto solo da Gianni Mina e da un simpatico cuoco romagnolo? Storie di andate e ritomi, intrecci dell'effimero, postpohtica che non sa essere fedele neanche ai suoi tradimenti: dunque gioca con le figurine straniere. E allora, sempre in Lula, la sinistra vide tutto (quello che voleva vedere). Cofferati, «convidado» alle celebrazioni in Brasile: «È un leader straordinario anche se non ripetibile in Italia». Bobo Craxi: «È un vero riformista». Savino Pezzotta: «È un cattolico che in Italia dialogava con la Cisl». Alfonso Pecoraro Scanio: «È un ambientalista». Bertinotti: «È un nemico del neoliberismo». Forse aveva ragione il titolista che h definì «i Lula de noantri». O forse avevano ragione Susy Blady e Patrizio Roversi, «zapatisti» saliti convinti a San Miguel in Chiapas e discesi «con addosso una sensazione di inutihtà», magari anche davanti a troppi ismi che ci impediscono di essere fino in fondo ciò che faticosamente e davvero siamo.