Un califfato dall'Atlantìco a Suez di Maurizio Molinari

Un califfato dall'Atlantìco a Suez A CASABLANCA IL QUARTIER GENERALE DELL'ORGANIZZAZIONE Un califfato dall'Atlantìco a Suez I piano della Salafia Jihadia, «filiale» marocchina di Osama retroscena Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK SE Al Qaeda dopo la sconfitta afghana si è trasformata in un'idra con mille teste, la «filiale» marocchina, la Salafia Jihadia, è a sua volta una galassia di cellule ognuna delle quali si è creata attorno a un differente imam di una diversa località: Mohammed Fezzani a Tangeri, Omar Hadouchi a Tetuan e soprattutto Zacaria Miloudi a Casablanca, riuscito ad emergere per migliore logistica e maggior numero di militanti. Sempre Casablanca è il luogo di «predicazione e combattimento» - la denominazione dell'organizzazione dei salafiti - di Ahmed Rafiki, l'ex infermiere, fattosi le ossa a metà degli Anni Ottanta reclu¬ tando i volontari per la Jihad afghana e diventato quindi anni dopo - al pari di Abu Bakr Bashir in Indonesia - un'autorità venerata dagli estremisti islamici. Ciò che accomuna i diversi gruppi salafiti marocchini è il progetto di riunirsi attorno a un emiro e dar vita ad un califfato unico nordafricano dall'Atlantico al Canale di Suez, includendo le popolazioni musulmane nel Sahel. Anche qui vi sono paralleli con altre anime di Al Qaeda: tanto la Jemaa Islamiya del Sud-Est asiatico quanto la pakistana Lashkar-e-Toiba si propongono di creare dei mini-califfati retti dalla legge islamica, destinati a legarsi fra loro più avanti nel tempo. Si tratta dei tasselli del disegno del leader di Al Qaeda, Osama bin Laden, che mira a unificare tutte le terre dell'Islam per porre fine all'esistenza degli Stati nati dalla dissoluzione degli imperi coloniali e dalla caduta del sultanato ottomano. Dopo una serie di piccoli agguati, soprattutto a danni di commercianti ebrei, il debutto militare dei salafiti in grande stile sul campo risale agli attentati di Casablanca (maggio 2003,45 vittime) preceduti dal fallito tentativo di colpire alcune navi della Nato in transito nello Stretto di Gibilterra (settembre 2002); ma la trasformazione di Casablanca in una delle teste di ponte di' Al Qaeda risale all'inizio degli Anni Novanta, quando tornano in Marocco dall'Afghanistan circa quaranta dei cento volontari partiti per battersi nella Legione Araba contro l'occupazione sovietica. Chi preferisce continuare la Jihad va a combattere in Cecenia, in Daghestan, in Bosnia e in Kosovo, o segue Bin Laden a Khartum, in Sudan. Le interazioni fra i jihadisti tornati e quelli ancora all'estero, attorno a figure come Ahmed Raffiki, creano un network nel newtork di Al Qaeda: sono combattenti duri, alcuni di loro fanno parte del gruppo kamikaze che elimina il comandante tagiko Massud leader dell'Alleanza del Nord in Afghanistan, e dopo la caduta dei taleban almeno 17 di loro finiscono nel centro di detenzione di Guantanamo. Gli interrogatori condotti nel penitenziario cubano e le rivelazioni fatta da Abu Zubaida, il palestinese a capo delle operazioni all'estero di Al Qaeda, consentono alle intelligence alleate di avere a metà dello scorso anno un primo quadro sommario del «teatro di guerra» marocchino. Senza più le retrovie afghane, i salafiti trovano a Casablanca non solo moschee ospitali e rifugi sicuri, ma un cruciale snodo logistico. Da Sud arrivano infatti le rotte dei traffici del Sahel e dall'Africa Occidentale: clandestini, prostitute, diamanti e stupefacenti che riempiono le casse delle singole cellule. I militanti che raccolgono gabelle fra le sabbie del Sahara consentono di alimentare la rete di cellule ed anche di operare con i salafiti algerini, attorno alla città di Tamanrasset, in zone poco controllate dalle forze di sicurezza. Da Casablanca verso Nord partono invece i sentieri della jihad contro l'Europa giudeo-cristiana, staffette con messaggi e militanti in missione. «Il Marocco è il cuore del conflitto perché è impossibile colpire i crociati nelle loro case ed escludere il Marocco», disse il militante salafita Abu Self ai- Islam al set* huanale saudita «Al-Maj allah» poche ore dopo gli attentati messi a segno a Casablanca, ricordando che «nel suo ultimo messaggio Osama bin Laden ha nominato la nostra terra». Casablanca è già di per sé è un luogo disseminato di possibili obiettivi - per la presenza di turisti, uomini d'affari occidentali e un'antichissima comunità ebraica - ma è soprattutto una porta per l'Europa. Consente di organizzare, attraverso Tangeri e le enclave di Ceuta e Melilla, il trasferimento sul Vecchio Continente di manovalanza e di militanti più esperti. Come quelli usati per gli attentati di Madrid, scattati per dare inizio alla riconquista dell'antica «Al Andalus», in un momento in cui Al Qaeda sembra incontrare difficoltà nel riuscire a inferire un significativo numero di perdite alle truppe americane in Iraq. La scena dell'attentato del 17 maggio 2003 a Casablanca: quattro esplosioni fuori dal ristorante ebraico Positana, 20 morti