Jamal Zougam un nome al centro di tutti gli intrecci di Pierangelo Sapegno

Jamal Zougam un nome al centro di tutti gli intrecci IL MAROCCHINO ARRESTATO SUBITO DOPO L'ATTENTATO Jamal Zougam un nome al centro di tutti gli intrecci La polizia spagnola avrebbe dovuto conoscerlo bene, perché su di lui erano piovute segnalazioni dal Marocco e dalla Francia Nel luglio 2001 telefonò ad Atta, il capo dei kamikaze delle Torri Pierangelo Sapegno inviato a MADRID La prima volta che lo andarono a cercare, trovarono subito a casa sua i numeri del capo di Al Qaeda. Poi, tutte le altre volte, sempre un filo, un collegamento. Jamal Zougam era un uomo lampada. Una luce nella nebbia. Davvero strano. Le vie Dercorse da Jamal sono come un ncredibile cammino costellato di segnali che portano, passando tra l'Europa, l'Africa e l'Oriente, immancabilmente ad altri nomi, altre sigle, altre stragi, a un elenco senza fine, a un archivio di dati e fatti. Non era l'immigrato marocchino senza soldi e senza lavoro che vive di espedienti, non era per niente il terrorista mimetizzato nella foresta metropolitana, e non era neppure il bravo ragazzo raccontato da qualche cronista che è andato a cercarlo per sbaglio nella casa in Calle Sequillo 14, «dove non viveva da almeno 4 anni»,'come confermano alla Polizia di Madrid. Lui invece era conosciutissimo, controllato e pedinato da tutti i servizi segreti, o quasi tutti: di sicuro, come risulta da alcune informative, da quelli americani, francesi, marocchini, norvegesi e, ovviamente, spagnoli. Gli uomini di Madrid sanno benissimo che è uno pericoloso. Nel caso non lo avessero saputo, a informarli avevano provveduto i francesi, che avevano chiesto sue notizie come presunto terrorista già nel 2001. Prima ancora, nel 1996, erano stati informati dai norvegesi e poi da Rabat che li aveva chiamati il 17 settembre del 2003 per segnalare che due settimane prima, il 3 settembre, Jamal Zougam aveva lasciato il Marocco. Nella nota si prendevano cura di aggiungere che occorreva fare molta attenzione perché si trattava di un elemento «estremamente pericoloso». Non ce n'era bisogno. Madrid lo sapeva già. Lo teneva d'occhio perlomeno dal 2001, e l'aveva trovato nell'inchiesta del giudice Baltasar Garzon sulla cellula spagnola di Al Qaeda, e in quella sulle stragi dell' 11 settembre e poi se l'era ritrovato pure quando un altro magistrato s'era messo ad indagare sui salafiti del Gspg (Gruppo combattente per la predicazione e la guerra), e se c'era un incartamento su qualche pezzo grosso il suo nome non mancava mai. E' lui che ha contatti con Mohamed Fizazi, leader spirituale dei salafiti marocchini, ed è sempre lui che coltiva assidue frequentazioni con il mullah Krekar, considerato il fondatore del gruppo integralista Ansar ai-Islam (i partigiani di Dio), andandolo a trovare almeno otto volte in Norvegia fra il 1996 e il 2001, ed è ancora lui che il 7 luglio del 2001 parla al telefono con Mohammed Atta, il capo dei piloti kamikaze del World Trade Center, appena sbarcato in Spagna per venire ad organizzare la strage dell'I 1 settembre. E' lui che va a prender casa a Lavapies assieme ad Abdelaziz Benayaich, finito in carcere con l'accusa di aver partecipato alle stragi di Casablanca nel maggio del 2003. Ed è lui che ospita a casa sua, al numero 14 della Calle de Sequillo, Imad Barakat Yarbas conosciuto come Abu Dahdah, il comandante e il fondatore della cellula spagnola di Al Qaeda, preoccupandosi pure di trovargli un lavoro da copertura. Per questo la polizia francese manda quella di Madrid a perquisirgli l'appartamento, nell'agosto del 2001 : gli trovano un'agenda telefonica ricca di nomi e di numeri, ma anche dei video e degli scritti che non lasciano dubbi sulla sua vicinanza con l'estremismo islamico. Da allora lui si trasferisce in compagnia di Benayaich a Lavapies, vicino alla Puerta del Sol, un quartiere popolato di emigranti, con i suoi ristoranti arabi, le nenie e i chador, le case ammucchiate e i vicoli polverosi pieni di voci e di odori, di mura sbrecciate e pietre, un posto dove è più facile mimetizzarsi che nella Ciudad Lineai. Jamal, o Djamel, come risulta dalla prima nota informativa della polizia francese, non è come gli altri, che magari dividono il misero appartamento assieme a lui, fra le brandine sporche e una tv con il satellite per vedersi Al Jazeera, in un posto senza bagno con il sole che si scioglie e si spreca fra le pietre antiche. Viene da una famiglia di Tangeri molto stimata, e suo padre è considerato «un moderato». Ha studiato, nei documenti viene indicato come ((impiegato d'ufficio». Rispetto ai suoi compagni, sembra un inficiale. Quelli che la polizia spagnola ha an-estato sabato assieme a lui, sono un meccanico di 31 anni, Mohamed Bekkali Boutaliha, e un manovale di 34, Mohamed Chaoui. Quest'ultimo, lui lo conosce da un pezzo, come risulta ai servizi e anche agli inquirenti, e assieme conoscono Abu Dahdah, e assieme vengono nominati in una telefonata che il capo di Al Qaeda a Madrid fa con Abdulak al Magrebi, che gli dice: «Bisogna contattare Jamal e suo fratello Mohamed Chaoui. Io devo andare a trovarli perché loro sono molto amici di Said Chedadi». Guarda caso, Chedadi è uno dei 40 estremisti coinvolti nell'inchiesta di Garzon sul gruppo di Qsama bin Laden in Spagna: è un ex mujaeddin che ha combattuto in Bosnia e che ora vive trafficando con carte telefoniche e carte di credito false. Lo s'tesso lavoro, sempre guarda caso, di cui campavano prima di essere arrestati sabato Chaoui, Bekkali e Zougam. Solo che le coincidenze non sono così strane. La cellula spagnola di Al Qaeda è considerata un nucleo finanziario e organizzativo del gruppo terroristico, e la falsificazione delle carte di credito fa parte di questo lavoro mentre quella delle schede telefoniche serve a sfuggire i controlli. Per questo, Mohamed Atta viene qui dal 7 al 19 luglio del 2001, telefonando a Jamel e andando a trovare Abu Dahdah. E di questo adesso cominciano ad essere convinti anche gli inquirenti madrileni: è stata la cellula spagnola a organizzare anche finanziarmente l'attentato alle torri gemelle. Il 5 settembre del 2001, proprio 6 giorni prima dell'attacco terroristico a New York e Washington, un'altra telefonata fra Jamel e Abu Dahdah confermerebbe questa pista. La seconda conferma arriverebbe dai tedeschi, che hanno già arrestato e condannato ad Amburgo un marocchino, Mounir El Motassadek, per «complicità» nella strage dell' 11 settembre agli Stati Uniti. Non a caso Atta, in quei giorni di luglio del 2001, cerca anche di incontrare un algerino sospettato di appartenere a un gruppo salafita detenuto nella prigione di Tarragona. Nella sua borsa, poi, recuperata dopo l'I! settembre, gli inquirenti ritrovano molti documenti «che con¬ tengono riferimenti specifici a questa corrente dell'integralismo islamico». E' l'altra pista che passando da Jamel porta al Marocco e a un gruppo terroristico che oltre all'attentato di Madrid avrebbe partecipato anche alle stragi di Casablanca, il 16 maggio del 2003, con 45 morti, e a quelle di Riad, sèmpre nel maggio del 2003, con 35 vittime: alcuni marocchini sono già stati arrestati per questo in Arabia Saudita. I salanti erano nati in Algeria, ma dopo la guerra in Afganistan contro i russi, negli Anni Novanta, 40 reduci marocchini rientrati in patria avevano fondato cellule molto agguerrite a Tangeri, Fès, Sale e Casablanca, concentrando un piccolo esercito di emarginati e straccioni, ((tutti molto giovani, fra i 20 e i 30 anni». L'attentato del 16 maggio, dove era stato colpito anche il ristorante Casa de Espana e dove s'erano coitati fra le 45 vittime anche 5 spagnoli, aveva aperto gli occhi agli inquirenti marocchini e al ministro della Giustizia, Mohammed Bouzoubaa, su questo nuovo pericolo integralista. Da allora in pochi mesi sono stati compiuti 1500 arresti, almeno secondo i dati ufficiali fomiti dal ministero dell'Interno. Secondo quelli non ufficiali, si potrebbe arrivare anche a seimila. Fra di loro sono finiti in carcere con l'accusa di aver compiuto la strage di Casablanca,- anche Abdelaziz Benayaich, che divideva la casa a Lavapies con Jalem, e suo fratello Salaheddine, oltre al macellaio spagnolo di origine marocchina, Maghder BouchaSj, che viveva nella regione di Burgos, Nord-Est della Spagna, e che veniva considerato un salafita. Ma nei giorni della strage e nei mesi precedenti si trovava in Marocco anche Jamel. Tornò in Spagna solo a settembre. Seguendo i suoi contatti con il mullah Krekar, l'ideologo di Ansar ai-Islam, che adesso è in carcere in Norvegia, e quelli con Said Arel, un algerino vicino anch'egli ai salafiti come Mohamed Atta, gli inquirenti ora si sarebbero fatti l'idea che la strage di Madrid sarebbe stata ordinata dal gruppo di Ansar al Islam, il cui leader sarebbe diventato Abu Musab al Zarqawi, il giordano braccio destro di Qsama che sta quasi diventando più famoso di lui. Ma fra questa mischia di nomi e di sigle, l'unico che ricorre sempre è proprio quello di Jamel Zougam. Girando attorno a lui si ricostruisce il mosaico. Ora sappiamo che era supercontrollato. Dicono che sia stato il servizio francese a sollecitarne l'arresto. Vero o no che sia, resta un dubbio inquietante; che mezz' ora dopo la strage qualcuno sapeva già chi era stato. Perché l'hanno arrestato solo sabato? Si è incontrato almeno otto volte in Novergia con il mullah Krekar il fondatore di Ansar ai-Islam il gruppo guerrigliero che agisce per conto di Al Qaeda in Iraq E' legato a Mohamed Fizazi, il leader spirituale dei salafiti di Rabat. A Lavapies prende casa insieme a Abdelaziz Benayaich finito in carcere per il massacro di Casablanca nel 2003 Sempre lui ospita Imad Barakat Yarbas il capo della cellula di Bin Laden in Spagna Bambini giocano a pallone a Tangeri, davanti alla casa del super ricercato Jamal Zougam