La ricerca fare a meno non può dello Stato di Alfredo Recanatesi

La ricerca fare a meno non può dello Stato NON TUTTI I TAGLI NEI BILANCI PUBBLICI SONO VIRTUOSI La ricerca fare a meno non può dello Stato Alfredo Recanatesi Ancor prima degli attacchi terroristici di Madrid, e a poco più di due mesi dall'inizio dell'anno, già si è cominciato a ritoccare al ribasso le stime di crescita dell'economia europea per il 2004. Lo ha fatto la Uè, e a ruota seguiranno tutti gli altri centri cfi studio della congiuntura economica. Per un verso la ripetitività di queste previsioni, regolarmente e progressivamente decurtate fino alla constatazione di una sostanziale stagnazione, hanno del ridicolo, ma trattandosi di cosa maledettamente seria è stupefacente che il gioco si ripeta anno dopo anno senza concludere su ciò che ad evidenza non va. Se si riprende il filo della recente storia dell'economia europea non è difficile individuare come la crisi della crescita coincida sostanzialmente con l'avvio dell'armonizzazione necessaria alla realizzazione dell'unione monetaria. Questa realizzazione postulava un severo controllo degli equilibri di finanza pubblica, per ottenere il quale i governi europei - chi più chi meno hanno tagliato in primo luogo le spese di investimento, ossia quelle che non impongono un costo diretto in termini di consenso popolare come può accadere per tagli alla spesa sociale o per inasprimenti di imposte. L'assuntj^jhe supporr tava questa politica era lo scambio che si saìrebbe verificato nella destinazione delle risorse: se le istituzioni pubbliche avessero limitato il ricorso al mercato per finanziare i loro disavanzi, sarebbero rimasti a disposizione degli investimenti privati capitali in maggiore quantità e à condizioni migliori. In base alla medesima cultura, al fine di evitare possibili distorsioni della concorrenza, il processo di integrazione europea ha imposto l'abbandono di ogni politica che si avvalesse di risorse pubbliche per avviare, promuovere, sostenere la produzione di beni destinati al mercato. Anche in questo caso l'assunto era che ritirandosi gli Stati da queste attività, sarebbero stati lasciati liberi spazi che l'iniziativa privata avrebbe potuto occupare con maggiore efficienza. Ci si può chiedere se l'evidente fallimento di entrambi questi assunti non possa essere considerato la radice della lunga fase di stagnazione nella quale l'economia europea tuttora si trova. Perché questo fallimento? Perché gli investimenti privati non hanno sostituito gh investimenti pubblici? A molti que- sta domanda sembra pleonastica, tanto sono convinti che gli investimenti siano frenati in Europa dalle rigidità della spesa sociale, dalla pressione fiscale conseguentemente elevata, dalle rigidità delle norme sull'impiego del fattore lavoro. Questi ragionamenti si conoscono nella chiave italiana, ma sono comuni a tutta l'Europa continentale. In parte sono scontati, poiché è incontestabile che riduzioni di spesa sociale, contenimento salariale, in generale un trasferimento di reddito dalla popolazione alle imprese ne accresce la capacità competitiva. Ma la storia di questi anni ha dimostrato che in questa direzione di strada non se ne fa molta. In una Europa nella quale le imprese siano al servizio delle popolazioni, e non viceversa, non può essere ima soluzione accettata e condivisa quella che condiziona una crescita più sostenuta a ima riduzione degli standard di vita. La crescita del Pil è un obiettivo generale e condiviso se serve a un innalzamento del benessere diffuso, altrimenti sarebbe un interesse particolare del quale non meriterebbe neppure di occuparsi. Se in questa direzione, comunque già percorsa per un buon tratto, non si ottengono risultati, è sugli investimenti che sarà opportuno spostare l'attenzione; sugli investimenti necessari non per ridurre i, costi, ma al contrario per sostenere i costi elevati degli standard europei. Verso questo genere di investimenti, quelli sostanzialmente in ricerca e innovazione che comportano rischi elevati e lunghi tempi di ritomo, l'imprenditoria privata è comprensibilmente fredda. L'esperienza dei Paesi più evoluti, infatti, dice che richiedono, per essere attivati, una forte partecipazione pubblica che se ne assuma gli oneri e, soprattutto, i rischi: negli Stati Uniti questa partecipazione avviene attraverso massicce commesse militari; in Giappone mediante un forte ascendente del potere politico sulle scelte strategiche dei grandi gruppi industriali e finanziari; in Europa avveniva;; con una forte presenza degliji Stati nelle attività industriali con specifico riguardo a quelle ad alto contenuto di tecnologia o, comunque, suscettibili di ricadute positive su tutto il sistema produttivo. Stati Uniti e Giappone, dove quel ruolo pubblico non è cambiato, oggi hanno economie in ripresa; in Europa, dove quel ruolo pubblico è stato vietato, i sistemi economici non crescono più. Forse non è una casuale coincidenza.

Luoghi citati: Europa, Giappone, Madrid, Stati Uniti