Il terrore sulla lìnea Madrìd-Casablanca-Torino di Massimo Numa

Il terrore sulla lìnea Madrìd-Casablanca-Torino GLI INVESTIGATORI IN POSSESSO DI «PESANTI» DOSSIER CHE DESCRIVONO LE ATTIVITÀ' CLANDESTINE Il terrore sulla lìnea Madrìd-Casablanca-Torino Provati i rapporti tra le cellule di Al Qaeda attive in Spagna, Marocco e Italia retroscena Massimo Numa SE ci saranno conferme ufficiali sul ruolo delle cellule di Al Qaeda nelle bombe di Madrid, e se davvero i marocchini arrestati erano in contatto con i kamikaze di Casablanca (maggio 2003, decine di morti), allora il Uvello di attenzione, in Italia e specie nel Nord Ovest, dovrà essere altissimo. Perché a Torino, le cellule integraliste già dal luglio 2001 erano collegate direttamente - e senza ombra di dubbio - alla Rete di Bin Laden, attiva in Marocco. E non è l'unico collegamento da brivido: tra i fondamentalisti torinesi e la moschea di Amburgo, la culla di Mohamed Atta, il capo dei piloti suicidi delle TT, i contatti erano strettissimi, tanto che l'Imam inviò proprio a Torino l'egiziano «Roger» Naji, arrestato dalla Digos nel '98 e poi sparito il 3 gennaio 2001 dopo 22 mesi di carcere. «Roger» era uno degli esecutori degli attentati dinamitardi contro le ambasciate Usa di Nairobi. L'egiziano - forse ucciso in Palestina nella primavera del 2002 - stava in quei giorni progettando l'attacco all'ambasciata Usa di Tirana. Torino era solo un temporaneo rifugio. Ma il cerchio si chiude solo nel novembre 2003, dopo una lunga ed estenuante indagine dell'Ucigos. Alla fine il ministero degb Interni decideva l'espulsione dei militanti della Jihad. In realtà, l'Antiterrorismo e i pm di Torino Laudi e Tatangelo avevano chiesto l'arresto di questo nucleo di fondamentalisti che si identificavano nel «Gruppo Salafita per il combattimento»; il gip, Sabrina Noce, disse «no». Non c'erano «sufficienti» elementi per spedirli in cella. L'indagine non è ancora chiusa. Quel «no» del gip aveva fatto discutere. D'accordo, di armi non ne erano mai spuntate, attentati non ne avevano (ancora) commessi ma nel frattempo gli estremisti islamici, radicati nel quartiere di Porta Palazzo, avevano costituito un centro di reclutamento per la Jihad in Afghanistan e in Iraq; esultava¬ no per l'attentato alle Twin Towers e tenevano stretti contatti con i quadri intermedi di Al Quaeda in Pakistan, Afghanistan e Iraq. Di più. Nel giugno 2003 i microfoni e i nastri delle intercettazioni raccontarono che i capi si stavano di nuovo mobilitando per raccogbere nelle moschee fondi destinati alle famiglie dei kamikaze di Casablanca. Della cellula, il Viminale conosceva alla perfezione l'organigramma. Cia ed Fbi ne avevano già schedato da tempo i nomi e avevano trasmesso i dati all'Ucigos. Il 13 novembre del 2002 la Digos di Torino aveva inviato un dossier di 170 pagine alla Procura. Lì c'erano le prove (non gli indizi) dell'attività della Rete in Italia: 63 giorni prima dell' 11 settembre, gli agenti della Cia avevano violato una base di Al Qaeda a Peshawar, in Pakistan. Nella memoria dei computer c'era l'elenco dei volontari provenienti dall'Europa e destinati ai campi afghani. Un gruppo proveniva da Torino. Due uomini, catturati a Mazar-i-Sharif nel novembre 2002, sono tuttora detenuti nell'XRay Camp di Guantamano. Sono il marocchino Mohamed Aouzar, 24 anni, e Ben Hedi Salah Sassi, 28, tunisino. Abitavano con le famiglie nel quartiere di Porta Palazzo. Al fronte, a Konduz, erano arrivati grazie al nucleo torinese, un'agenzia della moschea di viale Jenner. Il capo era Noureddine Lamor, un operaio marocchino di 27 anni, espulso nel novembre scorso, addestrato nei campi di Al Qaeda, tuttora trattenuto dai servizi del suo Paese. Insieme a lui, furono cacciati dall'Italia anche Kalid Assam, 27 anni; Nabili Hamrad, operaio, 21; Mbarek Boutkayoud, 38 anni e Azzedine Sadraoui, 25 anni. Alcuni, esperti di armi ed esplosivi, hanno combattuto in Bosnia. A Reggio Emilia abitava Said Bouchraa, 32 anni, capo spirituale della moschea. Infine l'algerino Charef Macine, 28 anni, di Napoli. La Digos di Torino aveva infine effettuato 25 perquisizioni: 14 fra Torino e provincia, altre 11 a Milano, Napoli, Lucca, Cuneo, Mantova, Reggio Emilia e Bari. «Gli italiani la pagheranno, molti frateUi sono già pronti ad agire», minacciava Noureddine Lamor, intercettato dalle microspie. Già dal marzo 2000 era l'uomo di fiducia di Abdelkader Es Sayed (noto anche come Abu Saleh), considerato il referente di Al Qaeda in Italia e morto in Afghanistan. Con Yassine Chekkouri, il bibliotecario di viale Jenner, organizzava raccolte di fondi per la guerriglia cecena. La Digos nel corso delle perquisizioni sequestrò documenti, cd-rom e videocassette. In quelle immagini, Osama bin Laden invitava al «martirio». Contro l'Occidente. Italia e Spagna comprese. Non si tratta dell'unico collegamento da brivido Tra i fondamentalisti residenti nel capoluogo piemontese e la moschea di Amburgo, culla del capo dei piloti suicidi dell'11 settembre i contatti erano stretti In una casa di Baquba, 50 chilometri a Nord di Baghdad, soldati americani hanno trovato megafoni, filo elettrico, armi e una fotografia di Bin Laden