Piazza Fontana, assolti in appello i neofascisti di Susanna Marzolla

Piazza Fontana, assolti in appello i neofascisti ANNULLATE LE CONDANNE ALL'ERGASTOLO PER ZORZI, MAGGI E ROGNONI Piazza Fontana, assolti in appello i neofascisti Pentiti «non credibili». Il pg e le parti civili: ricorreremo in Cassazione Susanna Marzolla MILANO In pochi minuti, dopo più di 34 anni, i colpevoli della strage di piazza Fontana sono tornati sconosciuti. In pochi minuti il presidente della Corte d'assise d'appello legge una sentenza che cancella tre ergastoli e manda assolti i neofascisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. Per una strage con 17 morti e oltre ottanta feriti resta una sola condanna per un reato minore, favoreggiamento, e un unico condannato, Stefano Tringali, a un armo di reclusione. Soddisfazione per i tre imputati e i loro difensori; amarezza e stupore per le parti civili e per la rappresentante dell'accusa. Laura Bertele Viale. (Adesso dovrò fare ricorso in Cassazione», dice soltanto; dopo che aveva chiesto, inutilmente, la confer¬ ma delle condanne di primo grado: ergastolo per gli imputati principali e quattro anni per TringaU, responsabile di aver cercato di depistare le indagini. Anche le parti civili si rivolgeranno alla Cassazione e lo stesso presidente Pallini in qualche modo agevola i ricorsi alla Suprema corte: annuncia infatti che depositerà le motivazioni della sentenza entro 30 giorni, anziché i rituali 90. Da quello che si può capire dev'essere stata una decisione abbastanza contrastata, visto che i giudici sono rimasti chiusi in Camera di consiglio una settimana intera, trascorsa in un albergo del centro di Milano. E il contrasto dev'essere rimasto incentrato sulla credibilità dei due «pentiti», Carlo Digilio e Martino Siciliano: Rognoni, che non era mai stato accusato da loro, è stato assolto con formula piena; per Zorzi e Maggi, invece, la sentenza fa riferimento air«articolo 530, secondo comma» del codice (la vecchia insufficienza di prove). Un quadro delle prove «solidissimo», collaboratori di giustizia «credibili»; così, al contrario, avevano sentenziato i giudici di primo grado, che avevano accolto in pieno le richieste dei pm e l'intero impianto accusatorio messo in piedi da Guido Salvini (ancora nelle vecchie funzioni di giudice istruttore) e fatto proprio dalla procura di Milano. Un impianto che attribuiva alla cellula veneta di Ordine Nuovo l'ideazione, l'organizzazione e la materiale esecuzione della strage alla Banca dell'agricoltura, la prima di ima «stagione del terrore» che per anni insanguinò l'Italia. A sostegno dell'accusa, principalmente, le dichiarazioni di Digilio (imputato anche lui per la strage ma il reato è stato prescritto grazie alla collaborazione fornita) e di Siciliano che si è presentato anche in appello a ribadire le sue accuse contro Zorzi e Maggi. Nonostante, secondo l'accusa, Zorzi gli avesse versato centinaia di milioni per ritrattare. Con la sentenza di ieri tutto viene rimesso in discussione, anche il procedimento per la revoca della cittadinanza giapponese a Zorzi, con conseguente estradizione: i giudici d'appello hanno annullato l'ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti e l'intero fascicolo per la sua riconsegna all'Italia di fatto si chiude. Annullato dalla sentenza anche l'obbligo di dimora per Maggi, l'anziano medico che ha appreso dell'assoluzione nella sua casa di Venezia, alla Giudecca: «La condanna di primo grado era stata vergognosa - dice -. Digilio è un disperato che dipendeva dal giudice e ha fatto e detto quello che voleva lui. Adesso è stato sbugiardato e spero che tutti gli altri processi si risolvano bene». Maggi conclu¬ de così, riferendosi al procedimento per la strage di piazza della Loggia, a Brescia, in cui è imputato insieme a Zorzi. Nessun commento da Rognoni; per lui parla il suo avvocato, Bene- detto Tusa: «Finalmente una sentenza che ha guardato ai fatti, senza paraocchi ideologici». Di tutt'altro avviso molti altri commenti. Il Comitato Antifascista (l'organismo che raccoglie associazioni come l'Anpi) dice che «pur in un quadro di rispetto dovuto ad ogni sentenza» nel processo d'appello «sono stati ignorati atti e riscontri oggettivi» assieme a molte testimonianze. «La giustizia è stata incapace - è il commento del Comitato - di garantire la ricerca della verità rispetto a una pagina così inquietante della nostra storia». E Gerardo D'Ambrosio, ex procuratore di Milano, e giudice istruttore nella prima inchiesta che aveva individuato la «pista nera» per la strage, dice: «Spero che la sentenza non pregiudichi la realtà accertata della matrice neofascista». -^ L'anarchico Pietro Valpreda al processo di Catanzaro

Luoghi citati: Brescia, Catanzaro, Italia, Milano, Tusa, Venezia