Europa, l' identità ci fa male

Europa, l' identità ci fa male LA RADICALIZZAZIONE DELLE RIVENDICAZIÓNI ETNICHE È IL PRIMO PASSO VERSO L'ATOMIZZAZIONE Europa, l' identità ci fa male Fernando Savater PRENDO a prestito, come titolo di questa nota, un'espressione utilizzata dal mio amico Paolo Flores d'Arcais nel suo ultimo libro II sovrano e il dissidente ovvero la democrazia presa sul serio, appena uscito in Italia da Garzanti, e che sarebbe bello vedere presto tradotto in Spagna. In questo modo rendo un po' più redditizio il breve soggiorno romano - tra soli piovosi e inattese grandinate con cielo azzurro - durante il quale ho partecipato a un congresso intemazionale sulle perplessità e, a volte, sui conflitti causati dalle identità nazionah nell'Europa di oggi. In quella riunione si sono sentite cose molto interessanti e io mi sono portato a casa il moleskine zeppo di sostanziosi appunti per poterli, poi, ruminare nei prossimi mesi. Gianni Vattimo - che, parafrasando il ritornello d'una canzone molto in voga qualche decina d'anni fa, ha incominciato l'intervento dicendo (d'identità mi fa male» - ha spiegato che la biografìa di ciascuno di noi si forma sostanzialmente nel superamento delle nostre identità passate e nell'acquisizione di altre che le integrino senza, però, cancellarle. Queste identità si determinano sempre relativamente ad altre possibih (scegliendo, ma anche scartando: scelta che non implica, necessariamente, ostilità. A suo modo di vedere l'identità comune che, oggi, gli europei cercano dovrebbe costituirsi nel mantenere le specifiche peculiarità sociali dei nostri Stati rispetto al modello americano, aspirando a un mondo efficacemente multipolare più che a un cosmopolitismo senza nessuna frontiera. Su questa linea ha insistito Giacomo Marramao rivendicando un «universahsmo della differenza» e la nascita d'uno spazio pubblico e sociale per tutta l'Ue che dovrebbe essere la consacrazione costituzionale della Carta dei diritti fondamentali proposta a Nizza. Ha osservato che è possibile una Costituzione unica senza arrivare a un Superstato, proprio come è possibile una moneta unica anche se ciascun paese conserva la propria banca centrale. Peter Sloterdji ha notato una crecente «diseuropeizzazione» del mondo favorita dall'atteggiamento dell'attuale Amministrazione Usa (la valutazione mi ha fatto ricordare che già Emmanuel Todd aveva individuato la volontà del Nord America di far diminuire l'influenza Con qui nostri ddi frontentreran europea nel Vicino Oriente come una delle vere cause della guerra in Iraq) e dall'inarrestabile crescita della Cina. Dopo, durante il pranzo, Sloterdji mi ha specificato che i terrorismi etnici, come quello dell'Età, presuppongono una visione unilaterale «eroica», da pionieri («Questa terra è nostra perché siamo stati i primi ad arrivarci»), retrogada rispetto all'attuale stagione della multilaterità polietnica in cui vivono, effettivamente, le società che pretendono di emanciparsi attraverso la forza. Anche se l'autore non è intervenuto al colloquio romano, nel suo libro Flores d'Arcais parla delle «avventure dell'identità». Secondo la sua analisi uno degh ostacoli che, oggi, trova sul proprio cammino la democrazia «presa sul serio», è la demagogia delle identità di gruppo d'ogni tipo (etniche, nazionah, religiose, sessuali, linguistiche ecc..) quando, di fronte alla cittadinanza condivisa, scelgono l'assolutismo in nome dell'esaltazione dell'individualità. A suo giudizio questa radicalità rivendicativa irresponsabile non è una riaffermazione degh individui-cittadini, ma, al contrario, porta a una spoliazione devastante della stessa politica in cui essi devono esercitare, appunto, la propria condizione di cittadini. L'appartenenza a queste identità, che sottomette la volontà di ciascuno all'ebbrezza del comunitario, diventa una sorta di «conformismo» antisistema che blocca la partecipazione nella gestione degh aspetti pubblici. «Si cerca l'identità - dice Flores d'Arcais come un tempo si cercava l'anima gemella: per scongiurare un vuoto, un timore, una solitudine. Un'assenza». Perché l'ipertrofia deUe identità disgregatrici viene assicurata dall'effettiva diminuzione dei diritti costituzionali dei cittadini in società nelle quali tutto (dall'educazione alla sanità passando attraverso le comunicazioni e l'informazione) è privatizzato e, quindi, passa in mano di oligarchi... Oltre le obiezioni e i commenti che mi sono venuti in mente di volta in volta non ho potuto fare a meno di elaborare tutte queste suggestioni in chiave d'attualità spagnola. Perché qui - vale a dire nel paese più decentrato della Uè, nel quale la spinta all'autonomia sembra il primo passo verso l'atomizzazione - non si sa cosa meravigli di più: se la radicalizzazione del confronto identitario etnico e nazionalista (quello religioso, un tempo così popolare in queste terre, ora sembra piuttosto decaduto) o l'atteggiamento negativo che molte persone importanti hanno a prenderlo sul serio e, in certe occasioni, addirittura a riconoscerlo. C'è una dottrina che stabilisce quanto segue: a) visto che il governo e il Partito popolare utilizzano in modo settario i temi dell'unità della Spagna e del terrorismo (lo fanno, e abusandone), il problema dell'unità del paese non esiste e il terrorismo è un fenomeno del passato, svanito per arte magica e per una politica governativa senz'arte né parte; b) visto che il governo e il partito popolare fomentano il turismo filo-Età di Carod Rovira (lo fanno a più non posso) sono miserabili perché il succitato Carod, essendo evidentemente indifendibile, dovrebbe essere anche inattaccabile. E la stessa cosa dovrebbe accadere per il suo partito e per il clima politico d'esaltazione nazionalista in Catalogna che lo ha spinto ad ammiccare agli incompresi ragazzi dell'Età. Il colmo di questa dottrina sono le chiose alla stupenda operazione di polizia che ci ha liberato d'un commando dell'Età che zsche più erpetua nente aveva con sé mezza tonnellata d'esplosivo: per qualcuno si tratta d'un gesto a scopo elettorale, per Azcàrraga, forse; d'una montatura poliziesca, e per il sorprendente Anasagasti la prova che, siccome l'Età non si fa viva iù campagna elettorale, il partito popolare si dà da fare per tirarla fuori dal cilindro. E Madrazo va' a sapere che cosa dirà. Niente, viviamo in un mondo senz'altri problemi e minacce se non quelli causati dalla destra. Qui non c'è altro lupo al di fuori di noi che gridiamo «attenti al lupo». È quanto assicura, ad esempio, Juan Arandazi felicemente uscito dal suo coma durato oltre vent'anni (anche se questi traumi, in genere, lasciano come esiti lesioni cerebrali e l'interessato è l'ultimo a rendersene conto). Aranzadi si mostra sorpreso dei supposti cambiamenti politici verificatisi durante il suo letargo, ma non del vero e proprio fallimento dell'Età oggi evidentemente svalutata anche se ancora occorre tempo per la sua uscita di scena. Certo se negli ultimi vent'anni tutti fossimo stati in coma, totale o parziale, o avessimo gettato via lo scudo facendo i matti, forse non sarebbe stato Carod a far visita a Mikel Antza, ma Mikel Antza a presentarsi davanti a Carod... Infine: preoccuparsi è segno di resa di fronte al conservatorismo. Posso ostinarmi nella mia inquietudine? Il problema non è la questione essenziale dell'unità della Spagna. Essenziale è, piuttosto, la situazione in cui si trovano, sotto tutte queste spinte, i diritti civili degh spagnoli. Il mio voto e la mia voce continuano a essere validi su scala nazionale o devo rassegnarmi a vederh valere solo di fronte agh idoh indigeni della tribù che mi è toccata in sorte regionale? Sono, in questo modo, più protetti e garantiti i miei diritti generali dallo Stato del quale - se non sbaglio - ancora faccio parte? Con questo spezzatino pluralizzante saranno megho difesi di fronte ai nuovi paesi che, tra poco, entreranno a far parte della Uè? E la stessa Europa riceve, in tal modo, un miglior servìzio per la sua Carta dei diritti fondamentali? Non riesco a dimenticare quello che il profetico Nietzche assicurava in Al di tó deZ bene e del male: «Il nazionahsmo è la malattia e l'ingiustizia più distruttiva della cultura. È la nevrosi nazionale di cui è ammalata l'Europa e che perpetua la divisione dell'Europa in piccoli Stati e la sua piccola pohtica». Copyright ci Rais Con questo spezzatino pluralizzante i nostri diritti saranno meglio difesi di fronte ai paesi che, fra poco, entreranno a far parte dell'Unione? Come aveva già capito Nietzsche il nazionalismo è la malattia più distruttiva della cultura, e perpetua la piccola politica del Continente Una manifestazione per l'Indipendenza dei Paesi baschi, a Bilbao